"SCRIVERE DIRITTO" è il nuovo blog dello Studio Legale Chiricosta & Crea, nel quale gli avvocati discutono di diritto e comunicazione, di diritto e marketing, e naturalmente di diritto in generale, con il commento delle notizie giuridiche più curiose, o con l'aggiornamento delle attività svolte dallo studio. Gli articoli del blog sono aperti ai commenti (basta cliccare sul titolo), così da permettere l'interazione degli utenti. Il blog non è invece la sede per richiedere pareri on-line, per i quali si rinvia alla scheda "contatti".
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dom
13
ott
2024
Salute e Sicurezza nei piccoli studi professionali
In occasione della giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, oggi parliamo di Salute e Sicurezza nei piccoli studi professionali, al cui normativa di riferimento è, ovviamente, il DLGS 81/2008 (TU sicurezza sul lavoro). Cominciamo subito col dire che il TU è obbligatorio solo se c’è un rapporto di lavoro (inteso in senso molto lato). Nel tuo studio c’è un addetto di segretaria? Ovviamente sei il datore di lavoro e sei obbligato. Hai un praticante? Anche (e siete obbligati entrambi a conoscere e applicare il DLGS 81/2008). Non è obbligatorio se siete un piccolo studio (associato o meno) composto da avvocati equiparati, e naturalmente non lo è se lavorate da soli, magari a casa (o “da” casa). Il fatto che non sia obbligatorio, comunque, vuol dire solo che non siete esposti a sanzione, ma l’applicazione dei criteri è fortemente consigliata, anche perché rientra tra i parametri di Qualità negli studi professionali: anche qui, magari non la certificherete mai, ma applicare comunque i criteri di Qualità (o almeno provarci) migliorerà il vostro lavoro. E dunque, cominciamo.
Prima fonte di pericolo è l’impianto elettrico: è a norma? C’è il salvavita? Lo verificate annualmente?
Ma la principale fonte di pericolo è proprio il vostro PC, e soprattutto quell’intrico di cavi che ci sta dietro: dovete fare il cablaggio, che vuol dire scollegare tutti i cavi, e poi riunirli in grossi cavi, verticali o orizzontali, che a loro volta andranno fissati alla scrivania; usate stringicavi, guaine, scatole organizzacavi, e meglio ancora tutto insieme. Aiuta a mantenere un aspetto pulito e professionale, riduce il rischio di incidenti o inciampi, migliora il flusso d'aria e la ventilazione, facilita la risoluzione dei problemi e la manutenzione e facilita l'identificazione e l'accesso a cavi specifici quando necessario. Tutti questi cavi andranno attaccati ad una ciabatta multipla con tasto di accensione, MAI E POI MAI ad una multipresa. L’ideale, poi, è aggiungere un gruppo di continuità per il PC: ha un certo costo, ma vi garantisce il PC (e tutto quello che c’è dentro) da sbalzi di corrente, cali di tensione, e se c’è un black out vi da anche il tempo di salvare e spegnere senza danni.
La postazione computer va pulita regolarmente. A corrente rigorosamente staccata spolverate bene tutte le superfici, passate l’aspirapolvere col tubo staccato in tutte le griglie di ventilazione, mentre per la tastiera utilizzate uno spray ad aria compressa (si trova in cartoleria). Se avete stampanti e fotocopiatrici a toner, aggiungete alla griglia di ventilazione un apposito filtro adesivo (sempre in cartoleria), vi risparmierete la puzza del toner evaporato in studio (che tra l’altro è anche cancerogeno, fate un po’ voi).
E ora parliamo di ergonomia! La perfetta sedia da ufficio deve essere girevole, con le rotelle (almeno 5 antiribaltamento, e non me lo sto inventando), i braccioli, regolabile in altezza e magari anche in inclinazione, e dovrebbe avere un supporto lombare. Le vostre ginocchia dovrebbero formare un angolo di 90°, con i piedi bene appoggiati a terra. Se avete problemi di altezza, compratevi un poggiapiedi. Quanto allo schermo, deve stare davanti ai vostri occhi alla distanza di almeno un braccio: se non ci vedete non avvicinate lo schermo, ma aumentate lo “zoom” della visualizzazione. La tastiera deve essere in linea con lo schermo, se scrivete guardando di lato avete un grosso problema.
Se scrivete veramente tanto, valutate l’idea di frequentare un corso on-line di dattilografia. Le prime settimane vi sembrerà una tortura innaturale, ma gli effetti finali sono incredibili, e tangibili anche se non diventate bravissimi: oltre ovviamente a scrivere molto più velocemente vi stancate meno, lo sforzo viene distribuito su dieci dita e non su due, le vostre braccia restano immobili anziché danzare da un punto all’altro della tastiera, e non dovrete neanche piegare il collo in continuazione per spostare lo sguardo tra tastiera e schermo e viceversa. Io sto scrivendo questo articolo senza guardare i tasti ma solo lo schermo, e volendo potrei fare a meno anche di guardare lo schermo (come avviene, per esempio, se devo copiare un testo da un foglio di carta, che metto su un leggio). Il vostro tunnel carpale ringrazierà.
E ricordatevi: anche se avete una scadenza stanotte, alzatevi dalla sedia e allontanatevi da PC e cellulare per almeno 5 minuti ogni ora, per il benessere di occhi, schiena e spirito.
Valutate oggettivamente le condizioni di luce e aria nel vostro studio: se vi sembra poco luminoso, probabilmente è così, cambiate le lampadine in conseguenza. Come è l’aria? Riscaldamento, aria condizionata, pompa di calore? Nel caso ricordatevi di pulire spesso i filtri, e comunque di arieggiare la stanza ogni giorno, anche in inverno (magari durante le pause), e aprite la finestra, se c’è (per la serie: “ho visto studi che voi umani…”). E anche se lavorate esclusivamente in smart working, non ricevete mai nessuno e siete soli come guardiani del faro, pulite periodicamente tutto! Anche se il Covid è ormai passato manteniamo le stesse abitudini igieniche, ci guadagna la qualità dell’ambiente di lavoro e quindi la nostra produttività in generale.
Acustica dello studio: troppo rumore dall’esterno? Valutate di cambiare infissi, e nel frattempo potreste aggiungere della musica di sottofondo per confondere il rumore esterno. Se invece c’è troppo silenzio, vi sentite soli e avete bisogno di stimoli, oppure siete psicopatici, o magari volete sembrare più impegnati di quelli che siete quando vi chiamano al telefono, on-line si trovano delle tracce audio d’ufficio impegnato, con suoni di stampanti, tastiere, telefoni e vocio di sottofondo: vi sembrerà di lavorare in un call-center, ma magari potrebbe darvi quello stimolo in più…
ven
27
set
2024
Criteri di ripartizione delle spese per il rifacimento della facciata di un condominio
Il rifacimento della facciata di un condominio è un intervento di manutenzione straordinaria che ha spesso costi rilevanti, ma si rende necessario per preservare l'integrità e il valore dell'immobile. Quando l'assemblea condominiale decide di procedere con questi lavori, diventa fondamentale ripartire correttamente le spese tra i condomini, in conformità con la normativa vigente. Un'altra questione cruciale è come affrontare i casi di morosità, ovvero quando un condomino non adempie al pagamento della propria quota.
Le spese per la manutenzione straordinaria, come il rifacimento della facciata, vanno ripartite tra i condomini secondo i criteri stabiliti dall'articolo 1123 del Codice Civile. In particolare:
Ripartizione in base ai millesimi di proprietà: Le spese devono essere suddivise in proporzione al valore delle singole unità immobiliari, espresso in millesimi. Questo significa che i condomini proprietari di unità con maggior valore (ad esempio, appartamenti più grandi o situati in punti più privilegiati dell'edificio) dovranno sostenere una quota maggiore delle spese.
Ripartizione differenziata per vantaggi particolari: In alcuni casi, se determinati condomini traggono un vantaggio particolare da un intervento di manutenzione, la ripartizione può avvenire in modo diverso. Ad esempio, se una parte della facciata riguarda solo un’ala dell’edificio, i condomini che risiedono in quella parte potrebbero dover sostenere una quota maggiore.
Decisione dell’assemblea: L’approvazione dei lavori di rifacimento della facciata e il relativo riparto delle spese devono essere deliberati dall’assemblea condominiale. Per la validità della decisione è necessario raggiungere i quorum previsti dalla legge. La delibera approvata diventa vincolante per tutti i condomini, anche per coloro che hanno espresso voto contrario o si sono astenuti.
Conseguenze in caso di morosità
Uno dei problemi più comuni nei condomini è la morosità, ovvero il mancato pagamento delle quote condominiali da parte di alcuni condomini. Questo può generare situazioni di difficoltà economica per il condominio e ritardi nel pagamento delle imprese incaricate dei lavori. Vediamo quali sono le principali conseguenze per i condomini morosi e le azioni che l'amministratore può intraprendere.
Decreto ingiuntivo: In caso di mancato pagamento delle spese condominiali, l'amministratore può agire legalmente contro il condomino moroso richiedendo un decreto ingiuntivo. Questo strumento consente di ottenere un’ingiunzione di pagamento in tempi relativamente brevi, senza necessità di un processo ordinario. Il decreto ingiuntivo può essere emesso anche in mancanza di una previa conciliazione.
Pignoramento dei beni: Se il condomino continua a non pagare, il condominio può procedere con l’esecuzione forzata, che può culminare nel pignoramento dei beni del moroso, inclusa l’unità immobiliare stessa. Il giudice può ordinare la vendita all'asta dell'immobile per saldare i debiti.
Interessi di mora: Oltre alla quota dovuta, il condomino moroso è tenuto a pagare anche gli interessi legali di mora. Questi possono essere applicati dal momento in cui la somma è esigibile, come stabilito nel regolamento condominiale o dalla delibera assembleare.
Sospensione dei servizi comuni: Il regolamento condominiale o la delibera assembleare può prevedere la sospensione di alcuni servizi comuni non essenziali (ad esempio, il riscaldamento centralizzato o l'uso dell'ascensore) al condomino moroso, purché ciò non arrechi un danno grave alla sua unità immobiliare.
L'impatto della morosità sugli altri condomini
Il mancato pagamento delle quote da parte di uno o più condomini non esime il condominio dall'onorare gli impegni finanziari presi con i fornitori e le imprese. Questo significa che, almeno inizialmente, gli altri condomini dovranno farsi carico delle quote mancanti per evitare che i lavori vengano sospesi o che il condominio venga citato per inadempienza. Successivamente, si potrà agire nei confronti del moroso per recuperare le somme anticipate.
Il rifacimento della facciata rappresenta un intervento importante per la conservazione e l’estetica di un edificio, e la corretta ripartizione delle spese è essenziale per garantire una gestione armoniosa della vita condominiale. In caso di morosità, il condominio dispone di strumenti giuridici per tutelarsi, ma è importante agire tempestivamente per evitare che i problemi finanziari di un singolo condomino compromettano il funzionamento dell’intera comunità condominiale.
by ChatGPT
mer
10
lug
2024
Noi liberi professionisti oltre che membri di un Ordine o un Consiglio nazionale siamo anche parte di una comunità scientifica internazionale, anche se spesso ce ne dimentichiamo, quindi è sempre bello cogliere l’occasione di rinfrescarsi la memoria. Ringrazio il Dott. Alejandro Ponce e il World Justice Project per avermi dato l’opportunità di collaborare ad un progetto di respiro internazionale, dando il mio piccolo e personale contributo.
Avv. Giovanni Chiricosta
mer
27
dic
2023
Prima di spiegarvi come scrivere una relazione di fine anno, è meglio spiegarvi a cosa serve fare una relazione per riassumere l’andamento professionale nell'ultimo anno (o negli ultimi). Sia che siate titolare di uno studio vostro, sia che siate un avvocato senza tutele in un mega studio, sia che siate un singolo professionista che ha appena aperto la partita IVA, mettere tutto nero su bianco vi chiarirà le idee su cosa state facendo, su quali sono i vostri obiettivi per il futuro, e verificare se siete sulla strada giusta per realizzarli, oppure no.
A parte ciò, essere in grado di fare una relazione come quella descritta in questo post vi potrà essere utile in altre occasioni: accedere a finanziamenti che presuppongono un progetto, un business plan; nel caso decidiate di associarvi, permetterà ai soci di conoscersi meglio tra loro (e di verificare se hanno gli stessi obiettivi e la stessa vision dello studio). Se siete a fine carriera e state per chiudere lo studio senza eredi, potreste pensare di venderlo ad un collega più giovane: una relazione del genere vi permetterà di assegnargli un valore ben preciso.
Ordunque: contenuto minimo. Se non la avete mai scritta, cominciate a scrivere (letteralmente, nero su bianco) tutto il vostro percorso professionale, dall’iscrizione all’albo ad oggi: perché avete fatto questa scelta, quali erano i vostri obiettivi, quali sono le aree di maggior pratica, quali i vostri clienti tendenziali; descrivete la vostra situazione attuale: lavorate da soli o in gruppo? Uno studio associato o mera condivisione di spese? Siete alle dipendenze di fatto di qualcuno?
A questo punto un altro elemento cardine della relazione: il fatturato lordo. Sempre se non lo avete mai fatto prima (e anche se non pensate di far leggere niente a nessuno, ovviamente), prendete in considerazione i vostri ultimi 5 anni (o dall’inizio, se di meno). Perché proprio gli ultimi 5 anni? Perché si tratta di un orizzonte di tempo medio-lungo più che sufficiente per darvi una tendenza statistica della vostra redditività.
In pratica scrivete in una tabella, anno per anno, il vostro fatturato lordo (ossia il totale delle vostre fatture, senza considerare le spese, almeno per ora). Già così dovreste avere un’idea dello scopo della relazione, ma non fermatevi qui: a questo punto fate della tabella un grafico (con Office è talmente elementare che mi rifiuto di spiegarvi come fare, a parte il fatto che è così semplice che potreste farlo con carta e penna: sulla linea verticale gli euro, sulla linea orizzonte gli anni, e unite i puntini…). Il grafico esprime immediatamente la tendenza del vostro studio, ma se volete essere più precisi, riprendendo la tabella di prima potrete aggiungere un’altra colonna, con l’aumento o la diminuzione percentuale tra un anno e l’altro; se la tendenza è sempre la stessa (e mi auguro per voi che sia un aumento costante) potrete ricavare anche il tasso medio di aumento della redditività.
Già così avete fatto un ottimo lavoro, che vi sarà utile anche negli anni successivi. Se volete essere più precisi (e volete deprimervi…) aggiungete al grafico le spese. Alla tabella aggiungete quindi una terza colonna in cui scriverete il totale delle spese professionali, anno per anno, quindi aggiungete una seconda linea al grafico: l’area tra le due linee corrisponde al vostro profitto. Quali spese aggiungere? Sta a voi decidere, ma certamente ci vanno iscrizione all’albo, contributi di Cassa, assicurazione obbligatoria, etc.; decidete voi se aggiungere anche le utenze di studio (incluse Condominio, TARSU...) o meno, purché ovviamente applichiate lo stesso criterio ogni anno, e specificate in una legenda cosa indicate per “spese”. Sul grafico noterete che, a differenza del fatturato che dovrebbe essere inclinato verso l’alto, la curva delle spese è tendenzialmente anelastica (ossia quasi orizzontale), magari fatta eccezione per Cassa.
A questo punto interrogatevi e rispondete sinceramente (sempre scrivendo): quali sono i miei punti deboli? Quali i miei punti di forza? Da chi è rappresentato maggiormente il mio portfolio clienti?
A questo proposito, tornerà utile fare questa operazione: dividete le fatture in categorie a seconda del cliente (fate voi le categorie: consumatori, aziende, enti locali, oppure gratuito patrocinio e non, oppure semplicemente civile, penale, stragiudiziale e non sa/non dice…); sta a voi decidere in che gruppi dividere la clientela, ma attenti ad evitare sovrapposizioni, ossia evitate che alcuni clienti siano presenti contemporaneamente in più categorie. A questo punto fate una bella tabella, con le categorie e il fatturato corrispondente per ogni categoria, quindi fate un bel grafico a torta (chi ne vuole una fetta?). Il sistema dovrebbe tirarvi fuori automaticamente anche le percentuali corrispondenti, altrimenti fate voi il conto. Anche in questo caso, la visione del grafico potrebbe sorprendervi, ma quello che più conta non è tanto il singolo anno, ma il confronto anno per anno: qual è il settore più forte? Qual è quello che sta crescendo? Questo potrà aiutarvi ed identificare i vostri punti forti e deboli, e a prendere decisioni imprenditoriali in merito: rafforzare i punti deboli o tagliare i rami secchi e concentrarvi sui punti di forza? Entrambe sono scelte imprenditoriali possibili. Se oltre il 50 % del fatturato deriva da un'unica fonte, o siete monomandatari p avete un grosso problema, perché, di fatto, quel cliente vi tiene in pugno, vi consiglio di diversificare le fonti di entrata.
Se siete stati così diligenti da arrivare fin qui, dedicate una parte della vostra relazione alla “compliance”, ossia al rispetto di tutta la normativa cui siete sottoposti, come avvocati e come partite IVA.
Rispondete (sinceramente e per iscritto!) a queste domande: ho raggiunto i crediti formativi? Se no, perché? Ho verificato se la mia azienda rispetta la normativa anti corruzione? E se no, cosa penso di fare in proposito? Ho verificato se rispetto gli obblighi di privacy? Se no perché, e cosa penso di fare in proposito? La sincera risposta a queste domande potrebbe anche essere “niente”, purché siate consapevoli degli standard che volete ignorare. Fate lo stesso ragionamento anche per gli obblighi previdenziali, assicurativi, fiscali (ce l’avete il POS, vero?), e infine per gli standard di qualità (esiste l’ISO 9001 anche per gli studi professionali, ne ho già parlato in altri post). Avete partecipato alla vita del vostro ordine? Avete votato alle elezioni forensi, avete partecipato alle assemblee? Se no, perché?
Una parte importante deve essere dedicata al marketing, in pratica la risposta alle domande: come ho trovato i clienti finora? Qual è stata la migliore fonte di clientela? Come sviluppo la mia reputazione, sul web e nella vita reale? Su questo argomento, come immaginate, ci sarebbe altro da scrivere, e conto di farlo in un altro post.
A proposito di marketing, se li utilizzate in tal senso fate anche una sezione per i vostri social, ossia verificate quanti contatti (friend, follower o come vi pare) e quante interazioni ci sono state durante l'anno, e confrontate con l'anno precedente. In ogni social ci sono appositi strumenti di analisi per farlo, troppi per parlarne in questa sede, smanettate e troverete pane per i vostri denti.
Una parte inevitabile, per quanto fastidiosa, dovrebbe essere riservata ai crediti da riscuotere, fatture già emesse e non pagate, magari dall'anno prima: cosa pensate di fare in tal caso? da quale cliente deriva? Meglio perseguirlo (e perdere il cliente) o negoziare? Mettete tutto per iscritto, in modo da poter verificare l'anno successivo.
Infine la parte più importante: propositi per il futuro, per l’anno successivo e a lungo termine. Dopo aver riletto quello che avete scritto finora, rispondete sinceramente: cosa conto di fare in proposito l’anno prossimo? E nei prossimi 5 anni? Quali risorse dedicherete (in termini di tempo, denaro e impegno) al marketing? Come curerete la vostra formazione? Come adeguerete il vostro studio ai vari adempimenti di compliance, che magari avete trascurato sinora? Quali sono i vostri obiettivi realistici per l’anno successivo in termini di fatturato e acquisizione di nuova clientela? Quali cause andranno a sentenza l’anno prossimo? E così via. Infine, ripetete la relazione alla fine di ogni anno (ma continuando ad usare gli stessi grafici, aggiungendo i dati), per verificare se avete rispettato gli obiettivi che vi eravate imposti l’anno precedente: forse vi darete una pacca sulla spalla, forse deciderete che è l’ora di passare in proprio, o magari deciderete di cambiare mestiere, ma qualunque sia la vostra decisione lo farete a ragion veduta.
mer
06
dic
2023
SPID, CNS e CIE: differenza, costi, vantaggi e svantaggi
SPID è la sigla di Servizio Pubblico di Identità Digitale, ed è un servizio che, fondamentalmente, permette l’autenticazione attraverso l’inserimento di due codici, Username e Password, precedentemente scelti dall’utente. In questo modo il sito della Pubblica amministrazione (Sanità, Agenzia Entrate, INPS, Anagrafe etc. etc.) che stai visitando sa chi sei, perché questi dati sono associati ad una persona fisica (in effetti al tuo codice fiscale); quello appena descritto è il livello 1 di sicurezza SPID, e già così permette di accedere alla maggior parte dei servizi riconnessi, poi c’è il livello 2 (che richiede l’interazione col tuo smartphone personale) e infine il livello 3 (che richiede il possesso di una card fisica o una specifica chiave USB, e di un lettore apposito), che servono per usi specifici.
Il sistema SPID è estremamente versatile, viene riconosciuto in tantissimi siti pubblici ma anche alcuni privati, è utilizzabile anche presso le amministrazioni dell’Unione Europea, e in più è utilizzabile, in alcuni casi, come firma elettronica. Che vuol dire in alcuni casi? Che non potete utilizzarla per firmare un documento creato da voi, ma è il sito che state visitando che, volta in volta, vi permette l’opzione “firma con SPID”, per venire incontro a chi non dispone di una firma elettronica.
QUANTO COSTA
Lo SPID è fondamentalmente GRATIS, e si può attivare facilmente presso molti server, con vari sistemi di riconoscimento facciale; alcuni servizi offrono un sistema (in questo caso a pagamento) per chi non è pratico, ma il sistema più semplice è andare fisicamente in un ufficio postale e chiedere lo SPID.
Difetti
Il difetto dello SPID è lo stesso per tutti questi sistemi: richiede l’inserimento di due codici (username e password), e se non te li ricordi prevede una procedura di recupero altrettanto complessa (livello di sicurezza 2). In più, periodicamente la password scade, quindi devi rinnovarla. Se, come la maggior parte delle persone, usi lo SPID una volta all’anno, ogni volta dovrai cambiare la password dal tuo smartphone.
CNS
La CNS o Carta Nazionale dei Servizi è uno strumento fisico (una card o un Token USB) rilasciato dalle Camere di Commercio, che ha fondamentalmente lo stesso scopo dello SPID, ossia il riconoscimento del suo titolare da parte delle pubbliche amministrazioni (tra cui INPS, Agenzia Entrate, Camera di Commercio etc.), anche se meno rispetto allo SPID; rispetto a quest’ultimo, però, ha un’enorme vantaggio: la CNS è anche una firma elettronica qualificata! Ci puoi effettivamente firmare i tuoi documenti, e la firma avrà validità legale, perché verificabile dal destinatario.
Sappiate che ogni CNS (se rilasciata da una Camera di Commercio) è anche una firma elettronica, ma non il contrario: se state pensando di acquistare una firma elettronica, verificate che sia anche CNS.
Per attivare la prima volta la CNS dovrai recarti fisicamente presso una Camera di Commercio con i documenti, e seguire le istruzioni dell’operatore. Una volta attivata a regime, per utilizzarla basta inserire una sola password, e senza dover interagire col cellulare, a differenza degli altri sistemi, un vantaggio decisivo!
Quanto costa
A differenza dello SPID, la CNS si paga, ha un costo variabile a seconda del modello scelto, ed ha una validità di tre anni; il costo è intorno alle € 50/60, il modello con card costa di meno ma devi acquistare il lettore a parte se non ne hai già uno, il Token USB costa un po’ di più ma non c’è bisogno del lettore ed in più è portatile, fate un po’ voi.
Per la cronaca, io uso la CNS quotidianamente sia per firmare gli atti giudiziari sia per il riconoscimento, e non ho mai avuto problemi, se non alla scadenza.
CIE
La CIE è la Carta d’Identità Elettronica, ossia la nuova carta d’identità che possediamo tutti, anche se non la sfruttiamo fino in fondo.
Alla CIE è ricollegato un altro sistema di riconoscimento d’identità, analogo allo SPID, a tre livelli:
1) con credenziali (username e password)
2) con un SMS al tuo cellulare o QRCODE (e devi scaricare un software apposito)
3) con uno smartphone abilitato alla lettura di Chip NFC (non tutti lo sono) oppure con un lettore apposito. Tanto per capirci, un po’ come il lettore del Bancomat.
L’attivazione anche solo del primo livello è un po’ macchinosa (peggio dello SPID) e richiede il download di un software sul proprio cellulare e l’inserimento di vari codici ricevuti dal Comune al momento del rinnovo. Se l’avete rinnovata tempo fa e avete buttato tutto, probabilmente nemmeno gli impiegati del Comune possono aiutarvi!
L’elenco dei siti della Pubblica Amministrazione raggiungibili tramite CIE non è lungo come quello dello SPID ma è in aumento periodico, ed in più con la CIE (scaricando un software apposito) è possibile firmare i propri documenti con firma elettronica avanzata (FEA), che però è meno efficace rispetto alla firma elettronica qualificata (FEQ) rilasciata con CNS: tanto per capirci, non viene riconosciuta da tutte le PA, e di sicuro non puoi usarla per firmare un atto dal Notaio, per le fatture elettroniche o per firmarci gli atti giudiziari.
COSTO
La CIE è soggetta semplicemente alla marca da bollo richiesta dal Comune per il rinnovo (variabile ma sotto i 20 €), e dura quanto la carta d’identità: 10 anni. Da questo punto di vista è estremamente conveniente, ma sappiate che non può sostituire la firma digitale vera e propria in ogni situazione.
Consigli
Quale strumento utilizzare dipende da chi siete e da che uso potrete farne; per il cittadino medio che vuole solo accedere all’INPS per avere l’ISEE o il reddito di cittadinanza, lo SPID è lo strumento perfetto, purché abbiate l’accortezza di scrivervi da qualche parte le password ed i passaggi.
Se invece ne dovrete fare un utilizzo professionale, io consiglio… tutti e tre! Sia perché le PPAA che accettano i vari sistemi non coincidono perfettamente, sia per ridondanza: un giorno il sistema da voi utilizzato potrebbe non funzionare (e per legge di Murphy quando ne avrete più bisogno), e allora meglio avere un alternativa pronta per l’uso.
Ovviamente do per scontato (ma richiederebbe un altro post) che abbiate la sacra triade professionale, ossia SPID/CNS/CIE, Firma digitale (FEQ) e PEC, meglio se europea e iscritta all’INAD, con cui potrete fare veramente qualunque cosa (come per esempio le famigerate fatture elettroniche).
Purtroppo a differenza di SPID e CIE, la firma digitale e la PEC si pagano, non esistono alternative gratis, nonostante fuorvianti annunci pubblicitari. Non voglio suggerire aziende (ARUBA…) perché dipende dall’uso che ne fate in concreto.
sab
21
ott
2023
Perciò, se non ho capito male, l’avvocato perfetto dovrebbe:
acquisire i crediti formativi ordinari nel triennio, senza dimenticare quelli sulla deontologia;
acquisire i crediti formativi specialistici della propria materia (che non è detto che corrispondano con i primi): difensore d’ufficio, curatore fallimentare, delegato vendite, mediatore, etc. etc. etc., e della propria Specializzazione Forense (con la S maiuscola);
assicurarsi che anche i propri praticanti seguano la formazione specifica a loro richiesta, quella che sia;
conoscere, applicare e verificare la normativa sulla Qualità degli studi legali;
assicurarsi che anche i propri praticanti e dipendenti (ovviamente tutti regolarmente assunti con CCNL Studi Professionali) conoscano a applichino le regole sulla Qualità dello studio, e si formino periodicamente;
in quanto titolare dello studio, conoscere ed aggiornarsi periodicamente sulla normativa sul trattamento dei dati personali;
conoscere, aggiornarsi e rispettare la normativa antiriciclaggio; assicurarsi che anche praticanti e dipendenti conoscano e applichino le stesse norme;
sempre in quanto titolare dello studio e datore di lavoro, conoscere ed aggiornarsi sul TU sicurezza sul lavoro, sulla normativa antincendio e sul primo soccorso, ed assicurarsi che anche dipendenti e praticanti sappiano cosa fare al momento del bisogno;
fai difesa d’ufficio e/o gratuito patrocinio? Allora conoscere, applicare e far applicare la normativa sulle barriere architettoniche, e sull’accesso dei diversamente abili in generale;
Conoscere e far applicare le regole tecniche sulla gestione ambientale, risparmio energetico e smaltimento rifiuti negli studi professionali: come smaltite il toner? Far conoscere e far rispettare le stesse regole anche a dipendenti, praticanti, e pure ai clienti.
ovviamente conoscere a menadito ed adeguarsi alla normativa previdenziale: la propria, quella dei praticanti e quella dei dipendenti: altrimenti come te lo danno il DURC?
Conoscere, aggiornarsi ed adeguarsi alla normativa finanziaria: l’avete compilato il Quadro RS? Ce l’avete il POS?
Ovviamente curare i propri contatti e la propria reputazione on-line: curare ed aggiornare periodicamente il proprio sito web, i propri profili social (almeno 3), pubblicare periodicamente articoli, post, tweet, reels, commentare, taggare, e leggere i commenti, i tag ed i post degli altri su di sé;
partecipare (e far partecipare ai propri praticanti) la vita politica forense, a partire dalle assemblee del proprio consiglio dell'ordine, passando per le riunioni del consiglio della propria associazione territoriale (AIGA etc), fino alle riunioni nazionali OCF, CNF e Cassa Forense;
dopo tutto ciò avrete finalmente un po’ di tempo libero per lavorare!!!
PS
Sicuramente avrò dimenticato qualcosa, casomai ricordatemelo nei commenti.
mar
17
ott
2023
Come noto, il DM 110/2023 ha imposto a noi avvocati dei criteri formali di redazione degli atti piuttosto stringenti, benché la norma la norma presenti questi criteri solo come direttive; è tuttavia recente il caso di un giudice che, nonostante la vittoria sul merito, ha compensato le spese per violazione dei criteri di redazione (leggi l'articolo su Il Dubbio ): ovviamente siamo sul paradosso, ma meglio prevenire che curare.
Per chi utilizza Word –credo la maggior parte di noi- è molto improbabile che, aperta una pagina bianca, i criteri richiesti siano magicamente preimpostati, quindi ogni volta bisognerebbe aggiustare “a mano” tutti i parametri, operazione noiosa e snervante, col rischio di dimenticarlo e di incorrere in chissà quali conseguenze: non sarebbe più facile se tutte i parametri richiesti dal DM fossero già preimpostati ad ogni aperture di Word? Sperando di far cosa gradita, vi spiego come fare.
Premesso che la seguente guida è stata fatta con Word 2010, ma il procedimento è simile anche se avete altre versioni.
Ciò che dovete fare è modificare il file “Normal.dotm”, che contiene, per l’appunto, tutti i criteri preimpostati di un normale foglio word appena aperto.
Dovrete:
cliccare sulla scheda “File” (la prima in alto a destra);
Passare a C:\Users\nome utente\AppData\Roaming\Microsoft\Templates;
Aprire il modello Normal (Normal.dotm);
modificare questi parametri:
nella scheda “Home” (la seconda), alla sezione “carattere” inserire Times New Roman (in realtà la norma non precisa il tipo di carattere, ma giusto per andare sul sicuro…);
nella stessa sezione, inserire dimensione carattere “12”;
nella sezione paragrafo, nello spazio “interlinea” inserire “1,5”;
nella scheda "layout di pagina" cliccare su "margini", "margini personalizzati", e nella nuova scheda "margini " che vi si aprirà impostare superiore e inferiore a "2,5";
la norme non lo richiederebbe, ma a questo punto nella stessa sezione inserire allineamento testo “giustificato”, se non è già così;
nella barra inferiore della schermata (la linea grigia dove di solito vedete il numero di pagina) cliccateci in mezzo col tasto destro e selezionate “conteggio parole”; a regime potrete cliccare sul conteggio parole e vi darà anche il numero di caratteri, per i più puntigliosi.
Al termine fare clic sulla scheda “File” e quindi su “Salva” e chiudi.
Al prossimo riavvio (di Word, non del PC), il foglio sarà magicamente preimpostato con tutti i criteri richiesti dal legislatore: Voilà!
sab
24
giu
2023
La responsabilità civile per i danni subiti a scuola: chi ne è responsabile?
La sicurezza degli studenti all'interno delle scuole è un tema di fondamentale importanza, poiché la scuola è un luogo in cui i giovani trascorrono gran parte del loro tempo. Quando si verifica un incidente o si subiscono danni all'interno dell'istituzione scolastica, è essenziale comprendere chi sia civilmente responsabile per tali eventi.
In base all'articolo 2043 e seguenti del Codice Civile italiano, molteplici parti possono essere coinvolte nella responsabilità: la scuola, il singolo docente, lo studente stesso, i genitori e l'assicurazione scolastica obbligatoria. Esaminiamo i ruoli e le responsabilità di ciascuna di queste parti.
La scuola, come istituzione, ha il dovere di fornire un ambiente sicuro per gli studenti. Ciò significa che devono essere adottate tutte le precauzioni ragionevoli per prevenire incidenti o danni fisici. La scuola è tenuta a garantire che gli edifici, le attrezzature e le strutture siano in condizioni sicure, eseguendo regolari ispezioni e manutenzione. In caso di negligenza da parte della scuola nell'adempimento di queste responsabilità, potrebbe essere considerata civilmente responsabile per i danni subiti dagli studenti. In generale la scuola è ritenuta responsabile di tutti i danni occorsi agli studenti all’interno della scuola a meno che non provi che il danno è stato causa to da una circostanza eccezionale e imprevedibile.
I docenti, in qualità di professionisti che lavorano a stretto contatto con gli studenti, hanno una responsabilità diretta sulla loro sicurezza durante le attività didattiche. Devono adottare tutte le misure ragionevoli per prevenire incidenti in classe o durante le attività extracurricolari: basti pensare ad attività a rischio intrinseco come le attività sportive o di laboratorio, mentre per le attività extracurriculari basti pensare alle gite o alle uscite didattiche. Se un docente non rispetta i doveri professionali o non prende le precauzioni necessarie, potrebbe essere ritenuto civilmente responsabile per i danni subiti dagli studenti.
Anche gli studenti, pur essendo giovani, hanno una certa responsabilità nel mantenere un comportamento sicuro e rispettoso all'interno della scuola. Se uno studente agisce in modo negligente o intenzionale causando danni a sé stesso o ad altri, potrebbe essere ritenuto civilmente responsabile per i danni causati. Tuttavia, è importante considerare l'età e la capacità di comprensione dello studente al fine di determinare la sua responsabilità.
I genitori hanno il dovere di vigilare sul comportamento dei loro figli e di educarli sull'importanza della sicurezza e del rispetto, tanto è vero che in molte scuole è ormai prassi firmare un “patto di corresponsabilità”, in cui le scuole ricordano ai genitori tali doveri. Nel caso in cui un genitore abbia trascurato questo dovere e il comportamento negligente del figlio abbia causato danni, il genitore potrebbe essere considerato civilmente responsabile.
Infine l'assicurazione scolastica obbligatoria è un'importante protezione per gli studenti e le scuole stesse. Questa assicurazione copre i danni fisici subiti dagli studenti all'interno della scuola o durante le attività connesse ad essa. In caso di danni, l'assicurazione scolastica può intervenire per fornire un risarcimento adeguato e contribuire a coprire le spese mediche e legali.
La responsabilità civile per i danni subiti a scuola coinvolge diverse parti, tra cui la scuola stessa, i docenti, gli studenti, i genitori e l'assicurazione scolastica obbligatoria. È fondamentale che ognuna di queste parti adempia ai propri doveri e adotti le misure necessarie per garantire un ambiente sicuro per gli studenti. La comprensione di queste responsabilità contribuisce a creare una cultura di sicurezza all'interno delle scuole e a tutelare gli interessi degli studenti, promuovendo un ambiente di apprendimento sano e protetto.
(by ChatGPT)
dom
11
giu
2023
Da qualche ora, non ho più accesso né alla mia mail "giovanni.chiricosta@virgilio.it" né al mio profilo Facebook "Giovanni Chiricosta" né alla mia pagina Facebook "Studio Legale Chiricosta & Crea". Se in queste ore ricevete dei messaggi dal mio indirizzo e-mail o dal mio account Messanger sappiate che non sono io, vi terrò aggiornati sulla situazione
sab
10
giu
2023
In molti gruppi forensi (e non solo) corre la notizia (peraltro autentica) che ChatGPT (il più famoso sistema di intelligenza artificiale, ma non l'unico) abbia superato l'esame di abilitazione per avvocato negli Stai Uniti (ovviamente in una simulazione!).
Ciò ha provocato un'ondata di ammirazione fantascientifica in alcuni, terrore nei più: gli avvocati saranno inutili? Preso dalla curiosità, ho provato a sperimentare in prima persona ChatGPT, facendogli scrivere al posto mio dei brevi post giuridici, indicandogli solo l'argomento: Chart GPT ha ideato in titoli e testo, ed i risultati potete leggerli tra gli ultimi post del mio blog. Riassumendo come ragiona ChatGPT potremmo fare questo esempio: dite a un ragazzino di 13 anni (l'età non è un caso) di fare ricerche su Google su un argomento giuridico in particolare per 10 minuti, e poi scrivere un breve testo su quello che ha capito e ricorda.
Il ragazzino, senza alcuna preparazione giuridica legge una quantità di testi, anche discordanti fra loro o magari proprio errati (d'altronde sul web c'è tutto ed il contrario di tutto), e poi cerca di fare una sintesi su quello che crede di aver capito, con il linguaggio e la profondità di pensiero di un ragazzino di 13. magari il primo della classe, ma pur sempre immaturo: ecco, questo è ChatGPT.
Ovviamente parlando di un software si tratta di un risultato straordinario, ma dal punto di vista delle prestazioni percepite è un’altra cosa.
Quando ho letto la notizia (ripeto: vera) che ChatGPT ha superato l'esame di abilitazione per avvocato negli USA mi sono chiesto: come è possibile, visto che in Italia non supererebbe nemmeno Diritto Privato I?
L'unica spiegazione è la differenza dell'esame di abilitazione.
Come presupposto, mentre in Italia abbiamo un ordinamento di cd. "Civil Law", negli USA (ed in Inghilterra) c'è un ordinamento di cd. "Common Law", il che sintetizzando vuol dire che non esistono codici, ma che il diritto viene rimesso interamente all'interpretazione dei suoi attori, avvocati e giudici; già nelle università viene data grandissima importanza all'interpretazione di leggi e contratti, allo studio della giurisprudenza intesa in senso proprio come sentenze precedenti, ed al ragionamento deduttivo personale, piuttosto che alla dottrina. Subito dopo la laurea (avete capito bene, subito dopo) l'aspirante avvocato statunitense può da subito accedere all'esame di abilitazione, che è diverso da Stato a Stato. Ho quindi scoperto che l'esame di abilitazione per avvocato del Connecticut (uno stato a caso) consiste in 350 quiz a risposta multipla e 8 domande a risposta aperta: ci credo che un'intelligenza artificiale è in grado di rispondere!
Il che non vuol dire che gli avvocati statunitensi siano meno preparati di quelli italiani, sia ben chiaro: è solo che si tratta di sistemi talmente diversi da non poter proprio essere equiparati.
Al momento, quindi, direi che possiamo tenerci il titolo ed il posto di lavoro, e di non aver paura dell'intelligenza artificiale, ma anzi di cercare di sfruttarla nel nostro lavoro per farci risparmiare tempo nelle revisioni, o nel copia e incolla, o in altre operazioni ripetitive a cui dare il nostro tocco finale, oltre che la nostra supervisione costante.
E -consentitemelo- con un tocco d'orgoglio su come siamo diventati avvocati, e su come viviamo quotidianamente questo titolo.
sab
10
giu
2023
L'esecuzione forzata è una fase essenziale nel recupero crediti, che permette ai creditori di ottenere il pagamento delle somme dovute dai debitori. Il sistema legale italiano disciplina questa materia nel Codice Civile e nel Codice di Procedura Civile, fornendo le basi per una serie di procedure che possono essere adottate per perseguire il recupero crediti.
Una delle procedure più utilizzate nel recupero crediti è il decreto ingiuntivo, regolato dall'articolo 633 del Codice di Procedura Civile (CPC). Il decreto ingiuntivo consente al creditore di ottenere un titolo esecutivo senza la necessità di un processo ordinario. Questa procedura è disponibile quando il credito è liquido, certo ed esigibile. Il creditore deve presentare una domanda al Tribunale competente, fornendo la documentazione che attesta l'esistenza del credito. Se il giudice ritiene fondata la domanda, emetterà il decreto ingiuntivo, intimando al debitore di pagare la somma richiesta entro un determinato termine. Il decreto ingiuntivo può essere notificato al debitore, che avrà la possibilità di opporsi entro 40 giorni dalla notifica. In caso di opposizione, si avvierà un processo ordinario per risolvere la controversia.
Qualora il debitore non adempia entro il termine stabilito dal decreto ingiuntivo, il creditore può procedere con il precetto, disciplinato dall'articolo 480 del CPC. Il precetto è un atto con cui si ordina al debitore di pagare la somma dovuta entro un breve termine (solitamente 10 giorni) a pena di ulteriori azioni esecutive. Il creditore può notificare il precetto al debitore tramite un ufficiale giudiziario o un avvocato abilitato. Se il debitore non paga entro il termine stabilito dal precetto, il creditore potrà iniziare l'esecuzione forzata per ottenere il pagamento.
Nel contesto del recupero crediti e dell'esecuzione forzata, il pignoramento mobiliare presso il debitore è una procedura legale che consente ai creditori di soddisfare i propri crediti attraverso il pignoramento e la successiva vendita dei beni mobiliari appartenenti al debitore. Questa forma di esecuzione forzata può essere particolarmente rilevante quando si tratta di pignorare autoveicoli.
Il pignoramento di autoveicoli è disciplinato dal Codice di Procedura Civile italiano, in particolare dagli articoli 492 e seguenti. Il creditore che desidera pignorare un'autovettura di proprietà del debitore deve ottenere un'ordinanza di pignoramento emessa dal giudice competente. L'ordinanza di pignoramento specifica l'autovettura da pignorare, e può essere notificata al debitore dal creditore o da un ufficiale giudiziario.
Una volta notificata l'ordinanza di pignoramento al debitore, quest'ultimo diventa obbligato a consegnare l'autovettura al creditore o all'ufficiale giudiziario. Tuttavia, se il debitore non adempie volontariamente all'obbligo di consegna, l'ufficiale giudiziario può procedere al pignoramento forzoso dell'autovettura. L'ufficiale giudiziario deve redigere un processo verbale di pignoramento, che attesta il pignoramento effettuato e contiene una descrizione dettagliata dell'autovettura pignorata.
Dopo il pignoramento dell'autovettura, viene fissata un'asta pubblica per la vendita dei beni pignorati. L'asta pubblica viene annunciata tramite un avviso pubblico, solitamente su un giornale locale o sul sito web dell'ufficio giudiziario competente. Durante l'asta pubblica, gli acquirenti interessati possono fare offerte per l'acquisto dell'autovettura pignorata.
Le offerte ricevute durante l'asta pubblica vengono valutate e l'autovettura viene assegnata all'offerta più alta. Una volta che l'offerta vincente è stata accettata, il creditore riceve il pagamento corrispondente all'importo dell'offerta. Questo importo viene utilizzato per soddisfare il credito del creditore, comprensivo delle spese legali e dei costi dell'esecuzione forzata. Eventuali somme residue vengono restituite al debitore.
È importante notare che nel corso del pignoramento e della vendita dei beni mobiliari, compresi gli autoveicoli, vengono rispettati i diritti del debitore. Il debitore ha la possibilità di presentare opposizione all'ordinanza di pignoramento entro 10 giorni dalla notifica, se ritiene che il pignoramento sia ingiustificato o erroneo. Inoltre, il debitore ha il diritto di partecipare all'asta pubblica e può anche presentare un'offerta per l'acquisto dei propri beni pignorati.
Un’altra forma di esecuzione forzata prevista dal Codice di Procedura Civile è il pignoramento presso terzi, regolato dagli articoli 543 e seguenti del CPC. Questa procedura consente al creditore di pignorare i crediti che il debitore ha nei confronti di terzi, come ad esempio gli stipendi, i conti correnti bancari o i crediti vantati verso terzi. Il creditore deve ottenere un'ordinanza di pignoramento da parte del giudice, che autorizza l'esecuzione. L'ordinanza di pignoramento viene notificata al terzo pignorato, che diventa obbligato a pagare il creditore invece del debitore originario. Il terzo pignorato ha il diritto di opporsi entro 10 giorni dalla notifica dell'ordinanza.
Un'altra forma di esecuzione forzata è il pignoramento immobiliare, disciplinato dagli articoli 555 e seguenti del CPC. Questa procedura consente al creditore di pignorare un immobile di proprietà del debitore per soddisfare il credito. Il pignoramento immobiliare richiede un'ordinanza di pignoramento emessa dal giudice competente, che sarà trascritta presso l'ufficio del Conservatore dei Registri Immobiliari. Successivamente, l'immobile sarà venduto all'asta pubblica e il ricavato della vendita sarà utilizzato per soddisfare il credito del creditore. Il debitore ha il diritto di opporsi all'ordinanza di pignoramento entro 10 giorni dalla notifica.
In conclusione, il sistema legale italiano offre diverse forme di recupero crediti ed esecuzione forzata per consentire ai creditori di ottenere il pagamento delle somme dovute. Tra queste, il decreto ingiuntivo, il precetto, il pignoramento presso terzi e il pignoramento immobiliare sono procedure ampiamente utilizzate. È importante che gli avvocati e i creditori siano ben informati su queste procedure e agiscano nel rispetto delle disposizioni del Codice Civile e del Codice di Procedura Civile Italiano al fine di perseguire in modo efficace il recupero dei crediti.
Edited by ChatGPT
mer
31
mag
2023
Le responsabilità civili in caso di sinistro tra auto in colonna
I sinistri stradali sono eventi sfortunati che possono comportare gravi conseguenze per i conducenti e i passeggeri coinvolti. Nel caso specifico di un incidente tra auto in colonna, è importante comprendere le responsabilità civili coinvolte per stabilire l'assegnazione delle colpe e i relativi risarcimenti.
Quando si verifica un sinistro tra auto in colonna, l'assegnazione delle responsabilità civili dipende dalle circostanze specifiche dell'incidente. In generale, il conducente che segue il veicolo di fronte è tenuto a mantenere una distanza di sicurezza sufficiente per evitare collisioni. Tuttavia, la responsabilità può variare a seconda della parte del veicolo coinvolta nell'incidente.
Nel caso in cui due veicoli in colonna entrino in collisione con la parte anteriore, la responsabilità può essere attribuita al conducente del veicolo che segue. Secondo l'articolo 141 del Codice della Strada, ogni conducente è tenuto a mantenere una distanza di sicurezza sufficiente per evitare l'impatto con il veicolo che lo precede. Se il conducente non rispetta questa norma e causa un sinistro, potrebbe essere considerato responsabile dell'incidente. Il conducente coinvolto potrebbe essere chiamato a risarcire i danni subiti dal veicolo antecedente e dalle persone coinvolte nel sinistro.
Nel caso in cui un veicolo in colonna entri in collisione con la parte posteriore di un altro veicolo fermo o in movimento ridotto, la responsabilità potrebbe essere attribuita al conducente del veicolo che si trova dietro. Secondo l'articolo 143 del Codice della Strada, il conducente deve essere in grado di arrestare il proprio veicolo senza urtare il veicolo che precede. Se il conducente non riesce a rispettare questa norma e provoca un sinistro, potrebbe essere considerato responsabile e tenuto a risarcire i danni subiti dal veicolo antecedente e dalle persone coinvolte nell'incidente.
Nei casi in cui un sinistro coinvolga molte auto in colonna, la responsabilità può essere attribuita a più conducenti, in base alle circostanze specifiche di ciascun veicolo coinvolto
Il codice delle assicurazioni, in particolare l'articolo 141, disciplina la responsabilità dell'assicurato in caso di sinistro stradale. Secondo questa norma, l'assicuratore dell'assicurato responsabile dell'incidente è tenuto a risarcire i danni causati all'altro veicolo coinvolto. Tuttavia, se il conducente che tampona dimostra di non essere responsabile o di aver adottato tutte le misure per evitare l'incidente, l'assicuratore potrebbe rifiutarsi di pagare il risarcimento, spettando alla corte competente decidere sulla questione.
La dinamica di un sinistro tra due auto o tra molte auto in colonna può influire sulla determinazione delle responsabilità civili. Nel caso di un incidente tra due auto, la responsabilità civile può essere attribuita principalmente al conducente che ha causato l'incidente. Tuttavia, quando l'incidente coinvolge molte auto in colonna, la valutazione delle responsabilità può risultare più complessa.
In questi casi, la Corte di Cassazione si è pronunciata su diversi criteri per stabilire le responsabilità. È stato stabilito che, in assenza di prove contrarie, la presunzione di responsabilità ricade sul conducente che tampona l'auto anteriore. Tuttavia, sono state riconosciute circostanze in cui l'auto centrale o l'auto posteriore possono essere ritenute responsabili in parte o totalmente per l'incidente. La valutazione dipenderà dalle specifiche circostanze del caso e dalle prove presentate.
In caso di sinistro tra auto in colonna, le responsabilità civili possono differire a seconda che il veicolo si trovi nella parte anteriore o posteriore dell'incidente. Il conducente che tampona un'altra auto è generalmente considerato responsabile, mentre il conducente dell'auto colpita potrebbe avere una parziale responsabilità in alcune situazioni.
Le norme del codice civile e del codice delle assicurazioni stabiliscono l'obbligo di stipulare un'assicurazione responsabilità civile auto per coprire i danni causati a terzi. Le sentenze della Corte di Cassazione forniscono orientamenti sulla determinazione delle responsabilità in caso di sinistro tra auto in colonna, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso.
È fondamentale consultare un avvocato specializzato in diritto civile e assicurativo per ottenere una consulenza legale personalizzata in base alle specifiche circostanze dell'incidente.
mer
17
mag
2023
Divisione ereditaria tra moglie e figli
Secondo il codice civile italiano, l'eredità viene suddivisa tra la moglie e i figli del defunto in base a specifiche regole. La suddivisione dipende principalmente dal fatto che il defunto abbia lasciato un testamento o meno.
In assenza di testamento:
Se il defunto lascia il coniuge e figli comuni, il coniuge ha diritto a una quota di proprietà pari a un terzo dell'eredità, mentre i due terzi rimanenti sono divisi in parti uguali tra i figli.
Se il defunto lascia solo il coniuge senza figli comuni, il coniuge ha diritto a una quota di proprietà pari a metà dell'eredità, mentre l'altra metà sarà suddivisa tra gli eredi legittimi del defunto (ad esempio, i genitori o i fratelli) in mancanza di altri parenti più prossimi.
Se il defunto lascia solo i figli senza il coniuge, l'eredità è suddivisa tra i figli in parti uguali.
Con testamento:
Il testamento può modificare la suddivisione legale dell'eredità, ma non può privare completamente il coniuge dei suoi diritti di legittima.
La legittima è la quota dell'eredità di cui il coniuge non può essere privato, anche con testamento. Questa quota varia a seconda delle circostanze, ad esempio se il defunto lascia figli o altri parenti più prossimi.
Le quote ereditarie indisponibili sono le quote che non possono essere disposte liberamente attraverso un testamento o altre disposizioni testamentarie. Sono stabilite dalla legge al fine di proteggere gli interessi dei familiari più stretti del defunto. In base al Codice Civile italiano, le quote ereditarie indisponibili sono le seguenti:
Quota di legittima: La legittima rappresenta la parte dell'eredità che, per legge, deve essere riservata ai cosiddetti "legittimari", ovvero i familiari del defunto che hanno un diritto di successione privilegiato. I legittimari sono generalmente il coniuge e i figli, anche adottivi. La quota di legittima varia in base al numero di legittimari e può essere metà o due terzi dell'eredità.
Quota di riserva: La quota di riserva rappresenta la parte dell'eredità che deve essere riservata ai legittimari. La legge stabilisce che i legittimari devono ricevere una quota di eredità minima, chiamata quota di riserva, che non può essere esclusa o limitata dal testamento del defunto. La quota di riserva corrisponde a metà dell'asse ereditario se il defunto ha un solo figlio, oppure a due terzi se ha due o più figli.
È importante sottolineare che le quote di legittima e di riserva possono variare in base alle circostanze specifiche e alle disposizioni del Codice Civile. In alcuni casi, ad esempio, le quote di legittima possono essere più alte se il defunto ha genitori ancora viventi o altri familiari che rientrano nella categoria dei legittimari. Per ottenere informazioni precise sulle quote ereditarie indisponibili e sulla situazione specifica, è consigliabile consultare un avvocato specializzato in diritto delle successioni.
In ogni caso, la legittima del coniuge non può essere inferiore a un quarto dell'eredità.
È importante notare che le disposizioni del testamento devono rispettare i limiti imposti dalla legge in materia di legittime. In caso di controversie sulla divisione dell'eredità, è consigliabile consultare un avvocato specializzato in diritto successorio o un notaio.
sab
13
mag
2023
Lo Studio Legale Chiricosta & Crea sempre più social!
Dopo essere presenti su Facebook con una propria pagina, e oltre ad avere già un profilo Linkedin, lo studio Chiricosta & Crea approda anche su Twitter, il celebre social network di informazione, opinione e microblogging.
Un altro strumento in più per essere più a contatto con l’utenza, per diffondere i contenute del nostro blog scrivere diritto e non solo.
Anche se appena nato, il nostro profilo twitter è già ricco di contenuti, provare per credere.
Nel frattempo continua la nostra sperimentazione con ChatGPT, utilizzando l’ormai noto strumento per la redazione di articoli, in un’ottica a lungo termine di implementazione dell’intelligenza artificiale nell’organizzazione dello studio, ed i cui primi risultati sono stati già condivisi.
Fateci sapere nei commenti cosa ne pensate.
mer
10
mag
2023
Vendita di un immobile abusivo (da ChatGPT)
La vendita di un immobile parzialmente abusivo è una questione complessa che richiede una valutazione attenta delle norme di legge applicabili e delle conseguenze legali che possono derivare da una tale transazione.
In primo luogo, è importante chiarire cosa si intende per "immobile parzialmente abusivo". Si tratta di un'edificazione realizzata in violazione delle norme urbanistiche e edilizie vigenti, ma che presenta anche parti di costruzione che rispettano le prescrizioni normative. In altre parole, si tratta di un'opera edilizia in cui sono presenti sia elementi regolari che elementi irregolari.
La possibilità di vendere un immobile parzialmente abusivo dipende dalla natura dell'abuso e dalle conseguenze giuridiche che ne derivano. In generale, il Codice Civile prevede che la proprietà di un bene immobile comprende anche i diritti di godimento e di disposizione del bene stesso. Tuttavia, nel caso di un immobile abusivo, questi diritti possono essere limitati o addirittura annullati a causa della violazione delle norme urbanistiche ed edilizie.
In particolare, la legge prevede che l'abuso edilizio possa essere sanzionato con diverse misure, tra cui la demolizione dell'opera abusiva, la sanatoria dell'abuso mediante il pagamento di una sanzione, la confisca dell'immobile abusivo e la sua destinazione ad uso pubblico.
Nel caso di un immobile parzialmente abusivo, la possibilità di vendita dipende dal tipo di abuso e dalla sua gravità. In genere, se l'abuso riguarda solo parti limitate dell'edificio, è possibile procedere alla vendita dell'immobile, a condizione che il proprietario abbia già provveduto alla sanatoria dell'abuso e alla regolarizzazione dell'opera edilizia mediante il pagamento della sanzione prevista dalla legge.
Tuttavia, se l'abuso riguarda parti sostanziali dell'edificio o compromette la staticità e la sicurezza dell'immobile, la vendita può essere impedita dalla legge. In questo caso, il proprietario dell'immobile deve provvedere alla demolizione delle parti abusive o alla loro regolarizzazione, prima di poter procedere alla vendita dell'immobile.
In conclusione, la vendita di un immobile parzialmente abusivo dipende dalle caratteristiche dell'abuso edilizio e dalla sua gravità. Prima di procedere alla vendita di un immobile parzialmente abusivo, è necessario valutare attentamente la sua situazione legale e verificare che tutte le prescrizioni normative siano state rispettate. In caso contrario, è opportuno provvedere alla regolarizzazione dell'immobile prima di procedere alla vendita.
Edited by ChatGPT
sab
06
mag
2023
Multa per eccesso di velocità: che fare?
Impugnare una multa notificata per eccesso di velocità può sembrare una sfida difficile da affrontare per molti automobilisti, ma in realtà ci sono diverse opzioni di ricorso previste dal Codice della Strada italiano.
Innanzitutto, è importante comprendere che le multe notificate per eccesso di velocità sono regolate dall'art. 142 del Codice della Strada. Secondo questo articolo, l'infrazione è accertata da un dispositivo di rilevazione della velocità, come un autovelox, un semaforo a controllo elettronico o un radar. Tuttavia, il primo passo per impugnare una multa notificata per eccesso di velocità è sempre quello di leggere attentamente la sanzione e accertarsi che tutti i dati siano corretti e coerenti.
Uno dei motivi più comuni per impugnare una multa notificata per eccesso di velocità è l'errore nella notifica della sanzione. L'art. 201 del Codice della Strada stabilisce che la notifica della sanzione deve avvenire entro 90 giorni dalla data di accertamento dell'infrazione. Se la notifica è stata effettuata oltre questo termine, la sanzione può essere impugnata e annullata.
Un altro motivo per impugnare una multa notificata per eccesso di velocità è l'errore nella misurazione della velocità. L'art. 143 del Codice della Strada prevede che il dispositivo di rilevazione della velocità debba essere sottoposto a periodiche verifiche di precisione. Se l'automobilista ritiene che la velocità misurata sia stata errata, può richiedere la revisione della sanzione tramite la presentazione di un ricorso al Prefetto entro 60 giorni dalla notifica della multa.
Un altro motivo per impugnare una multa notificata per eccesso di velocità è la mancanza di segnalazione della presenza del dispositivo di rilevazione della velocità. L'art. 145 del Codice della Strada stabilisce che la presenza dei dispositivi di rilevazione della velocità deve essere segnalata in modo visibile e anticipato. Se l'automobilista ritiene che la segnalazione non sia stata adeguata, può richiedere la revisione della sanzione tramite la presentazione di un ricorso al Prefetto entro 60 giorni dalla notifica della multa.
Infine, un altro motivo per impugnare una multa notificata per eccesso di velocità è la mancanza di identificazione del conducente. L'art. 126-bis del Codice della Strada prevede che il proprietario del veicolo debba identificare il conducente al momento dell'infrazione. Se il proprietario non riesce ad identificare il conducente, può richiedere la cancellazione della sanzione entro 60 giorni dalla notifica della multa.
In conclusione, se si riceve una multa notificata per eccesso di velocità, è importante leggere attentamente la sanzione e accertarsi che tutti i dati siano corretti e coerenti. In caso contrario, è possibile presentare un ricorso al Prefetto entro i termini previsti, o fare ricorso al Giudice di Pace.
mer
03
mag
2023
Quanti tipi di testamento esistono in Italia?
Il testamento è l'atto con cui una persona dispone dei propri beni per il momento successivo alla sua morte. In base al diritto italiano, esistono quattro tipi di testamento: il testamento olografo, il testamento pubblico, il testamento segreto e il testamento speciale.
Il testamento olografo è disciplinato dall'articolo 602 del Codice Civile. Si tratta di un testamento scritto di pugno dal testatore, che deve essere maggiorenne e in possesso delle facoltà mentali. Questo tipo di testamento non richiede la presenza di testimoni o di un notaio, ma deve essere interamente scritto a mano dal testatore, datato e firmato. Inoltre, il testatore deve indicare nel testamento la data e il luogo di redazione. Il testamento olografo è un documento personale, pertanto non può essere redatto da un'altra persona per conto del testatore. In caso di dubbio sulla paternità del testamento olografo, spetta al giudice stabilire l'autenticità della scrittura.
Il testamento pubblico è disciplinato dall'articolo 603 del Codice Civile. Si tratta di un testamento redatto davanti a un notaio o a due testimoni. Il testatore deve essere maggiorenne e in possesso delle facoltà mentali. Il notaio o i testimoni devono essere presenti durante la redazione del testamento e attestare la volontà del testatore. In caso di testamento pubblico, non è necessario che il testatore scriva il documento di proprio pugno. Il notaio o i testimoni si occupano della redazione del documento, che deve essere sottoscritto dal testatore e dai testimoni. Il testamento pubblico è un documento ufficiale, pertanto ha un valore probatorio maggiore rispetto al testamento olografo.
Il testamento segreto è disciplinato dall'articolo 614 del Codice Civile. Si tratta di un testamento redatto dal testatore senza la presenza di testimoni o di un notaio, ma consegnato in busta chiusa a un notaio, che ne deve fare menzione in un atto notarile. Il testatore deve indicare sulla busta i dati identificativi del notaio, nonché la data e il luogo di redazione. La busta viene poi sigillata dal testatore e consegnata al notaio, che la conserva in un luogo sicuro. La volontà del testatore viene quindi mantenuta segreta fino alla sua morte.
Il testamento speciale è un testamento redatto in circostanze eccezionali, in cui condizioni oggettive o soggettive rendono impossibile la redazione di un testamento tradizionale, per esempio durante eventi quali un terremoto o un’inondazione, o in punto di morte del testatore. Il codice civile cita, a titolo id esempio, il testamento redatto a bordo della nave e raccolto dal comandante (art. 611 del codice civile).
In questo caso, la presenza del notaio è obbligatoria e l'atto deve essere sottoscritto anche dai testimoni.
In ogni caso, è importante ricordare che il testamento è un atto molto importante che richiede attenzione e cura nella sua redazione. È sempre consigliabile rivolgersi ad un professionista del diritto che saprà consigliarvi nella scelta migliore.
sab
29
apr
2023
Infiltrazioni in Condominio
Le infiltrazioni in Condominio sono un problema molto comune in Italia, che spesso genera tensioni e dispute tra i condomini. In questo articolo, cercheremo di fare chiarezza su cosa prevede il diritto italiano in materia di infiltrazioni in condominio, facendo riferimento alle norme di legge e alla giurisprudenza.
Innanzitutto, va precisato che l'infiltrazione è definita come l'ingresso di acqua o di altri liquidi nell'unità immobiliare di un condominio, proveniente da una parte comune o da un'altra unità immobiliare. Secondo la legge italiana, la responsabilità per le infiltrazioni dipende dal tipo di danno causato.
Se l'infiltrazione proviene da una parte comune del Condominio, la responsabilità ricade sull’amministratore condominiale, che ha il dovere di vigilare sulla manutenzione e sulla conservazione delle parti comuni dell'edificio (art. 1130 del Codice Civile).
Se invece l'infiltrazione proviene da un'altra unità immobiliare, la responsabilità ricade sul proprietario dell'unità immobiliare da cui proviene l'infiltrazione (art. 2051 del Codice Civile). In questo caso, il proprietario dell'unità immobiliare danneggiata ha il diritto di richiedere un risarcimento per i danni subiti.
Va precisato che, per poter richiedere un risarcimento, è necessario provare che l'infiltrazione sia effettivamente stata causata dalla negligenza o dall'imperizia del proprietario dell'unità immobiliare da cui proviene l'infiltrazione. Inoltre, il proprietario dell'unità immobiliare danneggiata deve provare l'entità dei danni subiti, mediante perizie e documentazione fotografica.
È importante sottolineare che la responsabilità per le infiltrazioni può essere anche condivisa tra più condomini, nel caso in cui l'infiltrazione provenga da parti comuni dell'edificio che sono di competenza di più proprietari (ad esempio, un tetto o una parete esterna). In questo caso, la responsabilità ricade su tutti i condomini che hanno la custodia e la gestione delle parti comuni interessate.
In caso di dispute tra i condomini, è possibile ricorrere alla mediazione civile, un procedimento che prevede la nomina di un mediatore che cerca di favorire un accordo tra le parti in conflitto. In alternativa, è possibile ricorrere al giudice, che sarà chiamato a valutare le prove e a decidere in merito alla responsabilità e al risarcimento dei danni.
In conclusione, le infiltrazioni in condominio sono un problema che può generare molte tensioni e dispute tra i condomini.
È importante conoscere le norme di legge e la giurisprudenza in materia, al fine di comprendere le proprie responsabilità e i propri diritti in caso di infiltrazioni. In ogni caso, è sempre consigliabile cercare di risolvere il problema in modo amichevole e conciliativo, al fine di evitare costose e stressanti cause legali.
mar
24
gen
2023
Si avvisano clienti e colleghi che l'indirizzo e-mail giovanni.chiricosta@virgilio.it è momentaneamente fuori uso, si invitano gli utenti ad utilizzare gli altri contatti indicati sul sito (PEC, messenger, fax, etc.)
mer
13
lug
2022
Quel “pasticciaccio brutto” di Google Analytics
Il nostro Garante della privacy, sulla scia di quanto già pronunciato dai suoi omologhi francese, austriaco e danese, e soprattutto dopo la pronuncia della Corte di Giustizia Europea (C-311/18, del 16 luglio 2020 -c.d. Schrems II) il 9/6/2022 ha pronunciato un primo provvedimento sanzionatorio contro l’utilizzo di Google Analytics, che potete leggere al seguente link:
https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9782890.
Invito tutti a leggere chiaramente il provvedimento, perché sui social rimbalza la (falsa) notizia che il garante abbia sanzionato Google Analytics: niente di più lontano dalla realtà. Il Garante ha sanzionato una società perché verificava il traffico dati sul proprio sito a mezzo appunto di Google Analytics, che “traccia” il traffico internet a mezzo dei cookies e di altri strumenti analoghi, producendo dati massivi (e anonimi) a disposizione del webmaster e soprattutto del titolare del sito.
La sanzione nasce da fatto che, in ipotesi, Google potrebbe “fisicamente” conservare tali dati (facendo uno sforzo di immaginazione per la fisicità di tali dati) nei propri server situati negli Stati Uniti anziché in quelli situati in Europa; se immaginate Google come un enorme computer in America vi sbagliate: Google possiede dei Server (in pratica enormi edifici con all’interno centinaia di computer, ciascuno grande come un armadio, e tutti collegati tra loro) in ogni continente, e nonostante Internet dia l’impressione di funzionare in tempo reale, tra un server in Europa e un server negli Stati Uniti c’è un tempo di latenza di svariati secondi, che moltiplicato per miliardi di sessioni fa una grande differenza.
Tutto ciò vuol dire che, nella stragrande maggioranza dei casi, i dati dei siti italiani si trovano nei server europei di Google (ce ne sono sei, ma nessuno in Italia), anche se Big G si riserva di effettuare un “trasloco” (cosa che in effetti è realmente successa nel singolo caso trattato dal Garante, e comunicata ufficialmente da Google), e, sempre in ipotesi, tali dati potrebbero essere ottenuti dalle autorità governative americane senza passare dalle autorità giudiziarie, e/o comunque senza le tutele previste dagli ordinamenti GDPR europei ed italiano in particolare.
E, sempre in ipotesi, Google ha gli strumenti tecnici per identificare i singoli indirizzi IP, e con quelli i numeri di cellulare, oltre a svariati dati sensibili (per esempio a tutto quello che pubblichiamo sui nostri social, per dire…).
Il problema è quindi la possibilità che i nostri dati (soprattutto cookies e indirizzi IP) vengano trattati in violazione del GDPR, ma ad essere sanzionata, ricordiamo, è stato il singolo sito internet, non Google che, avendo sede negli Stati Uniti, non è tenuta al rispetto delle norme europee e soprattutto non è sanzionabile dal nostro garante.
Perché questa pronuncia ha fatto così tanto rumore?
Perché Google Analytics è lo strumento più utilizzato dai webmaster (ma si usa ancora questo termine?) di tutto il mondo, perché è estremamente raffinato, performante, ma soprattutto completamente gratuito. Le alternative valide esistono, ma sono tutte a pagamento, mentre gli strumenti gratuiti non sono lontanamente paragonabili allo strumento di Google.
Ma anche per il tempo impiegato per utilizzarlo. Nel caso di un piccolo sito web, un webmaster improvvisato (ossia quando non si disponga di un team di IT…) ha dovuto: studiare un programma (in inglese) di settimane, con tanto di esame finale da superare necessariamente a pieni voti; il collegamento del proprio sito a Google Analytics (operazione che può portar via un paio di giorni); la personalizzazione di Analytics alle proprie esigenze (sperimentazione che può durare settimane o anche mesi); analisi periodica dei risultati. Dopo tutto ciò, è comprensibile come leggere on line titoli come “Google Analytics illegale in Italia…” abbia letteralmente gettato nel panico migliaia di sviluppatori, che avrebbero sprecato mesi di lavoro per dover ricominciare da capo.
Ma naturalmente Google è a conoscenza della situazione da tempo, tanto è vero che il prossimo aggiornamento (Google Analitics 4) prevede degli strumenti per “anonimizzare” i dati, e rendere comunque impossibile risalire ai singoli indirizzi IP, oltre a prevedere (ma su questo non sono sicuro) la possibilità di impedire la conservazione a lungo termine dei dati sui server americani. La pronuncia del nostro Garante va quindi presa come riferimento per poter continuare a gestire i dati sul traffico con uno strumento di analisi (che può benissimo essere Google Analytics 4), ma nel rispetto delle direttive indicate. Invito gli interessati (sviluppatori web) a leggersi il provvedimenti del Garante al link da me indicato, prima di cancellare il proprio profilo e a ricominciare tutto da capo.
lun
20
dic
2021
Appunti di giustizia predittiva
Recensione al volume “Interpretazione della legge con modelli matematici” di Luigi Viola
Ho appena concluso la lettura del libro “Interpretazione della legge con modelli matematici” di Luigi Viola –edizioni Diritto Avanzato-, e devo confessare che mi ha sorpreso; ho acquistato il testo carico di pregiudizi, e già pregustavo l’opportunità di poterlo confutare in qualche punto, sembrandomi assurdo che un computer possa sostituire un giudice o un avvocato.
Prima di sorridere dell’ipotesi, sappiate che non ha senso interrogarci sul “se” o sul “quando”, ma solo sul ”come” tutto ciò influirà sul nostro lavoro; la giustizia predittiva esiste già ed è applicata (seppur ancora a livello sperimentale) in alcuni ordinamenti come negli Stati Uniti ed in Francia.
Il testo di Viola riporta l’argomento dalla fantascienza allo studio del diritto più tradizionale, tornando alle sue fonti, e addirittura alle preleggi, in particolare all’art. 12, che detta al giurista i criteri di interpretazione della legge, ed in particolare l’ordine di tali criteri: interpretazione letterale, interpretazione teleologica, analogia legis e analogia iuris. Ognuno di tali criteri è suppletivo del precedente, ossia è applicabile solo quando il criterio che lo precede non ha portato a risultati certi. L’operazione dell’interprete che applica prima l’interpretazione letterale, e che se questa non funziona si passa via via alle successive, può essere sintetizzata graficamente con un diagramma di flusso, e matematicamente con un banale algoritmo, che altro non è che una sequenza ben precisa di operazioni. Ovviamente il diritto non ha la stessa certezza della matematica, per cui (in base al noto principio tot capita, tot sententiae) anche l’applicazione di uno stesso criterio può dare esiti diversi.
Anche questa circostanza può essere tradotta in linguaggio matematico, inserendo nell’equazione come +1 ogni argomento a favore di una determinata tesi, e come “-1” ogni argomento contrario: all’esito del bilanciamento tra argomenti, si saprà qual è l’argomento prevalente. Se ci si pensa, è quello che facciamo normalmente noi avvocati (e anche i giudici) quando facciamo una ricerca negli archivi di giurisprudenza per argomento: sfogliando (più o meno rapidamente…) le massime, riusciamo a individuare qual è l’orientamento prevalente, ed anche a individuare qual è l’argomentazione più pregnante, specie quando dobbiamo difendere l’orientamento minoritario.
L’algoritmo è stato testato da Viola analizzando alcuni orientamenti giurisprudenziali dubbi, giungendo a prevedere l’orientamento nomofilattico delle Sezioni Unite, prima della sentenza “vera”.
Se ve lo state chiedendo, l’autore non ha utilizzato un software vero e proprio, ma si è limitato ad utilizzare l’algoritmo (che può essere ridotto ad una banale equazione con carta e penna), ma analizzando gli argomenti giurisprudenziali pro e contro con l’occhio del giurista, fino a ridurli a termini di un’equazione, per poi svolgere quest’ultima. Ovviamente negli ordinamenti in cui questo viene effettivamente utilizzato si adoperano i più avanzati sistemi di machine learning e big data, per tradurre in linguaggio logico il linguaggio giuridico di un numero altissimo di testi di legge, sentenze, contratti etc. etc. Nell’ipotesi di Viola è stato lui stesso a tradurre in termini matematici gli argomenti delle varie sentenze, nell’applicazione concreta sarà un software (con istruzioni inizialmente fornite anche da un giurista) a leggere, e soprattutto continuare a leggere, le varie sentenze ed i testi di legge.
A vederla “in funzione” -cioè a seguire passo per passo lo svolgimento dell’equazione in casi reali- l’algoritmo è, dal punto di vista del giurista, di una banalità disarmante eppure geniale insieme, seppur ha ovviamente dei limiti intrinseci: la sua applicabilità nel diritto penale (per la minore applicabilità dell’analogia) e la difficoltà operativa nei casi in cui vengano in soccorso dell’interprete le cd. clausole generali (come ad es. la buona fede) in cui l’estrema soggettività dell’interpretazione rende difficile la trasposizione di un argomento in termine di un’equazione.
A monte di tutto ciò, lo stesso autore avverte più volte che tutto questo sistema può essere solo di supporto al giurista, e in sua sostituzione (lo dico per chi già teme per la propria professione, già a rischio per mille motivi).
Non ho alcun dubbio che, come già visto con il processo telematico e tutti gli strumenti che comporta, anche la giustizia predittiva verrà a breve utilizzata nel nostro ordinamento (la Corte d’Appello di Brescia ha già avviato una sperimentazione in tal senso), e per questo dicevo che non ha senso interrogarsi sul “se” o sul “quando” ciò avverrà, perché sarà qualcosa con cui tutti noi avremo a che fare a breve, per cui meglio essere preparati.
Tuttavia alcuni dubbi mi rimangono, e voglio farvene un esempio concreto: poniamo che in un universo alternativo i software di giustizia predittiva siano quotidianamente in uso da 30 anni, e senza contestazione alcuna; in un universo del genere, quel capolavoro di sentenza che è la SSUU 550/99 sulla risarcibilità degli interessi legittimi, che tutti noi abbiamo dovuto studiare all’università, non avrebbe visto la luce, o meglio non l’avrebbe vista in quel momento ed in quel contesto, in cui gli argomenti assolutamente prevalenti andavano in senso decisamente contrario, e gli ermellini hanno avuto decisamente coraggio a scrivere quello che sarebbe diventato un nuovo caposaldo del nostro ordinamento, e non un semplice revirement; naturalmente potrei fare altri mille esempi (magari qualcuno si ricorda dei “pretori d’assalto” degli anni ’70), ma questo è il primo che mi è venuto in mente
Ecco, il mio dubbio è che, con l’applicazione della giustizia predittiva, possa venire a mancare la funzione creatrice ed evolutiva della giurisprudenza più illuminata, in favore di una giustizia più performante e funzionale.
ven
15
ott
2021
La sopravvenuta inutilità del divieto di disporre accertamenti sanitari nei confronti del dipendente alla luce dell’inaspettata situazione pandemica
Le straordinarie limitazioni imposte nel sistema del diritto del lavoro dall’imprevedibile esplosione della pandemia hanno inciso sensibilmente sulla maggior parte degli istituti giuslavoristici: dall’esteso ricorso agli ammortizzatori sociali, normalmente destinati ad offrire numerose misure di sostegno al reddito ai lavoratori che hanno perso il lavoro, ad una disciplina semplificata del lavoro a distanza (prima telelavoro, oggi “smart working”), fino ad arrivare al blocco dei licenziamenti per lungo periodo.
L’articolo 5 della L. 20/05/1970, n. 300, nella sistemazione statutaria, a tutela della libertà e dignità del lavoratore opportunamente prevede, tuttora, il divieto di indagini da parte del datore di lavoro sulla idoneità e infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente, con il riconoscimento della facoltà di far controllare l’idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.
Occorre dunque chiedersi se il divieto di accertamenti sanitari all’art 5 St. Lav. sia compatibile con l’emergenza sanitaria in atto.
Si tratta invero di una situazione imprevista e presumibilmente imprevedibile all’epoca dell’approvazione della norma, che tuttavia rende indispensabile, nel contesto emergenziale, una interpretazione congiunta di tale norma con ulteriori disposizioni: da un lato con la previsione contenuta nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid 19 negli ambienti di lavoro, siglato il 14 marzo 2020, interamente recepito nel Dpcm 22 marzo 2020 e poi integrato il 24 aprile 2020, ove viene espressamente stabilito che “il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro, potrà essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5°C l’ingresso ai luoghi di lavoro non sarà consentito”; dall’altro con la previsione di cui all’art. 20 del dlgs. n. 81/2008, che configura un vero e proprio “dovere di collaborazione” dei lavoratori con il datore di lavoro nell’attuazione delle misure di sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro.
In particolare tale ultima norma prescrive espressamente che “ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”, stabilendo poi che tra gli obblighi previsti al c. 2, lett. i) dell’art. 20, rientra anche quello di “sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente”.
Ora, è chiaro che né l’art. 5, l. 300/1970, né il dlgs. n. 81/2008 potevano prevedere il verificarsi di vicende eccezionali come quelle della pandemia mondiale e dell’emergenza sanitaria che ne è scaturita. Tuttavia, dal momento le disposizioni del Testo unico sulla Sicurezza nei luoghi di lavoro hanno lo scopo di estendere ai lavoratori la responsabilità di partecipare alla gestione della sicurezza all'interno del complesso produttivo per allargare il livello di coinvolgimento dei diversi attori a vario titolo presenti all’interno dei luoghi di lavoro, la disciplina della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro consente di realizzare una trasformazione del lavoratore da soggetto passivo degli obblighi di sicurezza datoriali a soggetto attivo che prende parte alla programmazione della gestione della sicurezza all’interno del contesto produttivo e che come tale deve collaborarvi adottando ogni necessaria diligenza.
Più specificamente, a norma dell'art. 20 del dlgs. n. 81/08, che riproduce quasi integralmente il contenuto delle disposizioni già contenute all’art. 5 del d. lgs. n. 626/94 integrandolo ed ampliandolo, i lavoratori devono osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti per garantire una completa protezione collettiva e individuale; utilizzare correttamente i macchinari, le apparecchiature, gli utensili, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e le altre attrezzature di lavoro, nonché i dispositivi di sicurezza; utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione; segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi utilizzati nello svolgimento dell’attività lavorativa, nonché le altre eventuali condizioni di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell'ambito delle loro competenze e possibilità, per eliminare o ridurre tali deficienze o pericoli, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo; non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori; sottoporsi ai controlli sanitari previsti nei loro confronti; contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento di tutti gli obblighi imposti dall’autorità competente o comunque necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro; altri doveri di protezione sono imposti anche al datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti.
Facciamo ora un’analisi dell’ambito di applicazione dell’art. 2087 c.c..
L’area oggettiva di applicabilità della responsabilità civile del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è molto vasta, e può vantare una casistica sterminata. Darne conto in maniera esaustiva è compito sommamente difficile, forse impossibile, anche perché la materia continua a nutrirsi di una realtà in continua evoluzione, che richiede soluzioni spesso innovative. Tuttavia, possono essere tenuti presenti alcuni principi fondamentali di applicazione, che fino ad oggi hanno fatto da guida agli operatori ed agli interpreti che hanno dovuto analizzare ed attuare le implicazioni conseguenti all’obbligo generale di sicurezza, che grava sull’imprenditore e sul datore di lavoro.
Sotto il profilo formale l’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di predisporre tutte le misure dettate dalla «particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica».
Il primo inciso si riferisce ai rischi ed alle nocività specifiche dell’attività lavorativa che viene svolta. L’esperienza è ciò che consente di prevedere e valutare i rischi in base ad eventi già verificati e pericoli valutati in precedenza. La tecnica impone di tenersi aggiornati sui sistemi di sicurezza messi a disposizione dal progresso scientifico (Persiani, Lepore).
L’imprenditore è quindi obbligato a porre in essere, oltre alle misure di sicurezza previste da norme di prevenzione, anche quelle dette «innominate », ossia quelle che, «ancorché non espressamente imposte dalla legge o da altra fonte equiparata, siano suggerite da conoscenze sperimentali o tecniche ovvero dagli standard di sicurezza normalmente osservati» (Cass. civ., sez. lav., 30 giugno 2016, n. 13465, in Repertorio: 2016, Lavoro [rapporto] ).
L’obbligo di sicurezza imposto all’imprenditore dall’art. 2087 c.c. è finalizzato alla tutela della salute e dell’integrità psico-fisica del lavoratore (ma anche di altri soggetti, si veda infra), e non prescrive o vieta comportamenti tipici.
Talché tale obbligo non riguarda solamente i comportamenti del datore di lavoro che direttamente possono costituire un rischio per i lavoratori, bensì anche le condotte che indirettamente possono determinare un danno all’integrità dei lavoratori (Mimmo). In particolare, la giurisprudenza ha valutato con particolare rigore la funzione di vigilanza che il datore di lavoro deve dispiegare in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. All’imprenditore è pertanto chiesto di vigilare affinché i dipendenti con compiti direttivi e comunque di responsabilità provvedano con solerzia a far rispettare le regole prevenzionistiche.
Sulla scorta delle previsioni del T.U. sulla sicurezza dei luoghi di lavoro (d.lgs. n. 81/2008) il dovere di vigilanza dell’imprenditore risulta ancora più esteso, dovendo essere esercitato anche nei confronti dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori, degli installatori e del medico competente (Cass. pen., 20 settembre 2011, n. 34373, in Notiziario di giurisprudenza del lavoro, 2011, 598); ferma restando tuttavia l’esclusiva responsabilità di tali soggetti qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti.
Il dovere di vigilanza si estende fino al controllo sul rispetto delle prescrizioni antinfortunistiche, sull’effettivo e corretto utilizzo dei dispositivi di sicurezza da parte di ogni singolo lavoratore, sicché le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente (Cass. civ., sez. lav., 17 aprile 2004, n. 7328).
L’art. 279 del d.lgs. n. 81/2008, inserito nel Titolo X di tale decreto dedicato agli agenti biologici, dopo aver previsto al comma 1 che, ove l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità, i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41, al comma 2, stabilisce che il «datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali: a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente; b) l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell’articolo 42». Alcuni vaccini possono essere imposti dal datore di lavoro per far fronte al rischio biologico ai sensi del titolo X del D.Lvo 81/08 che, come noto, è dedicato al rischio biologico, o, meglio “a tutte le attività lavorative nelle quali vi è rischio di esposizione ad agenti biologici”.
La norma prevede un obbligo per il datore di lavoro, ma non per il lavoratore. Alcuni commentatori ritengono che quella parte della norma che stabilisce che “il vaccino è somministrato dal medico competente” configurerebbe un vero e proprio obbligo per il lavoratore di sottoporvisi. L’agente biologico presente nella lavorazione può essere non solo un rischio interno, ma anche proveniente dall’esterno verso l’interno, quale ad esempio il virus del Coronavirus.
Che fare quando il lavoratore non accetta di sottoporsi a vaccino? L’articolo 42 del TUS prevede lo spostamento del lavoratore ad altre mansioni. Lo scopo della norma è quello di garantire che il dipendente “fragile”, ossia non protetto dal contatto con il microorganismo, possa ottenere protezione senza perdere il posto di lavoro. Chiaro come l’articolo 5 della L. 20/05/1970, n. 300, concernente il divieto di indagini da parte del datore di lavoro sulla idoneità e infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente non ha più senso alla luce degli obblighi di sicurezza presenti sul lavoro, gravanti sia in capo al datore sia anche in capo ai suoi dipendenti.
Se è indiscutibile che per imporre l’obbligo vaccinale alla generalità dei cittadini occorra una legge ad hoc, ci si chiede se, nei contesti lavorativi in cui già esistono disposizioni legislative volte a tutelare la salute e la sicurezza di chi lavora, queste ultime possano essere considerate anche già attuative della riserva di legge costituzionale, potendosi quindi fondare su di esse l’obbligo vaccinale.
gio
22
lug
2021
Come inviare istanze di autotutela sulla piattaforma CIVIS dell’Agenzia delle Entrate
Nei rapporti con l’Agenzia delle Entrate e con l’Erario in generale è privilegiato –anche se molti contribuenti direbbero il contrario- la risoluzione stragiudiziale delle controversie, attraverso vari strumenti, ma qui parliamo di uno che ha avuto anche uno sviluppo “tecnologico”, ovvero la creazione di una piattaforma ad hoc: CIVIS.
Finora, quando i nostri clienti ricevevano un avviso di liquidazione, prima di intentare un ricorso (specialmente quando l’esiguità dell’importo rendeva antieconomico adire la commissione tributaria, o magari le nostre eccezioni non erano fondate quanto le ragioni dell’Agenzia…) si tentava la strada dell’istanza di annullamento in autotutela, che in pratica poteva consistere anche in una banale PEC inviata al responsabile del procedimento, allegando tutti i documenti necessari. L’istanza di annullamento in autotutela, ovviamente, non sospende né i termini del pagamento né i termini per ricorrere, quindi è uno strumento da usare con attenzione. Inoltre, l’Agenzia non ha termini perentori entro cui rispondere, ma solo termini ordinatori (ed in generale ben oltre i 60 gg previsti per il pagamento dell’avviso).
Oggi per lo stesso strumento è prevista (e in modo esclusivo) una piattaforma telematica ad hoc, ossia CIVIS accessibile esclusivamente dal proprio profilo Fisco on line (per gli utenti privati) o Entratel (per avvocati, commercialisti e altri intermediari per conto terzi). Un piccolo appunto agli sviluppatori: “Civis” è un po’ troppo nascosto, dal menu a sinistra bisogna selezionare “assistenza tecnica e fiscale” (che sembra non avere a che fare con quanto ci interessa…) e da lì CIVIS.
Dalla piattaforma è possibile richiedere assistenza e/o fornire informazioni e documenti all’Agenzia contro cartelle e avvisi di pagamento, ed è previsto uno strumento apposito per le istanze di autotutela relative ai contratti di locazione.
La particolarità di questa sezione è che, a differenza delle altre, non è possibile integrare la documentazione allegandola, ma solo indicandola “de relato”: trattandosi per lo più di imposte di bollo e di registro, i contratti, le ricevute delle dichiarazioni e dei pagamenti vanno solo indicati con gli estremi della registrazione, oppure con data, importo e tipologia del pagamento (ad es. F24 da € 200 del 22/7/2021), sarà poi l’Agenzia a recuperare nei propri archivi i documenti necessari.
Non è necessario scansionare nemmeno la procura speciale e i documenti del cliente, ci limiteremo a “flaggare” un pulsante in cui dichiariamo solennemente di esserne in possesso.
Naturalmente anche la risposta verrà depositata nella stessa piattaforma, ma non sarà necessario controllarla ogni giorno, dato che riceveremo l’avviso del deposito della risposta per e-mail o sms, a nostra scelta.
Tutto ciò è molto comodo, ma ha due gravi difetti: a differenza delle altre sezioni di CIVIS, in quella riservata ai contratti di locazione non è possibile allegare niente (ad es. dichiarazioni firmate dal conduttore, fatture o altro…), evidentemente l’Agenzia accetta come unica prova il pagamento dell’imposta.
Un altro piccolo neo è che lo spazio dedicato alle osservazioni è un classico rettangolo di un form con limitazione di caratteri: io ci ho incollato due pagine di word senza problemi, ma alcuni colleghi grafomani potrebbero sentirsi in difficoltà a dover usare il dono della sintesi.
Se vuoi un approfondimento puoi accedere alla scheda dell’agenzia cliccando qui.
mar
08
giu
2021
Quando un libero professionista come un avvocato (ma il discorso vale anche per le ditte di fornitura di beni) fornisce servizi ad un ente locale o altra Pubblica Amministrazione, è obbligato a fatturare in anticipo per l’opera prestata, ma senza sapere con certezza quando e se si verrà pagati. Nella normalità dei casi non passano mai meno di 90 gg dalla scadenza della fattura, ma più spesso si parla di mesi.
A volte, infine, i rapporti tra professionista ed Ente diventano talmente tesi che un credito sicuro verso la PA (che dovrebbe essere sempre solvibile per definizione) diventa un credito inesigibile, rientrando a pieno titolo tra i NPL, o Non Performing Loans, come direbbero i tecnici, o meglio Gente Che Non Paga, come direbbe qualcun altro.
Che fare?
Ci sono tre strade:
1) l’esecuzione ordinaria, quindi ottenere un decreto ingiuntivo basato sulla fattura scaduta, quindi chiedere l’apposizione della formula esecutiva, poi notificare il titolo esecutivo, quindi notificare il precetto, e poi optare per una delle forme di pignoramento, ammesso di trovare qualcosa di realmente pignorabile, con tutte le eccezioni a favore della PA, e con spese vive ad ogni passaggio.
2) ricorso in ottemperanza presso il TAR, che, verificata la situazione, nominerà un commissario ad acta che pagherà la fattura.
Questi due rimedi hanno in comune molte caratteristiche negativa, tra cui ricordiamo:
comportano molte spese da anticipare
non garantiscono in assoluto il pagamento, ma soprattutto
costituiscono un’azione giudiziaria contro il tuo stesso cliente.
Questo è un grosso problema soprattutto per gli avvocati, che per deontologia dovrebbero rinunciare al mandato prima di tentare un’azione del genere, senza contare che di solito nel “disciplinare” con l’Ente è sottinteso che nel caso di azione contro l’Ente l’avvocato viene depennato dall’elenco dei legali del libero foro, e non soltanto per la singola azione, ma per sempre. Inoltre spesso la fattura inevasa corrisponde all’anticipo, e l’avvocato non vuole rinunciare del tutto all’incarico, che potrebbe rivelarsi remunerativo nel lungo periodo. E allora che fare?
Dopo vari tentativi di contatti diretti sociali/politici/raccomandazioni o millantato credito (ovviamente sto scherzando!) e dopo aver esaurito la pazienza c’è una terza via, che potrete percorrere senza tema di violare né la deontologia né il disciplinare, perché è un rimedio assolutamente stragiudiziale:
il riconoscimento dei crediti commerciali sulla piattaforma PCC del MEF (il Ministero dell’Economia e delle Finanze), che si può raggiungere cliccando qui .
Molto brevemente:
1) vi accreditate sulla piattaforma come fornitore di beni o servizi della PA (gli avvocati ed i liberi professionisti devono prima farsi riconoscere “de visu”, ossia fisicamente, presso un ente locale o presso la Ragioneria dello Stato, non chiedetemi perché);
2) inserite la fattura inevasa
3) fate un ‘istanza di certificazione della suddetta fattura.
A questo punto il MEF innanzitutto certifica il credito, quindi “bacchetta” virtualmente l’Ente, chiedendogli conferma della fattura ed imponendogli di fissare un termine esatto per il pagamento, lungo quanto vuole, ma esatto al giorno.
Già la certificazione ha un suo peso, in quanto (se l’imponibile è rilevante) può valere come garanzia da esibire per un finanziamento, per esempio.
Se alla data designata dall’amministrazione la fattura non è ancora stata pagata il professionista, a sua scelta, può utilizzare il credito vantato per compensare debiti a sua volta vantati dall’erario, oppure può chiedere… la nomina di un commissario ad acta che paghi per l’Ente! Il risultato finale come si vede è simile a quello ottenibile con un ricorso per ottemperanza, ma con importantissime differenze:
1) è gratis;
2) non è considerato rimedio giudiziario, quindi è esperibile senza tema di interrompere i rapporti commerciali, o di essere cancellati dagli elenchi, o magari di subire un procedimento deontologico;
3) non è necessario essere un avvocato amministrativista per farlo, potendo farlo qualunque libero professionista autonomamente;
4) è gratis (l’avevo già detto?).
Nella pratica la relativa difficoltà è paragonabile a quella di emettere una fattura telematica tutta da soli: la prima volta ci vorranno giorni e farete tanti errori, poi, con un po’ di tempo, cervello e pazienza, è banale inserimento dei dati.
C’è di buono che (a differenza delle fatture telematiche) c’è un ottimo servizio assistenza telefonica (numero verde) che risponde al telefono in tempi relativamente brevi e risolve i problemi, e da questo punto di vista un plauso al MEF.
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gio
11
mar
2021
Vi sentite più chimici o poeti? Hackers!
Riflessioni sul rapporto tra diritto, professione, tecnologia e alienazione
Anno 1999, Facoltà di Giurisprudenza di Catania, Cinema Ritz (eravamo in 1400 divisi in 4 corsi, per capire…), lezione di Filosofia del Diritto. Il professore ci chiese: “Vi sentite più chimici o più poeti?”.
Silenzio generale.
“Intendo dire, quando studiate i manuali di diritto, i codici e le sentenze, vi sentite più simili a chimici o a poeti?”
La stragrande maggior parte di noi –incluso il sottoscritto- rispose poeti, il prof. si girò verso il suo assistente sorridendo e disse: “Allora forse c’è speranza!”.
Eravamo degli illusi, lui e noi, e più previgente –e pessimista- si sarebbe dimostrato qualche settimana dopo Remo Bodei in un convegno, sempre a Catania, sul rapporto tra uomo e tecnologia. Se facesse la stessa domanda oggi, risponderei che mi sento un hacker, costretto ad interagire con macchine, software e algoritmi, e non con esseri umani.
La tecnica, e soprattutto l’informatica, ha preso il sopravvento nelle nostre vite e nella nostra professione, e quello che è successo nell’ultimo anno è stato, dal punto di vista dell’intelligenza artificiale, uno stress test: funzionano. Ci permettono, entro certi limiti, di vivere e lavorare “quasi” come prima, pur stando a casa, e l’intelligenza artificiale progredisce sempre più, permettendoci di fare cose che oggi nemmeno immaginiamo.
Riassumo brevemente riferendomi alla professione di avvocato, ma ciascuno di noi può fare paragoni col proprio lavoro.
Possiamo depositare e prelevare documenti dalla cancelleria e pagare i relativi diritti senza vedere il cancelliere (quasi come se prima non lo sopportassimo).
Possiamo fare udienza via webcam senza uscire dallo studio, e in molti casi con scambio di memorie scritte, senza vedere né il giudice né controparte (e valga quanto sopra).
Possiamo fare formazione a distanza, riunioni a distanza, mediazioni a distanza, senza neanche la scocciatura di doverci stringere la mano alla controparte ostile.
E l’elenco potrebbe essere molto più lungo, ovviamente.
Quello che è interessante è la varietà di atteggiamenti umani di fronte a tale evento. Pochi –per lo più anziani- fanno finta di non vedere il cambiamento, e si trincerano dietro la loro esperienza, salvo chiedere di nascosto ai nipoti come funziona whatsapp.
Molti sono entusiasti del progresso, felici dell’idea di poter finalmente lavorare da casa: le magnifiche sorti e progressive! Ho letto il post di una collega felice di poter finalmente passare più tempo a casa con i figli grazie al processo a distanza; e devo dire che l’aumento del tempo libero è una circostanza che abbiamo notato tutti noi avvocati, anche se con meno entusiasmo della collega, col timore che il tempo libero diventi definitivo.
Altri sono spaventati e decisamente contrari all’idea che tali innovazioni, nate durante una lunga emergenza, diventino definitive, e preoccupati dalle conseguenze sociali a lungo termine, come i luddisti di fronte all’avvento dei primi telai a vapore.
La realtà è che, indipendentemente dalla risposta umana, l’intelligenza artificiale e la tecnologia prenderanno comunque il sopravvento, e noi avvocati saremo costretti a cambiare in funzione di ciò, o faremo la fine dei dinosauri (già immagino un museo, con un manichino in toga all’ingresso, centinaia di volumi di “Foro Italiano”, una teca con martelletto e candele di cera, e la marche Napoleone appese ai quadri).
Tempo addietro anch’io ero tra quelli inizialmente entusiasti dei primi esperimenti col PCT, certo che un giorno i software avrebbero sostituito del tutto i cancellieri (non me ne vogliano quelli che mi conoscono); oggi leggo che la Corte d’Appello di Brescia sta sperimentando un software di giustizia predittiva (leggi), che sostanzialmente potrebbe rendere inutile il lavoro di avvocati e giudici (quando si dice il karma…).
Abbiamo studiato l’interpretazione delle norme, l’analogia, la deduzione e magari l’intuizione, e invece dovremmo studiare gli algoritmi, i diagrammi di Venn, la ruota di Deming: dall’interpretazione alla procedimentalizzazione. Tra l’altro l’introduzione di un software porrà fine alla diversità di interpretazioni tra un foro e l’altro: oggi diciamo la frase tot capita, tot sententiae sospirando con rammarico, un giorno la diremo sospirando di nostalgia.
Certamente tutto ciò, sia nell’immediato sia a lungo termine, provoca alienazione e spersonalizzazione. Quando i Tribunali hanno ripreso l’attività ero contento di non dover fare un’ora di macchina e due o tre ora di fila affollato con i colleghi solo per poter scrivere si insiste in atti, mentre oggi sento addirittura la mancanza di quei tempi, che non credo torneranno più; dovremo trovare nuove forme di socializzazione, e mostrare capacità di resilienza e soprattutto di adattamento.
Consiglio ai colleghi (soprattutto ai più riottosi e meno informatizzati) formazione specifica continua, dato soprattutto che la tecnologia che crediamo di conoscere domani sarà già vecchia. Personalmente consiglio avvocato360, che offre gratuitamente formazione specifica specializzata, e non sugli strumenti che usiamo oggi, ma su quelli che useremo domani (blockchain, intelligenza artificiale, giustizia predittiva e così via) dal punto di vista del legale, offrendo spunti di riflessioni interessanti (e a volte anche spaventosi).
Quanto al rapporto tra uomo e macchina, ogni volto che mi si blocca il computer o non funziona il PCT mi sovvengono in mente due aneddoti, che saranno sempre validi in ogni epoca:
1) il primo computer e il primo software sono stati inventati con carta e penna da un essere umano, col proprio cervello e le proprie mani; i computer non sono in realtà più intelligenti di noi (almeno per ora), sono solo incredibilmente più veloci a svolgere operazioni che noi gli abbiamo insegnato a fare.
2) il protagonista di “Guida galattica per autostoppisti” spesso si infuriava col proprio robot, che rispondeva solo ad istruzioni chiare e precise, e reagiva a modo suo; quando ciò accadeva, lui si metteva a contare (letteralmente: uno, due, tre), non per farsi sbollire la rabbia, ma per ricordare a sé stesso che, se un uomo è in grado di contare, può ancora fare a meno di un robot o un computer che pensi per lui: provate a farlo anche voi.
gio
30
apr
2020
Perdonatemi il titolo un po’ criptico, ma non credo esista una sintesi più efficace di questa.
Nella schizofrenia che spesso caratterizza le nostre pubbliche amministrazioni, di fronte ad un problema comune ogni ente fa un po’ come gli pare.
Ricordo ai colleghi che, anche se il Ministero della Giustizia ha scelto Microsoft Teams per tutte le videoconferenze, il Processo Civile Telematico è diverso (e lo era già da prima) dal Processo Penale Telematico, dal Processo Tributario Telematico e dal Processo Amministrativo Telematico, i quali sono diversi anche tra loro, a livello di files utilizzabili, modalità di comunicazioni, elenchi PEC utilizzabili etc. etc.
Non è quindi così strano che l’amministrazione finanziaria scelga, per le mediazioni con l’Agenzia delle Entrate, un sistema completamente diverso, che ora scopriamo insieme.
Le Agenzie delle Entrate si avvalgono spesso di istituti stragiudiziali quali adesioni, mediazioni e conciliazioni, istituti a cui il contribuente può aderire anche da solo, senza l’ausilio di un avvocato (cosa che, ovviamente, sconsiglio).
Tutti questi istituti richiedono la presenza fisica in sede del contribuente, del suo avvocato o meglio ancora di entrambi, sia per poter parlare in libertà e nel rispetto della privacy, sia soprattutto per accertare l’identità dei presenti e quindi l’effettività del contraddittorio.
In tempi di epidemia tali istituti, non potendosi svolgere di persona, si svolgono in videoconferenza, e sono ormai molteplici gli strumenti per questa operazione; quello scelto dall'Agenzia delle Entrate è jitsi.
Il vantaggio principale di questa applicazione è l’estrema facilità di utilizzo, se utilizzate il PC non dovete scaricare alcuna applicazione (mentre con lo smartphone sì, ovviamente gratis), e soprattutto non dovete nemmeno registrarvi, né creare un profilo né comunicare e-mail.
Il funzionario che voglia comunicare con noi non deve far altro che creare una conversazione dandogli un nome, quindi ottenere il link diretto alla conversazione ed inviarlo al nostro indirizzo e-mail (che gli avremo preventivamente comunicato già nella prima istanza di mediazione proprio a tale scopo).
Noi non dobbiamo fare altro che aprire la mail, cliccare sul collegamento indicato e siamo già in collegamento con il funzionario. Quanto al verbale, per ora le istruzioni prevedono che lo stesso sia scritto dal funzionario, che lo invia per e-mail al contribuente, il quale lo firma elettronicamente (se può) oppure può limitarsi a stamparlo, firmarlo alla vecchia maniera, fotografarlo e rispedirlo, e in tal guisa viene accettato dall'amministrazione.
Oltre alle funzioni base, sono previste anche una chat, la condivisione a schermo, la possibilità di apporre una password al link e naturalmente la registrazione del video.
A fronte dell’estrema semplicità di utilizzo che lo rendono pratico anche per non esperti ci sono delle evidenti falle di sicurezza che, a parer mio, ne avrebbero sconsigliato l’uso per trattare informazioni riservate come le pendenze tributarie.
Prima di recensire un nuovo strumento, come faccio sempre, ho studiato i tutorial in rete, ho seguito le istruzioni degli sviluppatori, quindi ho fatto una prova concreta.
In questo caso ho creato una nuova conversazione chiamata “prova” (vabbè, forse ho peccato di sufficienza), e… mi sono subito ritrovato in videoconferenza con un altro tizio che in quello stesso momento aveva avuto la mia stessa idea!
Mi sono immediatamente disconnesso (senza nemmeno scusarmi, ora che ci ripenso..) ed ho riprovato con un nome decisamente più originale, cliccando tasti a caso sulla tastiera: ero da solo. A quel punto ho creato un link di collegamento da inviare per e-mail ad un altro utente (me stesso da altro dispositivo) e funziona tutto.
Mi appare evidente il rischio di intercettazione della videochiamata: a me è riuscito per puro caso, un utente interessato potrebbe comunicare il link a qualcun altro per fargli intercettare e registrare la chiamata, per esempio.
Personalmente avrei scelto altri sistemi per la comunicazioni di dati sensibili quali le pendenze con l’Agenzia delle Entrate, ma mi auguro che l’amministrazione finanziaria faccia un uso intelligente di questo strumento.
mer
29
apr
2020
Oggi i social network sono diffusissimi, e praticamente tutti hanno almeno un profilo “social”, e molti più di uno. Pochi però hanno colto l’opportunità di sfruttare i social network come strumento di marketing professionale.
Innanzitutto due parole sui social network in genere, che, per chi ancora non lo sapesse, sono piattaforme virtuali che permettono di incontrare e conoscere altre persone attraverso profili virtuali. Il più famoso è certamente Facebook, nato per rimettere in contatto i vecchi compagni di scuola, e diventato … tante altre cose.
Un altro famoso social network è certamente Linkedin, particolarmente indicato per i professionisti perché incentrato proprio sulla necessità di costruire reti di contatti tra professionisti di un certo settore. Peraltro ho già scritto sul migliore utilizzo di Linkedin un lungo post, al quale rinvio caldamente: linkedin per avvocati.
Se volete utilizzare un social network (Facebook o il vostro preferito) come strumento di marketing, dovete partire con questa impostazione da zero, ossia dalla creazione del profilo. Già il nome deve indicare che si tratta di un profilo professionale: “Mario Rossi” non va per niente bene, e neanche “Avv. Mario Rossi”, meglio “Studio Legale Mario Rossi”, così eviterete contatti di persone che vogliono fare amicizia (per quello ci sono altri siti), concentrandovi sui contatti che vogliono da voi un consiglio, un rapporto di colleganza etc… Meglio pochi contatti qualificati che migliaia di inutili (ai nostri fini) sconosciuti.
Il profilo deve essere molto ricco, deve trattarsi di un mini-sito, con tutti i contatti necessari (non siate timidi!), un curriculum completo, delle foto professionali etc. Se il programma contiene un contatore di “completezza” del profilo, cercate di arrivare al 100%.
A proposito di foto professionali, la distinzione è ovvia: in giacca alla scrivania del vostro studio sì, in costume sulla spiaggia assolutamente no! (E non scherzo: un collega è stato sanzionato dal CNF per aver postato le foto della moglie in costume da bagno per attirare visite, caso reale riportato su "Rassegna Forense").
Vanno di moda anche immagini standard anonime, come un logo o la classica bilancia col martelletto, anche se molti possibili clienti on-line preferiscono vedere in faccia le persone con cui avranno a che fare, e comunque sono scelte di stile (e molto dipende anche dal vostro aspetto: se proprio siete inguardabili, ripiegate su un’immagine neutra).
Costruito il vostro profilo, fate crescere la vostra rete e fatevi notare.
Chiedete il contatto (o l’amicizia etc.) a colleghi di altre zone, soprattutto a chi ha già numerosi contatti ai quali presentarvi. Intervenite spesso nei forum di discussione, con argomenti mirati e studiati, create delle vostre discussioni, pubblicate le vostre opinioni (professionali e sempre di argomento giuridico), fatevi sentire.
Ricordate che anche se il profilo è virtuale la vostra immagine sul web oggi conta perfino più della reputazione reale (lo so, è triste ma è così), per cui state sempre molto attenti a quello che scrivete; per questi motivi personalmente sconsiglio di esprimere opinioni politiche, almeno sui vostri profili professionali: ricordatevi sempre e costantemente che il vostro scopo è costruire una reputazione che attiri clienti, non che li allontani, questa deve essere la vostra linea guida sempre.
Abbiamo detto che è meglio una rete di pochi contatti qualificati che di molti generici, ma è meglio ancora una rete di tanti contatti qualificati, magari tantissimi. Che senso ha cercare di ottenere grandi numeri dalla propria rete? Per tre motivi: 1) i grandi numeri aumentano le probabilità di un contatto professionale “serio”; 2) un profilo con moltissimi contatti risulta carismatico, suscita la curiosità di sapere perché ci sono così tanti contatti, e per questi motivi il software che gestisce il vostro social network mette i profili più quotati in cima nei motori di ricerca; 3) se volete fare un passo ulteriore nel marketing on line, potrete sfruttare la vostra rete con una mailing list!
Ma di questo parleremo in un prossimo post…
Se invece avete già uno o più profili social, attenzione a non confondere privato e immagine pubblica: non potete utilizzare lo stesso canale per postare argomenti giuridici e subito dopo foto di gattini o altre stupidaggini!
D’altronde mettetevi, ancora una volta, nei panni di un possibile cliente: cercate il nome di un architetto che vi rifaccia la casa, lo trovate su FB, ed oltre a consigli di arredamento c’è lui in costume da bagno in spiaggia… molto poco professionale, non trovate?
Se utilizzate i social soprattutto per chiacchierare in libertà con i vostri amici, create due profili, uno professionale con nome e foto autentici, dove siete avvocati e basta, ed un altro con uno pseudonimo ed un’immagine a caso (non una foto riconoscibile) con cui postare in libertà di politica, calcio, battuta etc. etc.
A proposito di Facebook, il social network di Bill Gates offre non solo la possibilità di aprire un profilo, ma anche una pagina (che comunque presuppone il possesso di un profilo): voi fate entrambe le cose, per due ragioni:
1) la pagina è uno strumento nato proprio per promuovere attività e imprese, per cui restituisce un’immagine decisamente più professionale.
2) a differenza del profilo, la pagina facebook fornisce al suo titolare i dati insights dei visitatori, paragonabile (in piccolo) a Google Analitycs: in pratica saprete quanti hanno visitato la pagina, da dove, quando, che cosa altro piace ai vostri visitatori, come hanno scoperto la vostra pagina, e altro che vi farà riflettere sul concetto di privacy e vi farà venire un attimo di paura ogni volta che mettete “mi piace” a qualcosa.
Scherzi a parte, esattamente come i dati di Google Analitycs, i dati insights vi forniscono informazioni preziosissime per il marketing on-line; giusto per fare un esempio, se un vostro post è stato letto soprattutto in un certo giorno ad una certa ora, meglio programmare di pubblicare il post sempre alla stessa ora (come i veri blogger sanno benissimo).
Domanda: “Su FB ho già mille amici, vuol dire che se scrivo qualcosa lo leggono in mille?” Assolutamente no!
Indipendentemente dal numero di amici che avete Facebook ha un algoritmo interno che “legge” il post, riconosce l’argomento e lo propone ad un numero ristretto di vostri amici, sulla base delle loro scelte precedenti (semplici clic, “mi piace”, “segui” etc,), ed allo stesso modo propone a voi un limitato post nuovi ogni giorno, anche se avete mille amici; sta a voi scrivere contenuti di spessore, degni di essere non solo letti, ma anche condivisi, ed è un’altra ragione per cui è meglio avere pochi contatti qualificati che ti seguono che centinaia di sconosciuti che ti ignorano.
Attenti che i profili social sono un’arma molto potente, che potrebbe anche ritorcervisi contro, quindi va usata con molta attenzione. Non soltanto dovete stare attenti a pubblicare notizie coerenti con l’immagine che volete dare di voi, ma dovrete comunque essere sempre presenti, o vi farete una pubblicità negativa da soli, come meglio spiegato nel mio post marketing on-line: un motivo per non farlo.
Ci vediamo alla prossima lezione, e nel frattempo leggi gli altri post.
lun
20
apr
2020
Marketing on-line per liberi professionisti 2. Il sito web
Oggi per un professionista avere un proprio sito web, che siate esperti o totalmente analfabeti di computer, non è più un’opzione, ma è quasi obbligatorio. E’ pur vero che oggi i più esperti prevedono che i siti veri e propri passeranno di moda a favore dei profili social, ma finora il sito internet è ancora il fulcro dell’immagine sul web, specie di chi possiede una partita IVA. Anche solo per una questione di immagine, il consumatore medio (compreso l’eventuale cliente) si aspetta che tutto abbia un proprio sito internet.
A proposito del farsi il proprio sito esistono due scuole di pensiero, ben definite.
C’è chi crede che il proprio target di clientela non lo troverà mai attraverso un sito web, e casomai lo fa solo, per l’appunto, per questione d’immagine (giusto per averlo), e per costoro andrà benissimo un tipico sito vetrina, con dati, indirizzo e telefono, magari un mini-curriculum e una bella foto, e via.
Se questa è la vostra intenzione, allora per voi sarà più che sufficiente un sito gratuito creato da voi stessi. Come fare? Non voglio fare pubblicità a nessuno, basta cercare su qualunque motore di ricerca “crea sito gratis” e le offerte sono tantissime. In questi servizi sono sempre presenti dei modelli preimpostati, che potrete modificare a piacimento anche se non siete dei web master o anche se non ne capite proprio nulla di web design, tutti questi servizi sono decisamente “user friendly” (leggi: a prova d’imbecille) e basta dedicare una mezz’oretta di attenzione per avere il proprio sito-vetrina sul web. Un sito che però, così come l’avete fatto, non guarderà nessuno (poi non lamentatevi dicendo che i siti per professionisti non portano clientela). Perché?
Per rispondere a questa domanda c’è l’altra scuola di pensiero, per la quale dovete prendere confidenza con il concetto di SEO, ossia Search Engine Optimization, ossia ottimizzazione per i motori di ricerca. Ci sono ottimi e-book gratuiti per spiegare come funziona, ma vi faccio subito un esempio.
Mettiamo che avete appena creato il vostro bel sito-vetrina gratis, immedesimatevi nei panni di un cliente che vi sta cercando, e digitate su Google “cerca avvocati a …”. Il vostro sito è al primo posto? All’ultimo posto della prima pagina? Tra le prime dieci pagine? Non compare proprio? Questo succede perché avete fatto un sito senza rispettare i criteri di SEO. Ce ne sono parecchi, ricordo i principali:
Essere “proprietari” del sito. In effetti non si diventa mai proprietari, al più titolari del sito, ma nei siti gratuiti il proprietario resta sempre il sito che vi ospita, di cui il vostro sito è solo un sotto-sito. Per i siti a pagamento, invece, il titolare deve pagare una piccola quota annuale ad un apposito registro web (normalmente se ne occupano le stesse persone che vi hanno creato il sito a pagamento, ed è incluso nel costo). Peraltro è solo un principio, il che vuol dire che anche con un sito pagato annualmente non potete aspettarvi risultati concreti, se non attuate i criteri SEO, e viceversa con un sito gratuito ma curato e seguito potete ottenere ottimi risultati (il fatto che state leggendo questa pagine ne è la prova).
Ai miei colleghi avvocati ricordo che fino a qualche anno fa il CNF, con una giurisprudenza ormai per fortuna superata, consentiva la promozione del proprio studio solo su siti di cui l’avvocato è proprietario, dimenticandosi degli anni di annunci su Pagine Gialle anche senza essere soci della SEAT.
Segnalare il sito a Google, gli altri motori di ricerca seguiranno. E’ semplicissimo, create un Google Account, andate su Google Search Console seguire le istruzioni, ma non aspettatevi risultati immediati: in media ci voglio due o tre settimane per essere effettivamente trovati dal motore di ricerca
Mettere link esterni che conducano al vostro sito. Mettete il link del vostro sito (non l’indirizzo: il link) ovunque, nei vostri profili social e in quelli dei vostri amici, in fondo a tutte le vostre mail, come firma dei vostri articoli, negli sms che mandate etc. etc., oltre che sulla carta intestata e sui biglietti da visita, e ovviamente nell'intestazione degli atti, se avvocati.
Arricchite il vostro sito periodicamente. Questo è uno dei criteri principali, uno dei più difficili da seguire, e anche il motivo per cui il classico sito-vetrina non può funzionare. Ma, direte voi, cosa mettere nel sito? Una volta messi i dati, con curriculum, foto, magari una mappa per raggiungere lo studio che altro aggiungere? Sforzatevi di essere più creativi, e aggiungete anche un blog (ne parleremo in un prossimo post), delle notizie giuridiche aggiornate, degli strumenti utili e quant'altro. Se proprio siete carenti di idee, date un’occhiata approfondita al sito che state leggendo adesso e vi farete un’idea.
Aggiungete al sito le giuste parole chiave. Cosa dovrebbe digitare un ipotetico cliente per trovare il vostro sito? Certamente “avvocato”, “studio legale” e la vostra città, ma anche mettere le vostre specializzazioni potrebbe essere una buona idea. E non dimenticatevi il vostro nome! Esiste uno strumento molto utile che serve a questo e a molte altre cose, che si chiama Google Tag Manager, anche se decisamente complesso da utilizzare, ma lo consiglio ai colleghi appassionati di web.
Diffondete e fate diffondere il link. Inserite nella home page del vostro sito quelle piccole icone che servono a condividere il sito con i propri contatti e-mail, i propri amici su Facebook, i contatti su Linkedin etc. segnalatelo più che potete sui vostri profili, ma non è sufficiente; meglio ancora se lo fate segnalare ad altri, parenti, amici e clienti fidati: è così che un sito diventa “virale”.
Controllate le visite del vostro sito. Questa è un’opzione normalmente riservata ai siti a pagamento, ma per voi preziosissima, vi renderà ogni centesimo speso. Con strumenti appositi potete sapere non soltanto quanti visitatori hanno visto il vostro sito, ma anche quando, per quanto tempo, su quali pagine, quali parole-chiave hanno usato per trovarvi, e persino dove si trovano (con approssimazione regionale, non prendetela alla lettera), tutte informazioni che utilizzerete per migliorare via via il vostro sito. Personalmente uso Google Analytics per il mio sito, perché è gratuito e completo, anche se decisamente complesso da utilizzare. Volendo, però, potreste anche farvelo impostare da un web master a pagamento, e farvi controllare periodicamente l’andamento del vostro sito.
Questi consigli naturalmente non esauriscono la pratica SEO, anche perché gli algoritmi dei motori di ricerca diventano ogni giorno più intelligenti e raffinati, ed è difficile stargli dietro, l’unica è studiare e cominciare a pensare come un computer, o pagare qualcuno capace di farlo, come le agenzie di web publishing.
Perché tutta questa fatica? Perché man mano i vostri contatti saliranno, il vostro sito riceverà molte visite, i motori di ricerca se ne accorgeranno e, magicamente, un giorno quando qualcuno cercherà un legale nella vostra città al primo posto troverà voi! Naturalmente non è detto che poi questo si trasformerà in un incarico, e se varrà la pena spendere denaro, tempo e impegno per questo risultato (o una combinazione delle tre), questa è una scelta vostra.
Mai come in questo ambito tempo= denaro, perché sono risorse perfettamente sostituibili tra loro: se non avete tempo ma avete denaro potete pagare qualcuno che lo faccia al posto vostro, come per molte altre cose. Se invece avete poco denaro ma molto tempo libero (vi ricorda qualcuno?) potreste impiegarlo per studiare le tecniche giuste e metterle in atto. Personalmente preferisco la seconda opzione, soprattutto perché, per quanto bravo sia il vostro web-master non è comunque nella vostra testa, non conosce il mercato legale quanto lo conoscete voi, non si immedesima nei potenziali clienti quanto lo fareste voi, per cui come potrebbe costruire un sito perfettamente orientato al marketing? Sappiate che nel web marketing la parte meramente tecnica-informatica è minima, è molto più importante lo studio delle scienze delle comunicazioni e del marketing tradizionale, anche perché nessuno crea il proprio sito web scrivendolo in codice HTML a mano. E dunque mettetevi alla prova!
mar
14
apr
2020
Marketing on-line per liberi professionisti
In queste settimane costruirsi una solida immagine on-line non è più un’opzione, come fino a poco tempo fa, ma è diventata una strada obbligatoria per chiunque abbia una partita IVA. Da oggi ripropongo una serie di post che vi spiega come costruire una solida reputazione on-line, e come sfruttare la rete al massimo a beneficio della propria professione.
Chi mi segue da tempo sa che avevo postato degli articoli simili anni fa, ma sono stati aggiornati a oggi, anche a seguito di appositi corsi (come Google Excellence e Google Analitics Advanced) e dell’esperienza di anni come web master e SEO expert del mio sito.
Ovviamente l’esperienza è maturata dal mio personalissimo punto di vista, ossia di avvocato impegnato a sviluppare l’immagine dello studio legale, ma i miei consigli valgono per qualunque professione. Siete pronti? Cominciamo.
La reputazione è quello che pensano di noi gli altri; ciò presuppone che gli altri sappiano qualcosa di noi, altrimenti potremmo anche non avere alcuna reputazione, il che potrebbe anche essere peggio che avere una reputazione negativa. Mentre la reputazione nella vita reale è un affare vostro, costruirsi una solida reputazione professionale in rete è relativamente semplice, e richiede dei passi in sequenza e un po’ di tempo e cura, e non necessariamente delle spese (anzi di solito è tutto gratis).
In questo e nei prossimi post illustrerò i passi da fare, tutti accomunati da queste caratteristiche:
-in ogni iniziativa ci sono sempre alternative gratis o a pagamento, e non è detto che quelle a pagamento diano risultati migliori.
-alcune operazioni on-line trovano un loro corrispettivo nella vita reale (come la costruzione di reti sociali), altre invece sono esclusivamente on line (come i siti internet veri e propri).
Cominciamo con qualcosa di elementare: il primo passo da fare è inserire il proprio nome in una directory di professionisti.
Che cosa è una directory? Per avere un esempio immediato basta pensare alle vecchie Pagine Gialle (che tra l’altro esistono tutt’ora): un elenco di imprese, servizi e professionisti facilmente accessibile e consultabile dal potenziale cliente. La scelta oggi è vastissima, quale scegliere?
Fate un piccolo esperimento: immergetevi nei panni di un possibile cliente alla ricerca di avvocati, e cercate un legale nella vostra città col vostro motore di ricerca (“cerca avvocato a …”). Troverete moltissimi annunci, in genere in cima troverete degli annunci pubblicitari veri e propri (come google ads), e subito sotto le varie “directory” (alcune generaliste, come pagine gialle, virgilio aziende etc, altre specifiche per avvocati (e non faccio nomi) o per altre professioni). Iscrivetevi a tutte quelle che volete (almeno a tutte quelle che si assicurano la prima pagine nel motore di ricerca), ma state attenti a due dati.
Ogni elenco offre la possibilità di scegliere tra un profilo “base”, completamente gratuito, e un profilo “premium”, su abbonamento (nell'ordine di 40-80 euro annui, per capirci). In teoria garantiscono che i profili a pagamento avranno una visibilità maggiore rispetto quelli a pagamento, ma in pratica la differenza non è così netta, perché potete ottenere una visibilità da “premium” anche con un profilo base, se continuate a leggere, e soprattutto perché lo scopo delle aziende che vendono profili non è quello di massimizzare il vostro profitto, ma di massimizzare il loro. Ciò vuol dire che se nella loro directory hanno già venduto nella vostra stessa zona 20 profili, non hanno motivi per negare l’iscrizione al profilo n° 21 (il vostro), il che vuol dire che avrete comunque tantissimi concorrenti, per cui forse non vale la pena pagare un profilo apposito. Alcune aziende, proprio per evitare questo, garantiscono un numero massimo di professionisti per zona, ma si tratta piuttosto di convenzioni che di directory, per cui non andiamo fuori tema.
Come ottenere da un profilo base una visibilità da premium?
Innanzitutto costruendo un ottimo profilo; quasi tutti i servizi hanno una piccola app che vi mostra la percentuale di completamento del profilo: il vostro obiettivo è ottenere sempre il 100%.
Riempite sempre tutti i campi, con foto, dati personali, descrizione del vostro lavoro, mappa dello studio, tariffe etc. questo non è il momento di pensare alla privacy: il vostro obiettivo è proprio farvi conoscere, non siate timidi.
Ottenere il 100% non è importante tanto per mostrare il maggior numero di informazioni al cliente, quanto per ottenere un miglior posizionamento nei profili mostrati a chi cerca un avvocato. In altre parole, quando qualcuno nella directory da voi scelta cerca un avvocato nella vostra città, uno dei criteri utilizzati dal sito per scegliere i primi cinque profili da mostrare è proprio la completezza del profilo (anche se non è il criterio più importante).
Un’altra app molto comune è il contatore di visualizzazioni, visite e contatti, molto utile perché vi consente di avere un feedback del vostro profilo (e se lo avete pagato, vi mostrerà se ne è valsa la pena). Si tratta di tre valori diversi, in particolare: a) le “visualizzazioni” sono le volte che il vostro nome è stato mostrato dal sito insieme a quello di tanti altri, e dipende da un algoritmo; b) le “visite” sono le volte che il cliente, tra i tanti profili indicati, ha cliccato proprio sul vostro nome; c) i “contatti” o anche “azioni” indicano che il vostro profilo lo ha convinto talmente tanto, che il possibile cliente ha cercato un contatto personale, “linkando” sul vostro sito o scrivendovi una mail. Complimenti!
Alcuni siti consentono di avere una propria bacheca personale, dove poter aggiornare i clienti sulla novità dello studio (“da oggi anche gratuito patrocinio!”…), ma soprattutto per far capire al motore di ricerca interna che “ci siete”, per cui fatevi vivi ogni tanto.
Un'altra possibilità da sfruttare, presente in alcuni di questi servizi, è quella di consentire agli utenti di darvi una valutazione, un voto, o una vera e propria recensione. Inviate questa pagina in particolare ai vostri clienti, ai vostri colleghi, a tutti quelli che vi conoscono. Se occasionalmente fate delle piccole prestazioni gratuite (pareri e simili) chiedete in cambio una valutazione sulla vostra directory, non potranno rifiutarsi.
Quasi tutte le directory, inoltre, comprendono un bottone “condividi”, per poter consigliare il vostro profilo su altri profili (Facebook, Linkedin, Twitter e quant’altro). Sfruttate più che potete questa possibilità, utilizzando innanzitutto i vostri contatti, e poi i contatti dei vostri contatti.
Inserendo sempre gli stessi dati in vari profili, potreste avere la tentazione di fare copia e incolla alla voce “descrizione” o simili: non fatelo, è contrario ai principi di SEO, e come risultato tendenzialmente Google li scarterà tutti tranne uno. Poniamo caso che qualcuno digiti proprio il vostro nome: durante la ricerca Google “leggerà” contemporaneamente tutti i profili , si renderà conto che sono identici, e, pensando ad un plagio, andrà alla ricerca di un ipotetico originale, scartando tutti gli altri profili, che è proprio il contrario di quello che vogliamo; meglio spendere qualche minuto in più realizzando profili con descrizioni diverse per ogni directory.
Se seguite questi consigli (vi prenderà un po’ di tempo) il sito che ospita il vostro profilo vi terrà sempre in cima alle visualizzazioni, e avrete un sempre maggiore numero di visite (cosa che potrete controllare periodicamente), in pratica la rete cercherà e troverà clienti per voi. Benvenuti nell'era del marketing 4.0!
gio
09
apr
2020
Microsoft Teams in azione: una recensione
Ho voluto testare in anticipo la piattaforma che dovremo utilizzare in futuro per le nostre udienze, avendo in testa alcune domande e riserve, e dopo aver effettuato il corso on-line di office365italia (fin troppo completo) e dopo aver trovato la prima simulazione d’udienza (quelli di AIGA e Movimento Forense su Facebook sono già affollati, io l’ho fatto con l’Avv. Andrea Buonuomo, che saluto e ringrazio), voglio condividere con voi alcune riflessioni.
Innanzitutto, Microsoft Teams è gratis. L’annuncio che il Ministero avrebbe acquistato delle licenze semestrali di Office365 per i giudici di pace aveva fatto pensare a molti colleghi che, per l’appunto, per utilizzare Teams bisognasse avere necessariamente Office365 (che è a pagamento periodico): assolutamente no, perché esiste una versione gratuita, meno completa di quella a pagamento, ma perfettamente funzionale per fare l’udienza telematica, e che prescinde anche dal possesso di Office o perfino di Windows (c’è anche per Mac, per Linux e per qualunque smartphone abbiate).
Che cos’è Microsoft Teams? E’ una piattaforma per facilitare il lavoro in team, per l’appunto, con moltissime funzionalità tese a questo scopo, funzionalità che possiamo anche aggiungere a piacimento: la videochiamata è un aspetto secondario, e molto probabilmente cominceremo ad usare Teams anche tra di noi per altri scopi (per le transazioni, per esempio).
Creare un account Teams è più facile che aprirne uno Facebook, basta una mail e una password (ma immagino che ne creeremo molti più di uno, poi vi dirò perché).
E proprio come Facebook, Teams è disponibile anche solo on-line, senza scaricare nulla, oppure con un software per PC, o anche con una APP per smartphone e tablet, e io vi consiglio vivamente di fare tutte e tre le cose; se per esempio non avete una webcam potete tenere aperto il profilo su smartphone e PC contemporaneamente, e usare il cellulare come una videocamera sfruttando la tastiera del PC per scrivere.
Quanto alla simulazione, proprio come in un’udienza reale qualche giorno prima ho fornito alla “cancelleria” (l’Avv. Bonuomo) la mail del mio profilo Teams, ed il giorno dell’udienza, qualche ora prima, ho ricevuto un biglietto di cancelleria (una banale mail) con un tasto con scritto “Join Teams”, e poi continuare a cliccare “ok”, “acconsenti” e simili, e in pochi secondi mi sono ritrovato nella videochat corretta: fatto.
La maggior parte del lavoro spetta alla cancelleria che deve predisporre tutto in anticipo, l’avvocato deve solo cliccare un tasto al momento giusto, e tutto funziona regolarmente: le parti si possono parlare “de visu”, o anche scriversi in chat. Quanto al verbale ci sono moltissime soluzioni, ne elenco ben 5:
1) verbale alla vecchia maniera, gli avvocati parlano e il giudice scrive sulla sua consolle;
2) verbale scritto sulla chat, che il giudice copierà e incollerà sulla consolle;
3) verbale con "note d'udienza" , si indica il codice in chat, e il giudice copia e incolla il verbale sulla consolle, sistema già in uso in molti tribunali da tempi non sospetti;
4) la condivisione di un banale foglio word, su cui tutti i partecipanti possono scrivere, e poi il giudice copierà e incollerà sulla sua consolle; a tal proposito la condivisione file sarebbe riservata alla versione a pagamento, ma basta che ce l’abbia l’organizzatore della chat (il giudice) per poter essere utilizzata da tutti, anche da chi ha la versione gratuita;
5) Il giudice potrebbe perfino permettere agli avvocati partecipanti di scrivere direttamente sulla propria consolle, autorizzando l’accesso al proprio pc: molto improbabile e vagamente contra legem, ma tecnicamente possibile.
Fin qui tutto bello, ora cominciano alcuni problemi (per ora solo teorici).
Non è possibile, almeno al momento, fare più videochat contemporaneamente con lo stesso account, quindi scordatevi di poter fare 10 udienze in una sola mattinata. A parte la difficoltà logistica di parlare contemporaneamente (ma potreste limitarvi a scrivere in chat), non è proprio possibile aprire due o più chat contemporaneamente con lo stesso account. Per riuscire nell’impresa dovreste quindi:
creare due o più indirizzi e-mail;
con quelli creare due o più account Teams (potete e dovete sempre utilizzare il vostro nome, ma con mail e password sempre diverse);
Ricordarvi di comunicare alle cancellerie indirizzi diversi (e magari segnarvi quale avete mandato a chi!);
A quel punto potreste contemporaneamente aprire due o più profili ed essere contemporaneamente in più chat, ma chi lo ha fatto ha visto andare il proprio PC in crash, quindi è possibile solo collegandosi contemporaneamente ma con dispositivi diversi: pc, smartphone e tablet (e per ora ci limitiamo a tre)!
Il problema sarà parzialmente risolto se i giudici prenderanno l’abitudine di fissare le udienze non ad horas, ma al minuto esatto, e quindi non 40 udienze alle 9:00 come avvenuto finora, ma la prima alle 9:00, la seconda alle 9:05 (e va bene, facciamo alle 9:10), e così via fino ad esaurimento ruolo. Altrimenti ad esaurirci saremo noi, costretti a sostituire l’attesa davanti la porta con l’attesa davanti allo schermo, un po’ come quella per richiedere il contributo a Cassa Forense, tanto per capirci: ve lo immaginate tutte le mattine così? Almeno prima eravamo in compagnia!
Altro aspetto critico: secondo le ultime circolari, in caso di improvvisa mancanza di connessione di una della parti, il giudice, dopo un tentativo di ripristino da parte del cancelliere, deve disporre il rinvio. Questo ovviamente per garantire l’effettività del contraddittorio, ma a tutto rischio dell’economicità processuale, perché saranno fin troppi i colleghi spregiudicati che, interessati ad un rinvio d’ufficio, potranno limitarsi a staccare il proprio collegamento simulando un problema; auspico che le prossime linee guida prevedano e mettano un freno a questa possibilità.
Qualcuno potrebbe essere tentato di registrare il video dell’udienza, per vari motivi: farlo vedere al cliente, diffonderlo on-line, mettere i baffi finti al giudice con un software di fotoritocco o che so io. Non solo è ovviamente vietato dalla legge (e lo era anche prima), ma anche dal punto di vista pratico è impossibile. Intanto è un’opzione riservata alla versione a pagamento, ma se comunque ci provate l’organizzatore della chat (ossia il giudice) riceve un messaggino automatico del tipo: “avv.xxx vuole registrare la chat: acconsentire?”. Non tentate nemmeno e risparmiatevi una brutta figura, oltre che la segnalazione in Procura.
Prima di collegarvi consiglio vivamente di provare il sistema webcam-microfono-casse, sistemate la stanza (e la vostra persona: lo so che state immaginando l’udienza dalla spiaggia…), e prendiamo la buona abitudine di staccare il nostro microfono se non stiamo parlando, per evitare rumori di fondo, magari molesti (suonerie, televisione, bimbo che piange, vicino che urla, sirena che passa, cane che abbaia, alla fiera dell’est, per due soldi…).
Altra riflessione.
Il fatto di poter fare l’udienza telematica rende teoricamente superfluo il domiciliatario sul posto, visto che dal mio studio posso collegarmi con qualunque Tribunale d’Italia (o del mondo intero). Ma se in un giorno devo fare più udienze contemporaneamente, anche se tutte nello stesso Tribunale, probabilmente avrò più bisogno di sostituti di prima, e magari io stesso sarò costretto a farmi sostituire nella mia Enna da un collega che magari lavora da Belluno, o viceversa. Certo rimangono ragioni di opportunità per preferire un collega del luogo, che conosce e soprattutto è già conosciuto da giudici e cancellieri, ma teoricamente da domani ognuno di noi può svolgere udienza ovunque senza spostarsi dallo studio. E’ ancora presto per immaginare come cambierà il nostro lavoro quotidiano, ma personalmente ci vedo più occasioni di opportunità che di crisi, voi che ne pensate?
lun
30
mar
2020
Avvocati e smart working
L’epidemia di questi giorni ci sta sottoponendo a delle scelte, per lo più imposte, e una di queste è il cd. smart working; data l’indispensabilità oggi più che mai di tali strumenti e l’abbondanza forzata di tempo libero, tanto vale prendersi del tempo per approfondire l’utilizzo di questi strumenti.
Ci sono molti strumenti che già oggi ci consentono di lavorare da casa/studio. Do per scontato (parlo per noi avvocati) che abbiate tutti PEC, firma elettronica e redattore per PCT (per esempio SLpct), che forse finora non abbiamo sfruttato al 100% mentre da oggi dovremo farlo, e sistemi analoghi nelle giurisdizioni amministrative e contabili (nel settore penale ci sono criticità diverse e peculiari, ma ci si sta muovendo anche lì).
A questo sistema dovremo aggiungere anche Microsoft Teams, per effettuare le udienze (civili e penali) in videoconferenza (oltre ad avere molte altre funzioni, come la condivisione di file).
Ma a parte quello che è obbligatorio (PCT e, a quanto pare, Microsoft Teams), ci sono moltissime opportunità di smart working per l’avvocato.
Se non lo avete già fatto consiglio vivamente di attivare SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale); è completamente gratis e facile da attivare, specie per chi ha già una firma elettronica, altrimenti dovrete fisicamente recarvi in un ufficio per accertare la vostra identità (ma c’è anche l’accertamento via webcam, che però è a pagamento).
SPID vi consente di fare moltissime pratiche on-line, primo fra tutti l’Agenzia delle Entrate: attraverso la piattaforma ENTRATEL (Entrate Telematiche) il professionista può effettuare moltissime pratiche per conto dei loro clienti, depositare documenti, accedere al loro cassetto fiscale, effettuare ricorsi interni e molto altro ancora. In pratica tutto quello che finora avete fatto in agenzia lo potete fare da casa, meglio ancora se abbinato al Desktop Telematico, una suite di programmi forniti dall’Agenzia per compilare le varie dichiarazioni.
Per la prima abilitazione purtroppo è indispensabile un accesso fisico in agenzia, ma attendiamo nuove disposizioni in merito (magari in videoconferenza?).
Non poteva essere da meno l’Agenzia del Territorio (il Catasto), che infatti ha Sister (Sistema di interscambio del Territorio), che consente (ad alcuni soggetti, tra cui appunto gli avvocati) di effettuare visure on-line, ma anche volture. Affiancato al sistema c’è anche qui la suite scrivania del territorio che raccoglie i software PREGEO, DOCFA, Voltura e UNIMOD. La maggior parte di loro è riservata a professionisti tecnici (tranne i notai che hanno accesso indiscriminato a tutto, vai sapere perché), ma anche gli avvocati possono effettuare visure, ispezioni, volture, annotazioni e iscrizioni on line. A differenza di Entratel, Sister richiede un abbonamento annuale e un pagamento per ogni visura (oltre che i normali diritti per le pratiche).
Analogamente potrete accedere a Telemaco per le pratiche di iscrizione camerali e per le visure on line (si pagano le singole visure e i normali diritti per le pratiche).
Anche l’INPS, preferibilmente ma non esclusivamente a mezzo SPID, consente di fare moltissime pratiche on-line; quello che forse non sapete è che gli avvocati possono attivare un canale preferenziale per svolgere attività di intermediario telematico per conto terzi e per i ricorsi amministrativi interni all’INPS. Anche in questo caso, per la prima abilitazione ad un certo punto è previsto un accesso fisico agli uffici, e speriamo cambino modalità.
Allo stesso modo anche l’ INAIL consente di fare molte operazioni on-line, tra cui, ad esempio, denuncia di sinistri e ricorsi amministrativi.
E dato che costruire una solida reputazione on-line è importante oggi più che mai, nei prossimi post mi dedicherò al marketing on-line, per gli studi legali e per i liberi professionisti in genere.
ven
27
mar
2020
Cosa NON farò da avvocato né durante l’epidemia né dopo
Premetto che non voglio essere né da esempio né farmi pubblicità: questo articolo vuol essere solo un avvertimento nei confronti di alcune persone che potrebbero desiderare la mia collaborazione, ed a cui dirò di no in anticipo.
NO a cause nei confronti di medici/ospedali per danni da Coronavirus.
Accogliendo e condividendo quanto affermato da AIGA in proposito, non seguirò cause contro medici, operatori sanitari e/o aziende sanitarie per infezione da Coronavirus, e ciò sia che siate malati sia che siate voi stessi operatori sanitari. In questo periodo stiamo vivendo circostanze eccezionali, ed in tali circostanze medici, paramedici ed aziende sanitarie stanno facendo uno sforzo titanico per operare al massimo delle loro possibilità.
Fargli causa per aver svolto il loro lavoro in condizioni critiche è una cosa che non solo considero indegna come persona prima ancora che come avvocato, ma anche dal punto di vista meramente giuridico considero una strada in salita; ben difficilmente, infatti, tali cause, civili o penali che siano, supereranno lo scoglio dell’onere della prova: come provare di aver contratto il virus da un medico, o in una stanza d’ospedale, anziché andando a fare la spesa?
Premesso che non sono un biologo e le mie scarse nozioni di medicina legale derivano da stagioni di CSI più che dall’Università, teoricamente in qualche caso si riesce ad analizzare l’RNA dei virus e la risposta immunitaria tra due soggetti per accertare scientificamente che una persona ne abbia infettata un’altra (in passato si è fatto con l’AIDS), ma durante un epidemia ciò è praticamente impossibile, e mi piacerebbe qualche commento di un biologo in proposito.
Andatevi a leggere la giurisprudenza sulle infezioni sanitarie, e scoprirete che non è così facile ottenere un risarcimento: se qualche collega vi promette di specularci, in realtà ci speculerà solo lui.
NO ad impugnazioni di violazione delle varie ordinanze di coprifuoco
In questo giorni la maggior parte delle violazioni è stata depenalizzata (non tutte), quindi il problema resta semplicemente amministrativo, quindi impugnazioni al giudice di pace o al prefetto. Si tratta di procedimenti elementari (al di là dell’esito, sempre incerto), e la tentazione di occuparmene, anche per guadagnare qualcosa in questi tempi incerti, sarebbe forte. Poi mi ricordo che parte della colpa di questi tempi incerti è anche di chi ha violato il coprifuoco mentre io stavo a casa, e la tentazione mi passa.
No a prestazioni gratuite quali pareri o gestioni pratiche legate alle ultime ordinanze e ai vari benefici fiscali
Il governo ha emanato e continuerà ad emanare della norme in vari settori (principalmente ma non esclusivamente nel settore fiscale e previdenziale) per fronteggiare l’inevitabile crisi economica. Per questi benefici, bonus e/o sussidi comunque nominati è prevista una certa procedura più o meno complessa che, come già avvenuto per il “reddito di cittadinanza”, la maggior parte degli utenti non è in grado di gestire autonomamente. In tale settore non effettuerò alcun tipo di prestazione gratuita, e non perché le persone non ne abbiano effettivamente bisogno, ma perché ci sono già molti soggetti che effettuano questo tipo di servizi gratuitamente, oltre la mole di informazioni disponibile in rete. D’altronde anche i legali rientrano tra le categorie in crisi, ed effettuare prestazioni legali (cosa che molti clienti dà per scontato) non servirà a far ripartire né la categoria né il singolo professionista.
Al di fuori di queste tre prestazioni il nostro studio è e resta disponibile per i propri clienti, ed in proposito ci stiamo attrezzando per lo smart working e le video conferenze, per essere vicini alla clientela anche a distanza.
mer
30
ott
2019
Indennità di accompagnamento in chemioterapia: cosa fare in caso di negato assegno?
L’indennità di accompagnamento è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei soggetti mutilati o invalidi totali per i quali è stata accertata l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure l’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita. L’indennità di accompagnamento è inoltre indipendente dall’età e dalle condizioni reddituali, ma richiede ulteriori requisiti, quali:
riconoscimento di totale inabilità (100%) per affezioni fisiche o psichiche;
impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore, ovvero impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita e la conseguente necessità di un'assistenza continua;
cittadinanza italiana;
per i cittadini stranieri comunitari: iscrizione all’anagrafe del Comune di residenza;
per i cittadini stranieri extracomunitari: permesso di soggiorno di almeno un anno di cui all’art. 41 TU immigrazione;
residenza stabile ed abituale sul territorio nazionale.
Secondo la giurisprudenza (v. Cass. Civ. 1705/1999) tale forma di compensazione spetta anche ai soggetti in chemioterapia o radioterapia, perché tali trattamenti, seppur per un periodo transitorio, hanno effetti tali sul paziente da impedirgli o rendergli estremamente difficile compiere gli atti più elementari della vita quotidiana senza l’ausilio di un accompagnatore o “caregiver”, che è proprio la ratio dell’indennità di accompagnamento.
Stante la variabilità delle terapie, l’assegno di accompagnamento può essere concesso anche per periodi brevissimi di terapia (anche un solo mese) dato che la legge non prevede un termine minimo di durata del beneficio.
Ovviamente l’assegno non è automatico -anche perché nel caso concreto la chemioterapia potrebbe non avere affetti così negativi sulla vita quotidiana del paziente- quindi la concessione del beneficio seguirà la normale trafila burocratica: richiesta al proprio medico di un certificato medico introduttivo, quindi richiesta telematica all’INPS (allegando ovviamente tutti i certificati del caso), in proprio o a mezzo di un patronato (caldamente consigliato).
L’INPS nomina una commissione medica che analizza il caso, studia la documentazione e soprattutto visita personalmente il paziente, quindi dichiara la percentuale di inabilità e se concedere o meno il beneficio.
Nel caso in cui l’indennità di accompagnamento venga negata, l’unica strada è rivolgersi ad un avvocato, che dovrà richiedere al Tribunale del Lavoro un ATP (Accertamento Tecnico Preventivo), con cui il giudice, in contraddittorio con l’INPS, nomina un CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio), ossia un medico legale terzo e imparziale, che visiterà nuovamente il paziente e accerterà la sussistenza o meno dei requisiti richiesti per la concessione del beneficio (nel caso di pazienti radio/chemioterapici normalmente il beneficio viene concesso in corrispondenza della terapia, cioè per gli stessi mesi e frazioni di mesi, e fino alla fine della stessa).
La consulenza finale verrà quindi omologata dal Giudice con apposito provvedimento che il legale dovrà notificare all’INPS, che –se non si opporrà, aprendo un’altra e diversa fase giudiziale- liquiderà quanto spettante nel termine di 120 giorni.
Naturalmente il nostro studio è disponibile e competente a consulenze e pareri su questo argomento.
gio
24
ott
2019
Ho appena concluso (con successo) il primo corso di formazione a distanza (FAD) organizzato da Cassa Forense, e mi pare opportuno farne una recensione, ad uso dei colleghi che vogliono approcciarsi a questo tipo di formazione, ma soprattutto, mi auguro, a titolo di feedback per la stessa Cassa Forense.
Ciò perché, anticipando le conclusioni, la recensione è complessivamente negativa. Sulla base di esperienze precedenti di corsi FAD (di cui sono grande fan, passatemi il gioco di parole), e soprattutto comparandoli con i corsi organizzati qualche anno orsono dal CNF, emergono tutta una serie di criticità tecniche, di cui spero la Cassa faccia tesoro.
La prima e più evidente è anche la più facilmente risolvibile dal punto di vista tecnico: non è possibile mettere la schermata a tutto schermo. E’ presente la cornice del sito, quindi la diapositiva principale, che occupa circa un terzo dello schermo, quindi un quadrato grande quanto un francobollo da cui parla il relatore. Le slides con molto testo (quasi tutte) sono praticamente illeggibili, per non dire di quelle con grafici. L’aspetto tecnico generale (comparato con altre esperienze FAD, come Federica.eu) è di una certa improvvisazione tecnica: i video sono stati registrati evidentemente con una webcam e con un microfono da PC, non con una vera telecamera ed un vero microfono, ed anche l’audio inevitabilmente ne risente (consiglio vivamente le cuffie).
La registrazione a mezzo webcam viene resa ancor più tristemente evidente dal fatto che il relatore, per la maggior parte del tempo, non guarda quasi mai il fruitore del corso (ossia non guarda la webcam posta evidentemente sopra la sua linea visiva), ma per lo più si limita a leggere le slides dallo schermo, contro ogni più elementare principio di public speaking.
Il criterio di un credito per ogni ora di corso viene seguito alla lettera (a differenza di quelli organizzati dal CNF): il corso a cui ho assistito è durato esattamente un’ora, e a tal proposito mi sarebbe stato utile un orologio per sapere a che punto ero del corso, e soprattutto quanto mancava alla sua conclusione.
Inoltre né l’avvio del corso né l’accreditamento finale sono esattamente user friendly, ma poco immediati.
Infine, come ciliegina sulla torta (e sempre a differenza dei corsi organizzati dal CNF, che imitavano un certificato in cornice) i certificati dei crediti formativi una volta stampati hanno font e colori decisamente brutti (non c’è altro termine).
Nulla da dire sulla qualità formativa delle relazioni e sui “test” (non troppo facili né troppo difficili).
Resta il credito formativo in una materia a volte difficile da reperire sul territorio, ma c’è molto da migliorare.
ven
05
lug
2019
RECENSIONE DI IUDEX 2
Sono sempre alla ricerca di applicazioni gratuite utili per la gestione dello studio legale, e ne ho parlato più volte in molte sedi. Oggi vi parlo di Iudex 2, creato dai colleghi Roberto Alma, Matteo Moscioni e Daniele Costa, che saluto e ringrazio.
Lo scopo principale di Iudex 2 (che segue a iudex 1, ovviamente) è mettere a disposizione dell’utente un archivio della giurisprudenza di merito (niente giurisprudenza di Cassazione, quindi).
Facciamo subito una prova, e (dopo aver inserito i miei dati: nome, codice fiscale e firma elettronica quando richiesto) inserisco nella schermata di ricerca le parole: assegno divorzio.
Dopo mezzo secondo escono 50 risultati, 50 sentenze provenienti da tutta Italia relative agli ultimi 2 giorni.
Il numero di risultati é prefissato per default ma modificabile, come modificabile è la schermata di ricerca: anziché su tutta Italia, posso restringere la ricerca al singolo Tribunale, alla singola sezione o persino al singolo giudice (!!!), in modo da conoscerne in anticipo l’orientamento.
Peraltro le sentenze vengono visualizzate per intero, e con tanto di firma elettronica (con lo stampiglio laterale, per intenderci), decisamente efficiente.
Tutto ciò era garantito anche da Iudex, la prima piattaforma, di seguito le novità.
Oltre all’archivio di merito, Iudex 2 supporta una ricerca delle sentenze di legittimità, ma non una ricerca libera, bensì per estremi: dovrete inserire il numero esatto della sentenza.
Provo con un numero ed un anno a caso, ed in questo caso esce la scansione dell’originale intero (con tanto di timbri e scritte a penna).
Ovviamente, come qualunque data base di questo tipo, i risultati possono essere stampati, salvati, copiati negli appunti etc.
Un altro utilissimo aggiornamento rispetto al primo Iudex è l’accesso a Polisweb (ovviamente con firma elettronica), molto utile nei rarissimi casi (J) in cui il Portale dei Servizi Telematici non funzioni…
La schermata del polisweb è chiara, facile da usare e funzionale, e permette di salvare i fascicoli (oltre che di scaricarne l’intero contenuto) per future ricerche.
Completa il programma un calendario delle scadenze, che permette di importare/esportare gli appuntamenti.
Rispetto alla prima versione di Iudex è stato eliminato lo strumento per gli sviluppatori, che permetteva ai colleghi “smanettoni” (non è una brutta parola, intendo dire i programmatori per hobby…) di accedere al codice ed effettuare modifiche personali: forse rishciava di fare più danni che altro.
Un plauso ai colleghi, a cui umilmente faccio due suggerimenti: integrare il sistema con Italgiure (il sistema libero e gratuito della Corte di Cassazione), in modo da implementare anche una ricerca libera sulla giurisprudenza di legittimità, e ripristinare lo strumento per gli sviluppatori, magari nascondendolo molto bene per evitare modifiche indesiderate.
Per integrare una suite con la compilazione e l’invio di fascicoli elettronici e magari anche fatture elettroniche aspettiamo Iudex 3…
PS
Iudex 2 è scaricabile da qui:
https://www.iusinaction.com/scarica-iudex2/
gio
27
dic
2018
Sei un avvocato? Scrivi una relazione di fine anno
Prima di spiegarvi come scrivere una relazione di fine anno, è meglio spiegarvi a cosa serve fare una relazione per riassumere l’andamento professionale nell'ultimo anno (o negli ultimi). Sia che siate titolare di uno studio vostro, sia che siate un avvocato senza tutele in un mega studio, sia che siate un singolo professionista che ha appena aperto la partita IVA, mettere tutto nero su bianco vi chiarirà le idee su cosa state facendo, su quali sono i vostri obiettivi per il futuro, e verificare se siete sulla strada giusta per realizzarli, oppure no.
A parte ciò, essere in grado di fare una relazione come quella descritta in questo post vi potrà essere utile in altre occasioni: accedere a finanziamenti che presuppongono un progetto, un business plan; nel caso decidiate di associarvi, permetterà ai soci di conoscersi meglio tra loro (e di verificare se hanno gli stessi obiettivi e la stessa vision dello studio). Se siete a fine carriera e state per chiudere lo studio senza eredi, potreste pensare di venderlo ad un collega più giovane: una relazione del genere vi permetterà di assegnargli un valore ben preciso.
Ordunque: contenuto minimo. Se non la avete mai scritta, cominciate a scrivere (letteralmente, nero su bianco) tutto il vostro percorso professionale, dall’iscrizione all’albo ad oggi: perché avete fatto questa scelta, quali erano i vostri obiettivi, quali sono le aree di maggior pratica, quali i vostri clienti tendenziali; descrivete la vostra situazione attuale: lavorate da soli o in gruppo? Uno studio associato o mera condivisione di spese? Siete alle dipendenze di fatto di qualcuno?
A questo punto un altro elemento cardine della relazione: il fatturato lordo. Sempre se non lo avete mai fatto prima (e anche se non pensate di far leggere niente a nessuno, ovviamente), prendete in considerazione i vostri ultimi 5 anni (o dall’inizio, se di meno). Perché proprio gli ultimi 5 anni? Perché si tratta di un orizzonte di tempo medio-lungo più che sufficiente per darvi una tendenza statistica della vostra redditività.
In pratica scrivete in una tabella, anno per anno, il vostro fatturato lordo (ossia il totale delle vostre fatture, senza considerare le spese, almeno per ora). Già così dovreste avere un’idea dello scopo della relazione, ma non fermatevi qui: a questo punto fate della tabella un grafico (con Office è talmente elementare che mi rifiuto di spiegarvi come fare, a parte il fatto che è così semplice che potreste farlo con carta e penna: sulla linea verticale gli euro, sulla linea orizzonte gli anni, e unite i puntini…). Il grafico esprime immediatamente la tendenza del vostro studio, ma se volete essere più precisi, riprendendo la tabella di prima potrete aggiungere un’altra colonna, con l’aumento o la diminuzione percentuale tra un anno e l’altro; se la tendenza è sempre la stessa (e mi auguro per voi che sia un aumento costante) potrete ricavare anche il tasso medio di aumento della redditività.
Già così avete fatto un ottimo lavoro, che vi sarà utile anche negli anni successivi. Se volete essere più precisi (e volete deprimervi…) aggiungete al grafico le spese. Alla tabella aggiungete quindi una terza colonna in cui scriverete il totale delle spese professionali, anno per anno, quindi aggiungete una seconda linea al grafico: l’area tra le due linee corrisponde al vostro profitto. Quali spese aggiungere? Sta a voi decidere, ma certamente ci vanno iscrizione all’albo, contributi di Cassa, assicurazione etc.; decidete voi se aggiungere anche le utenze o meno, purché ovviamente applichiate lo stesso criterio ogni anno, e specificate in una legenda cosa indicate per “spese”. Sul grafico noterete che, a differenza del fatturato che dovrebbe essere inclinato verso l’alto, la curva delle spese è tendenzialmente anelastica (ossia quasi orizzontale).
A questo punto interrogatevi e rispondete sinceramente (sempre scrivendo): quali sono i miei punti deboli? Quali i miei punti di forza? Da chi è rappresentato maggiormente il mio portfolio clienti?
A questo proposito, tornerà utile fare questa operazione: dividete le fatture in categorie a seconda del cliente (fate voi le categorie: consumatori, aziende, enti locali, oppure gratuito patrocinio e non, oppure semplicemente civile, penale, stragiudiziale e non sa/non dice…); sta a voi decidere in che gruppi dividere la clientela, ma attenti ad evitare sovrapposizioni, ossia evitate che alcuni clienti siano presenti contemporaneamente in più categorie. A questo punto fate una bella tabella, con le categorie e il fatturato corrispondente per ogni categoria, quindi fate un bel grafico a torta (chi ne vuole una fetta?). Il sistema dovrebbe tirarvi fuori automaticamente anche le percentuali corrispondenti, altrimenti fate voi il conto. Anche in questo caso, la visione del grafico potrebbe sorprendervi, ma quello che più conta non è tanto il singolo anno, ma il confronto anno per anno: qual è il settore più forte? Qual è quello che sta crescendo? Questo potrà aiutarvi ed identificare i vostri punti forti e deboli, e a prendere decisioni imprenditoriali in merito: rafforzare i punti deboli o tagliare i rami secchi e concentrarvi sui punti di forza? Entrambe sono scelte imprenditoriali possibili.
Se siete stati così diligenti da arrivare fin qui, dedicate una parte della vostra relazione alla “compliance”, ossia al rispetto di tutta la normativa cui siete sottoposti, come avvocati e come partite IVA.
Rispondete (sinceramente e per iscritto!) a queste domande: ho raggiunto i crediti formativi? Se no, perché? Ho verificato se la mia azienda rispetta la normativa anti corruzione? E se no, cosa penso di fare in proposito? Ho verificato se rispetto gli obblighi di privacy? Se no perché, e cosa penso di fare in proposito? La sincera risposta a queste domande potrebbe anche essere “niente”, purché siate consapevoli degli standard che volete ignorare. Fate lo stesso ragionamento anche per gli obblighi previdenziali, assicurativi, fiscali (ce l’avete il POS, vero?), e infine per gli standard di qualità (esiste l’ISO 9001 anche per gli studi professionali, ne ho già parlato in altri post). Avete partecipato alla vita del vostro ordine? Avete votato alle elezioni forensi, avete partecipato alle assemblee? Se no, perché?
Una parte importante deve essere dedicata al marketing, in pratica la risposta alle domande: come ho trovato i clienti finora? Qual è stata la migliore fonte di clientela? Come sviluppo la mia reputazione, sul web e nella vita reale? Su questo argomento, come immaginate, ci sarebbe altro da scrivere, e conto di farlo in un altro post.
Infine la parte più importante: propositi per il futuro, per l’anno successivo e a lungo termine. Dopo aver riletto quello che avete scritto finora, rispondete sinceramente: cosa conto di fare in proposito l’anno prossimo? E nei prossimi 5 anni? Quali risorse dedicherete (in termini di tempo, denaro e impegno) al marketing? Come curerete la vostra formazione? Come adeguerete il vostro studio ai vari adempimenti di compliance, che magari avete trascurato sinora? Quali sono i vostri obiettivi realistici per l’anno successivo in termini di fatturato e acquisizione di nuova clientela? Quali cause andranno a sentenza l’anno prossimo? E così via. Infine, ripetete la relazione alla fine di ogni anno (ma continuando ad usare gli stessi grafici, aggiungendo i dati), per verificare se avete rispettato gli obiettivi che vi eravate imposti l’anno precedente: forse vi darete una pacca sulla spalla, forse deciderete che è l’ora di passare in proprio, o magari deciderete di cambiare mestiere, ma qualunque sia la vostra decisione lo farete a ragion veduta.
mer
28
nov
2018
Invito tutti i colleghi e gli interessati a partecipare al "Convegno sulla povertà e il sovraindebitamento - i consumatori e le piccole aziende" che si terrà a Enna il 30/11/2018, ore 9:00 presso l'Auditorium "Falcone e Borsellino" del Tribunale di Enna, evento valido per la formazione continua di avvocati e commercialisti, e che mi vedrà fra i relatori.
mar
11
set
2018
In un’assordante silenzio - d’altronde ad Agosto eravamo quasi tutti in ferie- la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato il Decreto Legislativo 104 del 10/8/2018 (che puoi leggere qui) per la “Attuazione della direttiva (UE) 2017/853 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2017 (che puoi leggere qui) che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi”.
Per chi vogli avventurarsi nella lettura del provvedimento europeo, la direttiva non aveva certo lo scopo di aumentare il numero delle armi presenti sul territorio né tantomeno di incoraggiarne l’uso, ma bensì di migliorarne la tracciabilità dalla produzione alla vendita al dettaglio, nell’ottica del contrasto al terrorismo, e prevedeva delle possibilità, per gli stati membri, di introdurre delle eccezioni agli stati membri, per esempio per motivi sportivi.
L’Italia ha approfittato largamente di questa possibilità, estendendo (a chi già possiede il porto d’armi secondo la normativa vigente, beninteso) la possibilità di detenere armi e munizioni, raddoppiando il numero (sarà possibile detenere fino a 12 armi, forse per consentirne il cambio ad ogni giorno della settimana, più altre per le occasioni speciali…). Ma quello che più stona è la possibilità, per i “tiratori sportivi” iscritti in associazioni sportive, di acquistare fucili a ripetizione come i famigerati AK47, ossia vere e proprie armi da guerra. Perché mai?
Ricordiamo che i tiratori sportivi sono, tipicamente, gli appassionati del poligono, tiro al bersaglio e tiro a volo, discipline nelle quali, tra l’altro, l’Italia spicca nelle competizioni internazionali.
Qualche anno orsono –ricordiamo- ha destato scalpore l’iniziativa di un preside che ha introdotto le attività al poligono tra le attività sportive consigliate agli studenti (naturalmente limitate ai fucili ad aria compressa). Oggi uno qualunque tra quei giovani appassionati, che sia entrato in possesso del porto d’armi “sportivo”, oltre alla classica carabina a colpo singolo (comunque un buon fucile per un potenziale cecchino…) potrebbe comprarsi un kalashnikov, e senza neanche avvertire i genitori/compagni di scuola dell’avvenuto acquisto.
Perché mai dovrebbe farlo? Per due motivi: 1) fare una strage, oppure 2) sfoggiare il fucile più lungo e potente di tutti al poligono locale (e chissà cosa ne penserebbe Freud…), e farsi i selfie su Facebook. Non si tratta di un’ipotesi remota; per fare un paragone, è lo stesso atteggiamento di chi, appassionato di informatica, compra una “workstation” abbastanza potente da mappare il genoma umano, e poi lo usa per giocare a “Fortnite”: a che pro? A che pro autorizzare per “motivi sportivi” il possesso di armi da guerra, quando non esistono competizioni di questo tipo?
In rete girano commenti per cui il governo avrebbe appoggiato i soliti poteri forti e/o occulti, rappresentati in questo caso dalla lobby delle armi, ma tali commenti sono infondati, anche perché la suddetta lobby in Italia non è neanche lontanamente paragonabile, per influenza politica, al suo corrispettivo statunitense.
La verità è che questo provvedimento rientra in quella linea di sicurezza e ordine pubblico voluta dal governo, ed in cui rientra, ad esempio, anche la riforma della legittima difesa; gli elettori avvertono (mediaticamente, non certo statisticamente) un aumento di rischio della propria incolumità personale? Armiamoli, e si sentiranno più sicuri! Ora, immaginate che nello stabile dove vivete, il figlio del vicino abbia un AK47:
siete sicuri di sentirvi sicuri?
mar
29
mag
2018
Con il Il DM 14/5/2014 Il Ministero dei Trasporti ha dato attuazione al DL 102/2013 , che ha istituito il Fondo per la Morosità Incolpevole, il cui scopo è tutelare il diritto alla casa di chi, dopo aver perso il lavoro, non riesce più a pagare i canoni di locazione, e rischia lo sfratto: vediamo come funziona ed a chi si rivolge il nuovo istituto.
Innanzitutto il fondo è gestito dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto col Ministero dell’Economia, che lo ripartisce alle regioni (in proporzione alla loro densità abitativa), che a loro volta lo distribuiscono ai Comuni, cui bisogna rivolgersi per accedere al contributo.
Il fondo è rivolto a chi non sia più in grado di provvedere al pagamento dei canoni di locazione per perdita incolpevole della capacità di reddito, ossia per licenziamento, mancato rinnovo del contratto, accordi sindacali (es. Cassa Integrazione etc.), cessazione di lavoro autonomo per causa di forza maggiore (tra cui la perdita di avviamento), e naturalmente malattia grave, infortunio o decesso di un componente del nucleo familiare che abbia comportato o la consistente riduzione del reddito complessivo del nucleo medesimo o la necessità dell'impiego di parte notevole del reddito per fronteggiare rilevanti spese mediche e assistenziali.
Inoltre il richiedente deve essere già in una situazione di morosità avanzata, in pratica deve aver già ricevuto un atto di intimazione di sfratto per morosità.
Oltre a ciò, la legge richiede che il richiedente sia:
- in possesso di reddito Ise non superiore a 35mila euro ovvero un reddito di lavoro con valore Isee non superiore a 26mila euro;
- titolare di un contratto di locazione abitativo regolarmente registrato, con residenza nell'immobile oggetto della procedura da almeno un anno;
- cittadino italiano o europeo, ovvero straniero con regolare titolo di soggiorno;
-in mancanza nella provincia di residenza di altri immobili disponibili (per proprietà, usufrutto o comodato) adatti alle esigenze abitative, circostanza che deve verificare l’ente locale.
Siccome lo scopo della legge è la preservazione del diritto all'abitazione, viene data preferenza alle situazioni in cui vi sia la disponibilità ad un accordo con il locatore, che si dichiari disponibile ad annullare o posticipare l’esecuzione dello sfratto, o a stipulare un nuovo contratto. In questi casi è il Comune che versa al locatore l’importo dei canoni pregressi, o del nuovo deposito cauzionale.
Naturalmente sono previste delle soglie massime di contributo, ed in particolare:
- fino a un massimo di ottomila euro per sanare la morosità incolpevole accertata dal Comune, laddove il periodo residuo del contratto in essere non sia inferiore a 2 anni -ossia manchino ancora due anni alla scadenza “naturale” del contratto-, con contestuale rinuncia all'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'abitazione;
- fino a un massimo di seimila euro ai fini del ristoro al proprietario dei canoni arretrati, laddove lo stesso consenta il differimento dell'esecuzione del provvedimento di rilascio utile a far trovare un'adeguata soluzione abitativa all'inquilino moroso: è evidente che in tale seconda soluzione la morosità non viene sanata interamente, ed la locazione prosegue solo per il periodo strettamente necessario a trovare un’alternativa.
- fino a un massimo di dodicimila euro al fine di assicurare il versamento di un numero di mensilità (per un deposito cauzionale) per un nuovo contratto di locazione abitativa a canone concordato, anche in novazione dello stesso contratto, ma con canone concordato.
Per informazioni, consiglio di rivolgervi ai Servizi Sociali presso il vostro Comune di residenza.
mer
18
apr
2018
L’”errore fatale” nel PCT e la remissione in termini
(nota di commento a Ordinanza Trib. Enna 15/2/2018)
Il PCT è in vigore già da un po’ ed ormai abbiamo imparato a conoscerne le sfumature e le insidie, tuttavia l’intoppo è sempre possibile e la giurisprudenza nella recente materia è ancora scarsa, ragion per cui aggiungo un piccolo tassello citando, ad uso dei colleghi, l’indirizzo del Tribunale di Enna, che conferma quanto già fatto da altri tribunali di merito, e del resto repetita iuvant.
In un caso recente ho commesso la leggerezza di depositare telematicamente una memoria ex art. 183, c. 6 n. 2 CPC l’ultimo giorno utile, e per giunta in orario di chiusura delle cancellerie (seppur in orario utile per il deposito, ovviamente).
Pochi minuti dopo il deposito ho ricevuto la ricevuta di accettazione, e poco dopo la ricevuta di avvenuta consegna.
A questo punto tiravo un sospiro di sollievo perché mi ritenevo ormai al sicuro, anche se non capivo perché non ricevessi la terza PEC (l’”esito controllo automatico deposito”); immaginavo che fosse dovuto alla chiusura delle cancellerie, anche se sapevo che, come dice il nome stesso, la terza PEC è generata automaticamente dal sistema.
Il sistema genera la terza PEC solo il giorno dopo, segnalando un errore imprevisto, accompagnata dalla quarta PEC, quella che nessuno di noi vorrebbe leggere: ACCETTAZIONE DEPOSITO – atti rifiutati – ERRORE FATALE.
Se non fosse per il fatto che il termine era scaduto a mio danno avrei sorriso per l’uso nel PCT di un’espressione così grave (in fondo nessuno aveva incontrato il proprio fato ed era morto), ma il problema era serio, ed era interamente mio. Come perfezionare il deposito (che tecnicamente avevo effettuato nei termini)? E a cosa era dovuto l’errore?
Quanto alla seconda domanda vi anticipo subito che non esiste una risposta precisa, anzi, non esiste proprio una risposta. Nonostante l’ottima assistenza tecnica “da remoto” fornitami a distanza dal personale del software da me utilizzato (ossia SLpct, e ci tengo a ribadire che ho avuto un’assistenza eccezionale, nonostante si tratti di un software gratuito), non è stato possibile individuare l’”ERRORE FATALE” che ha causato cotanto scompiglio.
Forse la firma elettronica? Forse gli allegati in pdf? Non è stato possibile saperlo, e ciò mi angosciava non poco, dato che, non sapendone la causa, non avrei potuto adoperarmi con alcuna cautela per il futuro (per la cronaca, pochi giorni dopo ho effettuato un altro deposito telematico con le stesse identiche modalità di prima, e naturalmente è andato tutto a posto).
Al di là della curiosità tecnica, restava il problema del mancato deposito. Visto che il termine era ormai scaduto, l’unica possibilità era chiedere una remissione in termini ex art. 153, c. 2 CPC, e non alla prima occasione utile (che nel mio caso poteva essere la terza memoria, che invece serve a tutt’altro), bensì con un’istanza apposita, nella quale riportavo il testo dell’art. 13 del D.M. 21/2/2011, n. 44 [1] (le regole tecniche sul Processo Telematico), secondo cui gli atti e documenti informatici “si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia”, e al comma 2 che “la ricevuta di avvenuta consegna attesta […] l'avvenuto deposito dell'atto o del documento presso l'ufficio giudiziario competente”.
A supporto della richiesta, non trovando di meglio citavo anche Trib. Bologna, decr. n. 13725 del 12/12/2016[2], che confermava la mia tesi. Naturalmente allegavo all’istanza anche tutte le PEC (in formato .eml) ricevute dalla cancelleria, con attestazione di conformità. Non vi nego che, nonostante non sia superstizioso, al momento dell’invio ho incrociato le dita, e da allora mantengo questa abitudine, visto il proseguio.
Controparte ha ribattuto alla mia istanza alla prima occasione utile (ossia, nello specifico, con la memoria 183 n. 3 CPC) chiedendo il rigetto dell’istanza sull’assunto che, non avendo io depositato, insieme all’istanza, anche l’atto “mancato” (cosa che peraltro mi era proprio tecnicamente impossibile, ricevendo sempre lo stesso esito), non era possibile verificare se l’errore fatale fosse dovuto ad errori materiale provocati (intenzionalmente o meno) dall’utente stesso, per esempio rinominando l’atto, o inserendo caratteri speciali nell’oggetto della PEC, come già osservato, ed in subordine, in caso di riammissione ai termini, chiedeva di essere anch’egli riammesso in termini per poter ribattere alla mia memoria con una sua successiva.
Peraltro depositare -oltre allo “storico” del tentativo di deposito -,anche la memoria stessa sarebbe stato ultroneo, atteso che il giudice non avrebbe dovuto decidere sul contenuto della memoria, ma solo sulla legittimità del suo deposito. Infine, avevo anche un motivo di strategia processuale per non allegare anche la memoria: di regola, infatti, controparte ha solo 20 giorni per ribattere con una terza memoria e con eventuali prove contrarie, mentre se avessi depositato la memoria “mancata” controparte avrebbe avuto un termine per ribattere indefinitamente lungo, ossia tutto il tempo necessario al giudice per sciogliere la riserva.
Il giudice ha risposto con Ordinanza Trib. Enna del 15/2/2018 che, oltre a confermare il DM 44/2011 su citato, afferma che “l’accettazione da parte della cancelleria, lungi dall’essere un elemento integrante del deposito, riguarda piuttosto il mero inserimento dell’atto nel fascicolo”. Volendo fare un paragone col vecchio sistema, è come quando lasciavamo l’atto sulla scrivania del cancelliere, il quale ci rilasciava subito il timbro di deposito sull’atto (e sulla nostra copia di studio) riservandosi di depositare materialmente l’atto in un secondo momento. Se poi questa seconda circostanza non avveniva per qualunque motivo ciò non inficiava il deposito (purché avessimo una copia del “depositato”), ma tuttalpiù autorizzava controparte a chiedere un termine per studiare il nostro atto che non aveva avuto la possibilità materiale di leggere.
L’ordinanza in commento specifica inoltre che meri errori materiali (per esempio l’uso di caratteri speciali nell’oggetto della PEC di deposito – e non era il mio caso-) non possono retroagire al momento del deposito annullandolo, dato che col regime “cartaceo” simili errori sarebbero stati assolutamente irrilevanti: “le anomali relative alla predetta accettazione non possono retroagire al momento del deposito, non essendo ammissibile che meri errori materiali (irrilevanti prima dell’avvento del PCT) comportino una conseguenza giuridica particolarmente grave sul piano dell’esercizio del diritto di difesa, come la decadenza”.
Il giudice, infine, concludeva, assegnandomi un termine per ripetere il deposito, oltre a un termine per controparte (e correttamente per controparte sola, avendo io già avuto la possibilità di ribattere alla sua) per ribattere con una memoria 183 n.3.
Peraltro, nell’ordinanza in oggetto il giudice non ha disposto espressamente di depositare esattamente la stessa memoria, cosa che entrambe le parti davano per scontato (e che io ho fatto, naturalmente). Ignoro se si tratti di una dimenticanza o di un’omissione voluta (magari per non affrontare il problema di come provare che si tratta proprio dello stesso documento, ma a tal proposito colgo l’occasione per ricordare che, per verificare la data di redazione di un documento, oltre la firma elettronica (che serve semmai a certificare la provenienza del documento, oltre ad essere indispensabile passaggio del deposito nel PCT) è possibile verificare le date di creazione ed ultima modifica del file verificandone le proprietà (col tasto destro del mouse), dato non modificabile, a meno appunto di non creare un nuovo file.
[1] D.M. 21/2/ 2011 n. 44 in G.U. n° 89 del 18-04-2011, Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal DLGS 7/3/2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’art. 4, c. 1 e 2, del DL 29/12/2009, n. 193, convertito nella L 22/2/2010 n. 24.
[2]Pubblicata, tra gli altri, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/17330.pdf
leggi l'articolo originale su diritto.it
gio
08
mar
2018
1 – Avvocato, avvocata o avvocatessa?
Colgo l’occasione odierna per parlare di una grande donna, poco conosciuta dai più, la prima donna avvocato in Italia. Ma prima ancora vorrei dare la mia opinione sui termini avvocato (riferito a una donna), avvocata o avvocatessa.
Benché l’Accademia della Crusca abbia ufficialmente ammesso il termine “avvocatessa”, e con tutto il rispetto per il supremo consesso (io frequento spesso il loro sito per dubbi linguistici) io continuo a preferire, nella pratica di tutti i giorni, il termine “avvocato”, mentre il termine avvocatessa dovrebbe essere utilizzato solo se si parla proprio della differenza di genere (“le avvocatesse italiane guadagnano meno dei loro colleghi”), altrimenti risulta, a mio modesto parere, scorretto.
Innanzitutto in alcuni contesti il termine potrebbe nascondere un lato perfino dispregiativo o canzonatorio. Se volete un esempio, poiché (sempre secondo la Crusca) per ammettere un neologismo bisogna verificarne l’uso letterario “professionale” oltre che nella vita di tutti i giorni, leggendo gli articoli che parlano della “sindaca” Raggi vediamo che il termine non è usato in senso neutro, né per sottolinearne una maggior sensibilità umana propria del genere cui appartiene, bensì in senso negativo, tanto che quando se ne parla male si utilizza “sindaca Raggi”, mentre quando se ne parla bene si usano espressioni come “la Giunta Raggi” o simili.
D’altronde ben poche colleghe scrivono nel proprio biglietto da visita “Avv.ssa Maria Rossi”, e anche nei convegni l’espressione al femminile viene utilizzata solo se proprio si parla di differenze di genere, e per essere politically correct , altrimenti viene utilizzata l’abbreviazione classica.
In secondo luogo per le donne avvocato l’utilizzo di un termine o l’altro è un falso problema, visto che nella vita di tutti i giorni, di solito, non viene usato né l’uno né l’altro, ma, nell’ordine: Collega, Dottoressa, Signora, per nome (“Possiamo darci del tu?”), ragion per cui di solito per una collega è indifferente farsi chiamare avvocato o avvocatessa, purché le venga riconosciuto il titolo.
2 - La prima donna avvocato in Italia
Lidia Poët è stata la prima donna italiana ad iscriversi in un consiglio dell’ordine degli avvocati, e per molti anni è stata anche l’unica. Nata nel torinese nel 1855, dopo il diploma magistrale, e dopo un periodo all’estero per imparare inglese e tedesco (giusto per delineare meglio il personaggio) si è laureata a pieni voti in Giurisprudenza nel 1881 con una tesi sulle condizioni femminili e sul diritto di voto alle donne (che sarebbe stato introdotto solo 65 anni dopo, e proprio grazie a lei, come vedremo).
Cominciò subito la pratica forense nello studio del fratello, e dopo aver superato brillantemente e al primo tentativo l’esame di abilitazione, chiese l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati di Torino.
L’ordine (nonostante il voto negativo di qualche consigliere) non poté negarle l’iscrizione, visto che la legge professionale non specificava, tra i requisiti, essere un uomo o una donna, così Lidia Poët è stata la prima donna avvocato in Italia: ma per poco.
Il Procuratore Generale del Re (il PM, per capirci) si indignò contro questa “anomalia”, e fece ricorso alla Corte d’Appello di Torino, che diede ragione al Procuratore, sull’assunto che l’avvocatura doveva considerarsi un “ufficio Pubblico”, e come tale espressamente vietata alle donne per legge, come tutti gli altri incarichi pubblici.
Peraltro nelle motivazioni della sentenza si leggono anche assurdità varie (ma ricordiamo che era il 1883) tra cui se l’avvocatessa avesse vinto la causa, le malelingue avrebbero potuto malignare che la vittoria sarebbe stata dovuta «alla leggiadria dell’avvocatessa più che alla sua bravura», ed inoltre che sarebbe stato improprio che le donne fossero “costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste».
Lidia Poët, naturalmente, ricorse in Cassazione, che però confermò la sentenza, così venne costretta a cancellarsi dall'albo.
Questo tuttavia non la fermò, ma continuò a lavorare nello studio legale del fratello. L’anno stesso della sua cancellazione, a prova del riconoscimento alla sua professionalità che si era guadagnata tra i colleghi, venne invitata al primo Congresso Penitenziario Internazionale a Roma e nel 1890 venne invitata come delegata italiana a San Pietroburgo. Fece parte del Segretariato del Congresso Penitenziario Internazionale, rappresentando l’Italia come vicepresidente della sezione di diritto. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, poi, lasciò lo studio e (non potendo entrare nell’esercito) divenne infermiera volontaria della Croce Rossa, guadagnandosi sul campo la medaglia d’argento al valor civile.
Per tutti gli anni successivi Lidia Poët ha continuato ad esercitare la professione di fatto, specializzandosi nella tutela diritti dei minori, degli emarginati e delle donne.
Nel luglio 1919, infatti, il Parlamento approvò la legge Sacchi, che autorizzava ufficialmente le donne ad entrare nei pubblici uffici, ad esclusione della magistratura, della politica e dei ruoli militari. Così, nel 1920, Lidia Poët poté finalmente ripresentare – con immediato accoglimento – la richiesta di iscrizione all’Ordine degli Avvocati. All’età di 65 anni tornò ad indossare la toga che le era stata tolta e ad utilizzare il titolo di avvocato.
Non contenta, nel 1922 divenne presidentessa del Comitato italiano pro voto delle donne (ricordate la sua tesi di laurea), che venne riconosciuto, come sappiamo, solo nel 1946, le prime elezioni a suffragio universale in Italia. Elezioni a cui lei stessa partecipò, per poi spegnersi nel 1949, all’età di 94 anni, lasciandoci una bellissima storia di impegno sociale, civile e politico, oltre che di un grande amore per la toga, un esempio per tutti colleghi (uomini e donne).
3 - La situazione italiana
Secondo i dati forniti da Cassa Forense, oggi il numero delle avvocatesse italiane è quasi pari a quello dei loro colleghi (e in Piemonte le donne sono di più, ma siamo ancora ben lontani dalla parità. A parità di tutte le condizioni, infatti, le donne guadagnano in media molto meno dei loro colleghi uomini.
Per capirci, un’avvocatessa milanese di 60 anni guadagna in media più (molto di più) di un avvocato trentenne di Reggio Calabria, ma (sempre secondo la media) la stessa avvocatessa guadagna comunque di meno del suo collega di studio di pari età, ed il giovane avvocato calabrese, per poco che guadagni, fatturerà comunque di più della sua giovane collega di studio. Badate che sto solo facendo un esempio ma non cito dati a caso, ma mi baso sulle statistiche fornite da Cassa Forense, divise per genere, età e territorio.
Perché ciò avviene? Ci sono molteplici ragioni, e riflettono la stessa differenza di reddito che c’è in tutte le professioni, cosa che, lungi dal consolarci, dovrebbe spingerci ad una maggior equità, e per il bene della professione, non solo delle professioniste.
Abbiamo certamente percorso molta della strada tracciata da Lidia Poët, ma molta resta ancora da farne, e se vogliamo un futuro per la nostra professione quella strada dobbiamo percorrerla insieme, uomini e donne.
Avv. Giovanni Chiricosta
mar
14
nov
2017
Contributi europei per formazione dei professionisti – scadenza 30 novembre 2017
Sul sito di Cassa Forense è stato introdotto il portale Europa, che contiene tutti i bandi rivolti (anche) agli avvocati, divisi Regione per Regione.
Al momento il più interessante ed in scadenza (parlo per la Sicilia) è l’ “AVVISO 16/2017 DELLA REGIONE SICILIANA “AZIONI DI RAFFORZAMENTO PER LA FORMAZIONE DEI LIBERI PROFESSIONISTI E DEI LAVORATORI AUTONOMI” (che trovi qui), che scade il 30/11/2017. In parole povere, il bando rimborsa il 100% o il 75% delle spese (a seconda che abbiate più o meno di 35 anni, ahimè) per l’iscrizione a corsi di formazione, aggiornamento, diplomi, specializzazione, master etc., a condizione che completiate con successo il corso, fino ad un massimo di € 2.000 o € 6.000 (a seconda che prendiate l’ECDL o un Dottorato di Ricerca…).
La procedura è piuttosto complicata e, tanto per cambiare, necessita di pec e firma elettronica per spedire ed inviare tutti i documenti, che comprendono, tra gli altri, una dichiarazione isee (max € 30.000, e ovviamente più basso è più sarete alti in graduatoria), una dichiarazione del regime iva scelto per lo studio (per il rimborso o meno dell’IVA), una descrizione puntuale del percorso formativo scelto, ed eventualmente un attestato di disabilità.
A seguito della presentazione della domanda verrà stilata una graduatoria, sulla base di parametri quali l’età (in effetti lo scrimine principale è 35 anni, anche se al bando si è ammessi fino a 65), il genere di appartenenza (per promuovere la professionalità femminile, le donne hanno qualche punteggio in più), il reddito (più basso è meglio è) e l’eventuale disabilità.
Ovviamente non è previsto un obbligo di iscriversi preventivamente al percorso formativo scelto, per cui potrete fare domanda per il finanziamento, aspettare se siete in graduatoria e poi valutare se iscrivervi o meno, anche perché tutte le spese, nel frattempo, dovrete anticiparle voi.
Le spese che alla fine di tutto vi verranno rimborsate sono solo ed esclusivamente quelle di iscrizione, escluse l’IVA ed escluse tutte le spese vive (viaggi, vitto e alloggio), per cui non affrettatevi a documentarle.
Mi sembra un bando interessantissimo, che avrebbe meritato più pubblicità, io faccio la mia parte.
mer
18
ott
2017
Con l’approvazione del Senato, è ufficialmente legge il DDL di riforma del Fallimento (DDL 2681, che si può scaricare dal [1], e nonostante le moltissime aggiunte e modifiche intervenute nel frattempo la legge originale costituiva ancora il paradigma delle procedure concorsuali in senso lato.
Con la nuova riforma si cambia completamente ratio, che non sarà più la distribuzione del danno derivante dal mancato assolvimento dei crediti tra tutti i creditori alla luce del par condicio creditorum, ma sarà il recupero dell’azienda nel tessuto economico attivo della società. La crisi e l’insolvenza non segneranno necessariamente la fine dell’attività di impresa, ma saranno episodi fisiologici durante la vita della stessa.
L’intento del legislatore è quindi anche quello di modificare il concetto di fallimento anche nella vita sociale e perfino nel linguaggio comune, tanto che ha questo espresso scopo la riforma propone l’eliminazione dalla legislazione del termine “fallimento” e di tutti i suoi derivati, sostituito dal più neutro “liquidazione giudiziale”[2], che concettualmente richiama, se mai, l’esecuzione giudiziale, che non ha certamente lo stigma negativo che ha il termine “fallito” nel linguaggio comune
La riforma, raccogliendo istanze che erano giunte dalla dottrina aziendalista, fornisce un’espressione chiara del concetto di crisi (ai fini dell’applicazione della normativa), e lo estende ed anticipa fino alla semplice probabilità di futura insolvenza [3] e l’estensione si giustifica alla luce dell’introduzione di una nuova fase preliminare di preallarme.
Ampliato anche l’alveo dei soggetti della nuova normativa, talmente ampio da richiedere una categoria di risulta; a parte gli enti pubblici, infatti, sono soggetti alla nuova normativa ogni categoria di debitore, sia esso persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un’attività commerciale, agricola o artigianale[4], riunendo quindi tutte le categorie di imprenditore (anche quelle tradizionalmente escluse dal fallimento), oltre che la persona fisica che agisca come semplice consumatore, già oggetto della normativa sulla composizione della crisi da sovraindebitamento [5].
Si prevede l’istituzione presso le Camere di Commercio di un organismo di composizione della crisi (sulla falsariga di quelli previsti dalla normativa sul sovraindebitamento), cui il debitore (o l’organo di sorveglianza preposto nelle società di capitali) può rivolgersi per trovare una soluzione concordata con i creditori[6], soluzione che deve essere concordata nel termine di sei mesi, altrimenti scatta la fase di liquidazione giudiziale vera e propria.
E’ altresì previsto un obbligo di segnalazione a tale organismo da parte delle agenzie fiscali e dell’INPS quando rilevino delle passività da parte delle imprese o di singoli[7], e anche questa è una novità rivoluzionaria, se si pensa che tendenzialmente l’Agenzia delle Entrate si guardava bene dal chiedere il fallimento di qualcuno, anche per esposizione milionarie.
Essendo l’intera normativa finalizzata al recupero ed alla continuità dell’impresa, gli strumenti principalmente utilizzati saranno gli accordi di ristrutturazione dei debiti[8], i piani di risanamento ed il concordato preventivo con continuità aziendale [9], con numerosi vantaggi e tutele per il debitore che si avvalga di questi strumenti, mentre la liquidazione dei beni sarà considerata l’extrema ratio, da attivarsi solo in caso di fallimento (è il caso di dirlo) di tutte le altre alternative.
In ogni caso il concordato liquidatorio sarà ammesso solo a condizione che assicuri il pagamento del 20% dei crediti chirografari[10].
Per accelerare le procedure sono state ampliati i compiti del Curatore[11] e quindi le sue responsabilità, e correlativamente è stato aggravato il regime delle incompatibilità, oltre che i requisiti per la nomina.
E’ stato ampliato il vaglio dell’esdebitazione, che ora è previsto a prescindere dal risultato della procedura, purché il debitore abbia collaborato attivamente ed in buona fede con gli organi preposti[12].
E’ stato ampliato e specificato il panorama delle garanzie e delle tutele a favore dell’imprenditore che si avvalga della procedura, sulla falsariga di quelle previste dalla normativa sul concordato preventivo, quali (a titolo di esempio) la tutela da azioni esecutive da parte dei creditori, la possibilità di accedere a finanziamenti, vantaggi fiscali etc., oltre che della possibilità di avvalersi di garanzie non possessorie, in modo da consentire al debitore di continuare ad utilizzare beni produttivi[13].
E’ stata prevista, inoltre, una forte specializzazione dei giudici, con l’attribuzione delle procedure ai tribunali che dispongano di una sezione specializzata in materia di impresa[14], tribunali che verranno individuati anche sulla base dell’organico e del numero di procedure svolte finora. In pratica verranno tagliati fuori i piccoli tribunali, con sacrificio del giudice di prossimità (e della conoscenza che questi ha del proprio territorio dal punto di vista economico-sociale) a favore di una maggiore specializzazione e preparazione dei giudici. Non vi è dubbio che tale ultima misura (come già avvenuto per la razionalizzazione e conseguente chiusura dei piccoli tribunali) non mancherà di suscitare polemiche tra le varie associazioni di categoria, per motivi facilmente immaginabili.
Infine il legislatore ha colto l’opportunità per inserire nella normativa anche un riferimento agli immobili da costruire (settore certamente interessato dai fallimenti, e già più volte disciplinato da altre norme) prevedendo l’obbligo della stipula del preliminare per atto pubblico a mezzo di un notaio[15], che verificherà il rispetto dell’obbligo del venditore di predisporre una fideiussione e di una polizza assicurativa a tutela del consumatore, obbligo già previsto dalla legge[16], ma facilmente aggirabile.
Non resta che attendere l’intervento del Governo, che potrebbe giungere anche prima della scadenza annuale prevista.
leggi l'originale su diritto.it
Avv. Giovanni Chiricosta
Specialista in Professioni Legali
Curatore Fallimentare
Gestore della crisi presso l’OCC di Enna
http://studiochiricostacrea.jimdo.com/
[1] RD 267/1942, Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa
[2] art. 2, c.1, lett. a DDL 2681
[3] art. 2, c. 1, lett. c, DDL 2681
[4] art. 2, c. 1, lett. e DDL 2681
[5] L 3/2012, Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento
[6] art. 4, c. 1, lett. b DDL 2681
[7] art. 4, c. 1, lett. d DDL 2681
[8] art.5 c. 1, lett. a DDL 2681
[9] art. 6 DDL 2681
[10] art. 6, c. 1 lett. a DDL 2681
[11] art. 7, c. 2, lett e DDL 2681
[12] art. 8 DDL 2681
[13] art. 11 DDL 2681
[14] art. 2, c. 1, lett. n DDL 2681
[15] art. 12, c. 1, DDL 2681
[16] artt. 2, 3 e 4 DLGS 122/2005
mer
12
lug
2017
Ho provato la nuova piattaforme inaugurata da Cassa forense, creata dal Sole24ore e gentilmente offerta a tutti gli iscritti alla Cassa, ossia tutti e 240.000 i colleghi.
Dopo il Login (per il quale servono codice meccanografico e codice fiscale, nessuna registrazione) si “entra” in DatAvvocato.
In alto a destra della schermata principale vedrete il vostro pannello personale di “log out”: non c’è scritto il vostro nome, bensì “Ciao, cassa forense”, che oltre che pretenzioso ha la pecca di nopn essere personalizzabile in alcun modo.
Comunque, sulla schermata principale appaiono le principali news legali, divise per materia, apparse sulle testate collegate al Sole24ore.
Facciamo subito sul serio e facciamo una ricerca di giurisprudenza, che poi sarebbe l’utilizzo principale di questi software.
DatAvvocato presenta alcune voci preimpostate (quelle d’uso più frequente), ma naturalmente è possibile fare una ricerca a testo libero, anche se non è semplicissimo trovare questa opzione.
Proviamo con delle voci tipizzate: Assicurazione/Contratto: escono fuori 89 massime di Cassazione, la più risalente è del 1990, anche se la maggior parte e degli anni 2000; se vi sembrano tante, pensate alla genericità dell’interrogazione: con un programma a pagamento, i risultati sarebbero stati migliaia. Come ulteriore pecca, non viene indicata la fonte: sentenza pubblicata in…?
Proviamo qualcosa di meno comune: Caccia e pesca/Esercizio: qui DatAvvocato presenta ben 5 massime, dal 2001 in poi.
Proviamo la ricerca libera? Sopra la vetrina con le notizie c’è la riga per inserire i termini, ma io vado su “ricerca guidata” (a destra della riga di inserimento) e seleziono Condominio/millesimi e Corte di Cassazione civile, e anche qui (non so se è un caso) escono 89 risultati, tutti dal 2000 in poi.
Normalmente sarebbero più che sufficienti, anche perché si tende a citare le sentenze più recenti, ma con termini così volutamente generici mi sarei aspettato qualcosa in più. Se invece fate ricerca, scrivete articoli, monografie o altro sconsiglio DatAvvocato, oltre alla mancanza della fonte (fondamentale nella ricerca) i risultati sono limitati agli ultimi anni, impedendo una ricerca storica degli orientamenti.
Insomma, voto sette per l’impegno (oltre al fatto, naturalmente, che è gratis), ma personalmente consiglio una seconda verifica sui risultati (anche per trovare la pubblicazione della sentenza, che a me piace citare).
mer
05
lug
2017
Di recente moltissimi computer sono stati infettati da un malware, che ha bloccato tutti i files dei computer colpiti. Tra questi anche le reti di importanti banche ed ospedali, con tutto quello che possiamo immaginare. Molti non sanno due cose: 1) tutti i computer colpiti avevano il sistema operativo Windows; 2) l’”infezione” su scala mondiale è partita dal computer di uno studio legale!
E’ evidente che aggiornare antivirus e firewall non basta più. Che fare? Una soluzione è quella di affidarsi al Cloud, ossia spostare tutti i documenti (ma anche altre risorse, per esempio i programmi) in uno spazio virtuale si internet (ovviamente protetto e riservato): nel caso tutti i computer dello studio si infettano (e potrebbe succedere anche domani…) tutti i documenti sono al sicuro, e subito recuperabili, senza fermare la produttività.
Una soluzione utile in questo senso è quella offerta da Google con G Suite, un insieme di programmi e utility indispensabili per qualunque studio professionale. Oltre al già noto Google Drive (che offre spazio virtuale per immagazzinare dati al sicuro) anche tutti i programmi più utilizzati nella professione, quali programmi di scrittura, fogli di calcolo, presentazioni, e-mail, teleconferenze, assistenza con operatore 24 ore su 24 e molto altro ancora, il tutto in un’unica suite.
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ven
12
mag
2017
Come spesso avviene, le pronunce della Corte di Cassazione a volte sorgono all’altare del successo mediatico, ma (come mi ricordavano i miei docenti anni orsono) è sempre meglio leggere il testo in originale e per intero di sentenze o leggi cosiddette “rivoluzionarie”, e poi farsi un’idea propria.
Seguendo il consiglio, ho letto la sentenza Cass. Civ. 10 maggio 2017, n. 11504 (fatelo anche voi, la trovate qui) e, prima di prendere d’assalto i tribunali per farvi ridurre l’assegno che dovete alla vostra ex, sappiate che:
Innanzitutto il nuovo orientamento è applicabile solo ed esclusivamente per il coniuge divorziato, non per il coniuge separato, e la differenza è che con la separazione si mantengono, seppur allentati, i vincoli di solidarietà economica, mentre col divorzio cessa qualunque vincolo tra i coniugi.
In secondo luogo nel caso di specie l’ex moglie era un’imprenditrice attiva, con reddito proprio (e che si era rifiutata di provare…), e soprattutto in sede di separazione non le era stato accordato alcun assegno (anche, immagino, in ragione delle sue condizioni economiche), circostanza rilevante ai fini del meccanismo utilizzato dalla Corte.
Infine, è bene sottolineare il ragionamento seguito dalla Corte, prima sul piano tecnico, poi sul, piano teleologico (ossia lo scopo sociale di questo orientamento, questo sì straordinario).
La Cassazione distingue nettamente tra due fasi: la fase di accertamento del se concedere l’assegno o meno, e la fase della quantificazione del detto assegno.
Nella prima fase il giudice (secondo questo nuovo orientamento) non dovrà in alcun modo tener conto né del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, né delle condizioni economiche (reddituali e patrimoniali) dell’altro coniuge (ossia quello che dovrebbe pagare…), ma solo delle condizioni economiche (reddituali e patrimoniali) dell’ex coniuge richiedente, oltre che delle sue capacità lavorative (quest’ultime anche presuntive, in ragione di sesso, età e titolo di studio). Il giudice dovrà valutare (durante la fase di accertamento dell’an) se le condizioni economiche dell’ex coniuge richiedente siano “adeguate”.
Adeguate a che? Non più al precedente tenore di vita (come, sostanzialmente, è stato finora), bensì adeguate all’indipendenza economica. La stessa Cassazione ha desunto per analogia questo concetto dall’indipendenza economica dei figli maggiorenni, che devono essere mantenuti finché non abbiano raggiunto, per l’appunto, “l’indipendenza economica”: come i genitori non possono più essere obbligati a mantenere un certo tenore di vita al figlio maggiorenne ed in possesso di capacità lavorativa astratta (poniamo laureato ultraquarantenne in perfetta salute, per capirci…) allo stesso modo non può essere imposto all’ex coniuge di mantenere l’altro (con cui non esiste più alcun vincolo matrimoniale) se questi è in grado (seppur astrattamente) di provvedere a se stesso.
La pronuncia è talmente rivoluzionaria che lo stesso interprete si è sentito in dovere di fare riferimento anche a criteri sociali, storici e culturali, per cui ha semplicemente preso atto che il concetto di matrimonio si è evoluto negli ultimi 50 anni (anzi 47, quanti ne sono passati dall'introduzione del divorzio nel nostro ordinamento), così come si è evoluto il ruolo della donna nella nostra società, per cui oltre ad un richiamo generale al dovere di solidarietà (non nei confronti di un coniuge con cui non esiste rapporto di “coniugio”, bensì solo nei confronti di un soggetto economicamente più debole) la Corte si richiama espressamente ad un principio di autoresponsabilità economica, per cui, anche nei confronti della società, oltre che per se stesso, ciascuno (coniuge divorziato o figlio ultramaggiorenne…) è obbligato ad impegnare tutte le proprie risorse per essere economicamente indipendente, e non impoverire un altro soggetto con un vincolo tendenzialmente a vita.
Giustamente la Corte ha ricordato anche quanto questo vincolo di durata indefinita nei fatti impedisca o renda oltremodo difficile al coniuge debitore (ossia a quello che paga) la possibilità di ricrearsi una famiglia.
Infine, a ridurre il carattere rivoluzionario di questa pronuncia (e di molte altre) c’è il fatto che nel nostro ordinamento, a differenza di quello statunitense o inglese, le sentenze della Suprema Corte non godono di nomofilachia, in pratica i giudici di merito ne prendono atto (data anche l’autorevolezza della fonte) ma poi possono decidere di utilizzare altri criteri, anche espressamente contrari a quelli indicati dalla Corte. Uno dei motivi principali della mancanza di nomofilachia, del resto, è che la Cassazione dice tutto e il contrario di tutto, per cui oggi una sezione ha indicato questo criterio, domani un’altra sezione potrà indicare l’esatto contrario (un avvocato ha infatti giustamente commentato: “una rondine non fa primavera”).
Proprio per evitare ciò, il Legislatore ha introdotto una limitata nomofilachia, per cui se su un punto controverso (ossia in caso di contrasti tra sezioni diverse) si pronunciano le Sezioni Unite, il principio di diritto stabilito da queste ultime deve necessariamente essere seguito dalle singole sezioni delle Corte di Cassazione (a meno di non rimettere la questioni nelle mani delle Sezioni Unite). Ed in ogni caso questo vale soltanto nei confronti della stessa Corte di Cassazione, il giudice di merito può comunque decidere anche contro l’orientamento stabilito dalle Sezioni Unite, se così ritiene più giusto fare.
Detto ciò, mi sembra possibile (tentare di) richiedere una modifica dell’assegno divorzile sulla base del nuovo orientamento, se provate che il vostro ex coniuge è in grado di mantenersi da sé.
gio
30
mar
2017
L’utilizzo della rete ha permesso l’espandersi della creatività anche riguardo alla commissione dei reati, che sempre più spesso si verificano proprio sul web. Senza voler arrivare a casi estremi, pensiamo al caso frequentissimo di ingiurie, offese o minacce pervenute via web.
Come provare in giudizio le offese ricevute?
La prima tentazione sarebbe semplicemente quella di stampare quello che compare a schermo (per chi ancora non lo sapesse, con la combinazione di tasti CTRL + stamp e poi CTRL + v potete copiare, incollare e poi stampare praticamente qualunque cosa compare sullo schermo, anche un fotogramma di un video), ma questo in un processo quel foglio di carta avrebbe uno scarsissimo valore probatorio, perché alla controparte basterebbe disconoscerlo, affermando che si tratta di una copia costruita ad arte, operazione che oggi è alla portata di chiunque.
Oppure potreste pensare di salvare la pagina web in formato HTML; ciò si scontra con tre problemi: il principio generale di tipicità delle prove (il giudice potrebbe rifiutare la produzione del file HTML, e col nuovo processo civile telematico è tecnicamente impossibile); la pagina web, nel frattempo, potrebbe essere stata cancellata o modificata; anche il file HTML da voi prodotto potrebbe essere frutto di una manomissione (modificare il codice HTML è più semplice di quanto si pensi).
E allora?
Ci sono due strade, che non sono alternative tra loro, ma che possono essere utilizzate contemporaneamente.
Una è quella di aprire la pagina web incriminata (un blog, un profilo facebook, una mail) davanti ad un testimone, che dovrà garantire il contenuto di quanto da lui visionato in quel momento. A quel punto avrete a disposizione una prova tipica, che potrete (in effetti dovrete) integrare con lo stampato della pagina.
L’ideale sarebbe che il testimone sia un Notaio (con tutt’altra spesa, mi rendo conto), che scarica e stampa personalmente la pagina da voi richiesta, autenticandone anche l’indirizzo IP, data e ora di download, e la corrispondenza tra la copia cartacea e quanto visto in quel momento, e avrete una copia certa, anche se nel frattempo l’autore cancella la pagina.
Un’alternativa (o meglio ancora da utilizzare contemporaneamente, viste le difficoltà di produzione di un file HTML) è avvalersi di un servizio di hashing. L’Hash è una sorta di autenticazione digitale che afferma che una pagina web corrisponde alla copia fornita, ed era realmente esistente al momento dell’acquisizione.
Funziona così: una volta individuata la pagina che volete conservare come prova, collegatevi al sito https://www.hashbot.com/ oppure http://www.fawproject.com/ , ed inserite l’indirizzo IP che volete salvare (ossia tutto quello che compare nella barra degli indirizzi, per esempio https://studiochiricostacrea.jimdo.com/scrivere-diritto/ ) e il vostro browser (ossia Internet Explorer, Firefox etc.), quindi continuate a seguire le istruzioni. Riceverete una cartella con una copia HTML della pagina ed un file di testo con i codici di convalida della pagina (i cosiddetti Hash, per l’appunto). A quel punto avrete una prova che potrà superare anche la perizia di un tecnico informatico, il quale potrebbe verificare non solo la corrispondenza esatta tra i codici di convalida e la pagina HTML prodotta, ma (collegandosi al sito https://www.hashbot.com/ oppure http://www.fawproject.com/, a seconda del servizio utilizzato) potrà farlo anche se nel frattempo la pagina originale sia stata rimossa.
Questo sistema, però, funziona solo con le pagine web. Per quanto riguarda le mail, l’unico sistema (oltre a visualizzarla insieme ad un testimone o ad un notaio) è salvare la mail in formato .eml (basta fare il comando “salva” su qualunque software di posta elettronica), oltre naturalmente a stamparla, e avrete a disposizione l’”header” della mail, data e ora di invio, e soprattutto indirizzo IP da cui è stata mandata, cosa che potrebbe consentire ad un tecnico di risalire all’autore.
Ed i messaggi su WhatsApp?
Per le conversazioni su WhatsApp il problema è molto diverso, perché mentre è relativamente semplice salvarne una copia, per convalidarne il contenuto (oltre a mostrarlo ad un notaio) l’unico sistema è consegnare fisicamente il cellulare ad un tecnico informatico. Estrarre una copia, invece, è molto più semplice. Oltre a salvare una copia di backup, infatti, whatsapp consente di inviare ad un indirizzo mail (per esempio il nostro) un file di testo che riporta la conversazione ed i dati essenziali (numeri, nomi, data e ora), mentre gli allegati conservano il loro formato originale.
gio
05
gen
2017
Recentemente ho preso l’attestazione "eccellenze in digitale" di Google, che consiglio a tutti, e che si occupa sostanzialmente di diffondere i principi di marketing on-line, anche a chi (anzi, soprattutto a chi) non è esperto di informatica e di web 2.0.
Il corso è fantastico, completamente gratuito e si conclude con un’attestazione, ma omette di dire due cose:
il marketing on-line non funziona come una bacchetta magica, metti un sito on-line e l’anno dopo raddoppi o triplichi il fatturato: assolutamente no! Richiede un impegno costante, un impego di tempo, denaro, forza di volontà e creatività (e tutta una serie di abilità non cognitive) lungo un periodo di tempo medio-lungo.
Detto in parole povere, se segui alla lettera le regole del marketing on-line aumenterai le visite al sito o gli “amici” su facebook, ma per avere un riscontro anche in termini di fatturato occorrono comunque tempi lunghi, e il passaggio dalla visita sul sito ad una fattura è lungo e faticoso, e dipende interamente da te, non certo dal computer.
Un’altra cosa che questi corsi non dicono è che certe volte è meglio non cominciare proprio.
Faccio un esempio reale: giorni orsono intendevo prenotare una cena in un locale con la mia famiglia, e ovviamente cerco sul web il sito del locale (e non c’era), trovando invece il suo profilo facebook; già che c’ero, volevo vedere se organizzava qualche serata particolare, se c’era il menù etc. Sfoglio i post, e vedo che l’ultimo post risaliva al 2015.
Il primo pensiero è che il locale fosse proprio chiuso; il secondo che non organizzasse niente di speciale; il terzo (ma dopo un bel po’ di tempo) che il titolare, non vedendo utilità della pagina facebook, avesse smesso di scriverci. In ogni caso non ho chiamato per togliermi il dubbio, e quella sera siamo andati da un’altra parte.
Secondo esempio: oltre che a scrivere, passo ovviamente molto tempo a leggere i blog legali dei colleghi, e mi sono imbattuto in un blog il cui ultimo post risaliva anch’esso a fine 2015.
E’ possibile (e io glielo auguro di cuore) che il suo studio ha avuto talmente successo che ora non hanno più tempo di scrivere, ma se io fossi un potenziale cliente avrei avuto, nell’ordine, le seguenti impressioni:
1) lo studio non è più operativo; 2) l’avvocato di questo studio non si aggiorna; 3) l’avvocato non ha tempo, quindi non ha tempo neanche per me. Come vedete sono tutte ipotesi negative, anche se implausibili e irrazionali, perché è solo la prima impressione che conta, irrazionale e intuitiva per definizione.
Molto più probabilmente il collega ha visto una sproporzione tra l’impegno di tenere un blog (o una pagina facebook, o altro profilo social) aggiornati, e il ritorno (le cd. “conversioni”) in termini di fatturato, e ha capito che, nel suo caso, il gioco non valeva la candela, e magari impiega il suo tempo in altre forme di marketing più redditizi.
Più che legittimo, se non fosse che nel suo caso tenere in vita un blog (o un profilo social) vecchio significa darsi la zappa sui piedi, perché diffonde un’immagine negativa, peggiore che se non fosse mai stato sul web: in quel caso è meglio cancellare tutto e fare come prima, evitando quelle prime impressioni descritte sopra. Insomma, se decidete di mettere su la pagina “social” o il sito dello studio, preparatevi ad impegnarvi nel tempo, magari impostando un calendario (tipo uno o due post al mese, come minimo), altrimenti meglio non iniziare, perché vi dareste un’immagine negativa. Avete già un blog o un profilo social? Date un’occhiata ai vostri post: se l’ultimo risale di un anno o oltre, fate un favore a voi stessi e cancellatelo per intero, la vostra immagine ne avrà un beneficio.
mar
08
nov
2016
Può capitare di subire un incidente da un veicolo sconosciuto (per esempio durante la nostra assenza dal veicolo parcheggiato), oppure da un pirata che provoca il sinistro e fugge, oppure da un veicolo privo di assicurazione. Che fare?
Molti non sanno che esiste il Fondo di garanzia vittime della strada, finanziato con parte dei premi assicurativi regolarmente pagati. Distinguiamo le due ipotesi. Innanzitutto bisogna verificare se il veicolo che ci ha investiti è assicurato oppure no, tanto più che oggi non c’è più l’obbligo di esporre il contrassegno. In rete esistono molti siti che forniscono questa informazione (ad es. il portale dell'automobilista), basta inserire il numero di targa. Verificato che il veicolo sia privo di assicurazione RCA, bisogna stampare il modulo di richiesta dal sito CONSAP, che gestisce il fondo, completarlo, firmarlo ed inviarlo per raccomandata sia al CONSAP sia ad una compagnia assicurazione (non alla propria, come di regola), diversa regione per regione, indicate sul sito. La richiesta è una normale richiesta di risarcimento danni da sinistro stradale, per cui è opportuno sia corredata di tutte le informazioni utili, ossia la descrizione puntuale del sinistro (come, quando, dove…), i dati dei veicoli coinvolti, dati dei proprietari e dei conducenti (quando possibile), nomi delle forze dell’ordine intervenute e di eventuali testimoni, preventivo della carrozzeria, reperti fotografici etc. etc. eventuali certificati medici in caso di lesioni (certificato PS, medico legale etc.). Naturalmente ricordo che, se avete la targa del veicolo, potete risalire a tutti i dati del veicolo e del proprietario con una semplice visura al PRA.
Il fondo risarcisce diversi tipi di danno con diversi criteri.
Nel caso di auto non assicurata il fondo copre i danni a cose e persone secondo la legge.
Nel caso di auto non identificata il fondo copre tutti i danni alle persone e i danni alle cose di entità superiore a € 500,00 (ossia nel caso di € 600 di danni il fondo risarcisce solo € 100).
Nel caso di incidente con auto rubata il fondo copre anche i danni ai beni trasportati; ovviamente in tal caso bisogna allegare la denuncia di furto.
Il Consap, quando possibile, provvederà a recuperare dal diretto responsabile quanto versato per il risarcimento.
È possibile fare il tutto anche da soli, ma data la relativa complessità delle operazioni e la necessità di produrre una documentazione che sia quanto più possibile “probatoria” si consiglia vivamente l’assistenza di un legale, tanto più che anche il costo dell’assistenza legale stragiudiziale è a carico del Consap.
lun
17
ott
2016
Che avvengano all’interno di una piccola impresa o in quella di una grande azienda, le assenze ingiustificate possono mettere in serio pericolo la produttività e i profitti di qualunque attività imprenditoriale, e se diventano un evento regolare possono essere emulate anche da quei dipendenti che al contrario di molti “furbetti”, hanno un comportamento diligente nei confronti della propria azienda e del datore di lavoro.
Per assenze ingiustificate si intendono tutti quei congedi temporanei motivati da false malattie, abusi dei permessi previsti dalla legge 104/1992 art 3 comma 1, assenze per falsi infortuni, doppi lavori e via dicendo.
Con la sentenza 18507/2016, si è recentemente ribadito come il datore di lavoro abbia il diritto di controllare se il proprio dipendente sia veramente malato anche se non sussistano sospetti gravi sulla veridicità della stessa. La Cassazione è intervenuta nuovamente sulla questione, disconoscendo il certificato medico attestante la malattia di un lavoratore e riconoscendo valide le prove dimostranti la falsa malattia reperite a seguito di accertamenti effettuati da una agenzia investigativa appositamente incaricata dal datore di lavoro. Nello specifico, assente per una dichiarata patologia di lombo-sciatalgia acuta, il dipendente è stato sorpreso mentre eseguiva lavori sul tetto e nel cortile della propria abitazione, le risultanze delle investigazioni, legittimamente acquisite attraverso una attività di osservazione diretta e dinamica, sono stati tali da privare il certificato medico rilasciato da professionisti convenzionati degli effetti suoi propri. Una conseguenza importante nel procedimento, se si considera che il certificato medico costituisce atto pubblico assistito da fede privilegiata e, come tale, in generale fa piena prova sino a querela di falso.
Altresì viene confermata la facoltà del datore di lavoro di concretizzare il controllo, anche occulto, tramite l’assunzione di una agenzia investigativa o un investigatore privato alle condizioni dettate nella sentenza Cass. Civ. 17113/2016 secondo cui il controllo deve essere destinato ad individuare esclusivamente comportamenti illeciti esulanti la normale attività lavorativa.
L’investigatore privato sembra possa essere di grande aiuto anche per la Pubblica Amministrazione, per ridurre sprechi e risorse, liberando le forze di pubblica sicurezza da compiti che anche questi professionisti possono svolgere.
E' recente una sentenza dalla Seconda sezione giurisdizionale centrale d'Appello della Corte dei Conti di Roma (sentenza n. 36954/2016), che ha riconosciuto legittimo ingaggiare una agenzia investigativa al fine di verificare l'effettiva esistenza di comportamenti illeciti di un dipendente anche nel settore pubblico. Questa sentenza ha aperto finalmente le porte al privato e da alle pubbliche amministrazioni di tutta Italia la possibilità di identificare tutte le criticità che vengono commessi dai dipendenti pubblici e che difficilmente vengono perseguiti a causa della poca disponibilità (uomini e mezzi) da parte delle forze dell’ordine, impiegati nell'ordine pubblico, nella prevenzione, nell'antiterrorismo e nella lotta alle mafie e via dicendo. Le agenzie investigative sono difatti in grado di eseguire tutte quelle attività di indagine che prevedono un iter operativo tipico dei servizi "atipici" condotti normalmente dalle forze dell’ordine; servizi che già offrono alle imprese private per inchiodare dipendenti infedeli che abusano di permessi 104, sindacali, malattie, infortuni e via dicendo. Un diritto riconosciuto alla professione dell’investigatore privato, a vantaggio delle casse e dell'immagine statali, regionali, comunali, partecipate e miste.
mer
05
ott
2016
Il Comitato Area Metropolitana di Roma Capitale ricerca Operatori Legali in vista dell’apertura di strutture di accoglienza per migranti.
Maggiori informazioni al seguente link
mer
05
ott
2016
La Sanità è in costante crescita e ricerca profili anche non strettamente inerenti alle tipiche professioni del settore. Nel Lazio 25 sono i profili con peculiari caratteristiche che la Divisione Medical di Articolo1, Soluzioni HR, ricerca.
Addetto Legale
Si richiede: laurea in Giurisprudenza, Scienze Giuridiche o equivalenti; esperienza pregressa di almeno 4 anni nella posizione richiesta presso aziende strutturate medio-grandi o studi notarili; ottima conoscenza dei principali pacchetti informatici; ottima conoscenza del diritto societario e normativa inerente la compravendita e locazione.
Tutti i dettagli delle varie posizioni possono essere reperiti sul seguente sito
mer
05
ott
2016
Hai tra i 20 e i 35 anni? Sei convinto che la cultura e l’educazione siano i pilastri per lo sviluppo e il progresso del Paese? Credi nel valore della promozione del patrimonio artistico e culturale italiano, anche in chiave di investimento economico? Hai voglia di metterti in gioco in prima persona? Questa è una buona opportunità per schierarti in prima linea! Il Comitato Giovani della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO seleziona nuovi soci in tutte le regioni d’Italia. Si cercano figure con diversi profili professionali presenti e attivi sul territorio della regione di riferimento, giovani motivati e pronti a sostenere e veicolare i valori e i principi dell’UNESCO.
Per inviare la propria candidatura c’è tempo fino al 10 ottobre 2016 ore 12.00. qui il bando
mer
05
ott
2016
Si inaugura una nuova sezione del sito, sperando di far cosa gradita (e soprattutto utile) a tutti i colleghi giuristi, pubblicando e condividendo bandi di concorso pubblici e privati che potrebbero essere di interesse per gli avvocati e/o comunque per chi ha la laurea in giurisprudenza. Naturalmente chi ha più informazioni o è comunque a conoscenza di un bando pertinente è invitato a condividerlo con gli altri, condividendo il “link” tra i commenti, nella nostra pagina LinkedIn oppure scrivendo per e-mail al nostro sito, e provvederemo a pubblicarlo. Allo stesso modo Enti e aziende che vogliano pubblicare un annuncio di lavoro per legali può farlo inviandoci un messaggio tramite la scheda “contatti” del nostro sito. Naturalmente, fatta eccezione per i bandi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, il nostro sito non si assume alcuna responsabilità sulla fondatezza e correttezza delle informazioni pubblicate. Trovate la sezione sempre aggiornata sulla pagina principale di scrivere diritto.
Buona lettura!
mer
05
ott
2016
Per i pochi che ancora non lo sanno, il Consiglio di Presidenza delle Giustizia Tributaria ha aperto un Concorso per titoli per giudice tributario nelle commissioni provinciali e regionali, qui il Bando, e in bocca al lupo a tutti.
lun
21
mar
2016
Il Senato ha istituito per il 21 marzo la “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”
In realtà è dal 1996 che l’associazione “libera” di Don Ciotti organizza, proprio in questa data, la celebrazione della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti della Mafia, e quest’anno città simbolo della manifestazione è stata Messina, ma celebrazioni sono avvenute in altre mille città, anche all’estero.
Per vero l’approvazione della celebrazione è passata sotto silenzio mediatico, fatte salve alcune polemiche sull’iter legislativo (nella legge è stato omesso il termine “innocenti”, fate un po’ voi le vostre valutazioni…); peraltro l’istituzione per legge di un fenomeno che già si verifica da oltre vent’anni ha l’aria di essere un contentino per fare bella figura senza spendere un euro: idealmente una bella cosa, ma con poche ricadute pratiche sulle vittime (che già celebravano questo giorno anche senza il placet statale). Qualcuno tra i media ha persino polemizzato dicendo che l’istituzione di una giornata nazionale era tutto sommato superflua (v. commento di Tony Zermo su “La Sicilia).
Per me invece non si fa a sufficienza, come dimostra l’assordante silenzio che ha accompagnato l’istituzione di questa giornata, che non è soltanto commemorativa delle vittime (impegnate in prima linea contro la Mafia, o semplici cittadini che passavano al momento sbagliato) e delle loro famiglie, ma è anche una giornata celebrativa dell’impegno, quotidiano e costante, contro la Mafia, perché di Mafia si muore e si continua a morire, anche se ne parliamo sempre meno.
L’impegno contro la Mafia (anzi, contro tutte le mafie, come giustamente ricorda la gigantografia fuori dal mio studio di Piazza Armerina) non è solo delle figura istituzionali (magistrati e forze dell’ordine su tutti, cui va tutto il nostro riconoscimento), ma è di tutti noi; cosa possiamo fare noi, nella nostra vita di tutti i giorni?
Innanzitutto continuare a ricordare a noi stessi e agli altri (soprattutto alle generazioni più giovani) quello che è stato nel secolo scorso, e che per noi Falcone e Borsellino (solo per citarne due, ma ce ne sono moltissimi altri) non sono stati solo protagonisti di qualche fiction televisiva, ma grandi uomini che hanno ispirato una generazione.
In secondo luogo riflettere sul fatto che la Mafia mette radici sul terreno dell’illegalità, e su questo ognuno di noi può fare tanto o poco, rendendosi esempio di legalità, ciascuno a modo proprio: c’è l’impiegato pubblico che timbra il cartellino e poi va effettivamente a lavorare; c’è il medico INPS che si rifiuta di concedere l’invalidità ad un soggetto sano; c’è il contribuente che paga regolarmente le tasse; c’è il guidatore che rispetta il Codice della Strada, perché sa che è meglio per tutti. Ciascuna di queste persone, inconsapevolmente e senza grandi sforzi, contribuisce a creare un clima sempre più sfavorevole alla criminalità organizzata, facilitando il lavoro di chi se ne occupa in prima persona.
Naturalmente anche lo Stato è chiamato a fare qualcosa di più: è vero che abbiamo una normativa antimafia che funge da esempio per l’Europa, ma ogni norma è per definizione perfettibile, soprattutto nella sua applicazione; si dovrebbero potenziare uomini e mezzi delle forze dell’ordine, si dovrebbero sbloccare più rapidamente i beni sequestrati alla mafia, che spesso giacciono improduttivi per anni, quando non si arriva ad una vera e propria “mafia dell’antimafia”; si potrebbero dare più risorse al fondo per le vittime della mafia: molte persone non sanno neanche che esiste, e in generale ci dovrebbe essere più consapevolezza sull’esistenza prima e sull’utilizzo poi della normativa antimafia.
Da questo punto di vista, quindi, l’istituzione (anzi, l’istituzionalizzazione) di una giornata nazionale non mi pare solo utile, ma indispensabile e un’occasione da non perdere.
Avv. Giovanni Chiricosta
gio
03
mar
2016
Normalmente acquistare una casa è una operazione decisamente superiore agli sforzi economici del singolo, che non dispone dell’intera cifra, per cui è costretto a concludere un mutuo con una banca. Attraverso il mutuo, infatti, la banca eroga l’intera somma richiesta (una percentuale sostanziale del prezzo dell’immobile) in un'unica soluzione anticipata, e il debitore restituisce la somma a rate. Nello scambio il consumatore diventa proprietario di casa (cosa che non avrebbe potuto fare senza il prestito) mentre la banca ottiene, oltre alla restituzione del capitale (garantita dall’ipoteca sulla casa), una maggiorazione degli interessi, grazie ai quali ottiene un profitto.
Ma andiamo con ordine.
Vedete una bella casa, e decidete di acquistarla, ma non avete i soldi. Immaginiamo che la casa costi 100.000, e vi recate in banca per il mutuo. In banca vi diranno che in ogni caso non vi presteranno mai l’intera somma, ma al massimo l’80% del valore dell’immobile, nonostante l’ipoteca sia, ovviamente, sul 100% dell’immobile. Questo perché nel caso in cui smettiate di pagare le rate quando ancora mancano parecchi anni all’estinzione del debito la vendita dell’immobile anche al 100% del suo valore non ricompensa a sufficienza il mancato guadagno della banca: ecco perché la garanzia deve avere un valore superiore al capitale prestato!
In ogni caso la banca, per verificare effettivamente quanto vale la garanzia e quanto prestarvi (i due valori, come abbiamo visto, sono strettamente correlati) non si accontenta certo del prezzo fissato dal venditore, ma è necessaria una perizia tecnica, redatta da un perito indicato dalla banca o da voi (il costo della perizia è a carico vostro in entrambi i casi), anche se spesso le banche si affidano ad una propria perizia interna basata sui dati catastali dell’immobile, perizia che non ha costi per il consumatore.
Stabilito il valore dell’immobile e fissato il capitale (poniamo € 80.000, l’80% dei 100.000 che ci servono: gli altri 20.000 dovremo metterceli noi di tasca nostra) dobbiamo stabilire le condizioni del mutuo: quanto costerà alla fine, a tasso fisso o variabile, di che durata etc. Un facile modo di partenza, prima di stabilire queste variabili tecniche, è stabilire la misura della rata: mentre può risultare di difficile comprensione stabilire lo spread dei tassi di cambio nel tempo, sappiamo implicitamente quanto possiamo permetterci al mese (o a trimestre, o a semestre). Una buona norma è stabilire una rata massima del 33% del proprio reddito, per poter essere in grado di sopportare le rate anche durante periodi economicamente negative, o con contingenti spese impreviste.
Stabilita insieme alla banca la misura massima della rata potete decidere la durata del prestito (ossia in quanti anno finirete di pagarlo). Come regola generale più breve è la durata più le rate sono alte (ma più basso sarà il costo complessivo del mutuo, rincarato degli interessi); più la durata è lunga più le rate sono basse (ma gli interessi maggiori, con aumento del costo complessivo degli interessi).
A tasso fisso o variabile?
Per “tasso” si intende il tasso di interesse applicato alle singole rate del mutuo. Con il mutuo a tasso fisso il consumatore ha il vantaggio di conoscere l’importo di tutte le singole rate che dovrà pagare e di conoscere anche il costo totale che avrà avuto il mutuo alla fine del pagamento. Lo svantaggio è che, in caso di calo dei tassi di mercato, il consumatore non potrà avvantaggiarsene.
Col mutuo a tasso variabile il tasso di interesse delle rate (e conseguentemente la misura delle rate) varia al variare dei tassi di mercato, per cui le rate possono abbassarsi o anche aumentare oltre la soglia di un terzo del proprio reddito, o persino variare di numero (ossia aumentando la durata del mutuo).
Naturalmente sono possibili anche posizioni intermedie a tasso fisso e variabile, che in vari modi combinano tra loro vantaggi e svantaggi dei due tassi.
Piano di ammortamento
Il piano di ammortamento è il progetto di restituzione del debito; il piano stabilisce l’importo, la rata entro la quale tutto il debito deve essere pagato, la periodicità delle rate (mensili, trimestrali, semestrali), i criteri per determinare l'ammontar’ di ogni rata.
In particolare la rata è composta di due elementi:
- quota capitale, cioè l’importo del finanziamento restituito;
- quota interessi, cioè l’interesse maturato in base al tasso applicato.
Esistono diversi meccanismi di ammortamento, ma in Italia quello più diffuso è il cd. ammortamento “alla francese”, in base al quale la rata è composta da una quota capitale crescente e da una quota interessi decrescente.
In pratica all’inizio si pagano soprattutto interessi; mano a mano che il capitale viene restituito la quota degli interesse nella singola rata diminuisce mentre aumenta la quota capitale.
Ciò, peraltro, incide sulle detrazioni fiscali, considerando che sono detraibili soltanto gli interessi sui mutui, non l’intera rata.
Un esempio concreto aiuterà a comprendere l’ammortamento alla francese:
ipotizziamo un prestito di 145.00 in 15 anni a tasso fisso del 5,3%, a rate mensili e ammortamento alla francese.
La rata sarà sempre di € 1.169 ma, mentre nella prima rata la quota capitale sarà di € 529 e la quota interessi di € 640, nell’ultima la quota capitale sarà di € 1164 e la quota interessi di € 5.
mar
22
dic
2015
Secondo quanto prescrive l’art 14 CC la fondazione può essere costituita, oltre che per atto inter vivos, anche per testamento. In quest’ultimo caso l’atto diventerà efficace, come ogni disposizione a causa di morte, solo all'apertura del testamento.
La dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate se, in quest’ultimo caso, la forma necessaria sia quella del testamento pubblico o se invece possa considerarsi sufficiente il ricorso ad un testamento olografo.
La dottrina oggi prevalente alla luce delle sufficienti garanzie offerte da quest’ultimo circa i requisiti di forma e di pubblicazione, inducono a ritenere ammissibile anche la costituzione di una fondazione attraverso il testamento olografo.
Il verbale di pubblicazione del testamento olografo, infatti, in forza della sua natura di atto pubblico, è considerato titolo legittimante la richiesta di iscrizione nel registro delle persone giuridiche della fondazione. Inoltre la particolare forma utilizzata fa sì che, come ogni disposizione mortis causa, essa produca effetti solo al momento dell’apertura della successione, quindi fino a tale data essa può essere oggetto di revoca. Ulteriore problema è quello della natura giuridica della disposizione testamentaria con cui si costituisce una fondazione.
Parte della dottrina ritiene che l’atto di dotazione non abbia un’autonoma natura causale, ma costituisce elemento integrativo dell’unico negozio di fondazione, considerato come negozio tipico, unilaterale e gratuito.
Secondo invece altra dottrina è necessario distinguere tra negozio di fondazione e atto di dotazione. Col negozio di fondazione si intende costituire l’ente, esso è un atto post mortem oppure una disposizione non patrimoniale ex art. 587, II comma c.c.
L’atto di dotazione rappresenta invece l’istituzione di erede o di legato.
Oltre ai dubbi sull'utilità pratica della distinzione tra atto di fondazione ed atto di dotazione, non sono mancate critiche dottrinali ad una ricostruzione teorica basata sulla scissione dell’atto di fondazione. È vero infatti che, distinguendo tra atto di fondazione ed atto di dotazione patrimoniale e costruendo il primo come atto rivolto alla creazione di un nuovo soggetto di diritto, risulta possibile qualificare l’atto di dotazione patrimoniale, allorché sia contenuto in un testamento, come istituzione di erede o legato a favore del nuovo soggetto creato con l’atto di fondazione. Tuttavia in concreto risulterà inapplicabile alla fattispecie ogni norma che presupponga la qualificazione dei beni come eredità, o della vicenda traslativa come successione a titolo universale.
Secondo la dottrina maggioritaria, pertanto, conviene abbandonare il tradizionale postulato secondo il quale il testamento non può contenere altri atti di disposizione patrimoniale che non siano l’istituzione di erede o il legato e non esistono altri atti di liberalità tra vivi oltre a quelli ricompresi nello schema della donazione: si deve ammettere l’esistenza, in forma di testamento o di atto tra vivi, di quella ulteriore figura negoziale, implicante una disposizione patrimoniale che prende il nome di atto di fondazione.
Alle stesse conclusioni giunge la giurisprudenza più recente, secondo cui l’atto di fondazione ha in comune con l’istituzione di erede, il legato, la donazione, il fatto di essere un atto di liberalità: le norme che regolano queste ultime figure in quanto atti di liberalità, dunque troveranno applicazione anche per l’atto di fondazione; a quest’ultimo, inoltre, si applicheranno le altre norme genericamente formulate per tale categoria di atti. Le modalità concrete con cui si possono costituire fondazioni per testamento sono diverse.
Una prima ipotesi è quella diretta e simultanea, nel caso in cui il fondatore riporta nel testamento tutti gli elementi richiesti dalla legge per l’atto costitutivo di fondazione e manifesta la volontà di spogliarsi dei beni da destinare a patrimonio della fondazione stessa, con la conseguenza che la scheda testamentaria funge da atto costitutivo dettando le regole e la disciplina della fondazione. La costituzione indiretta e successiva ricorre invece qualora il de cuius manifesti nel testamento la volontà di destinare determinati beni alla costituzione di una fondazione e indichi lo scopo della fondazione, demandando a terzi il compito di creare l’ente e completare la struttura con gli elementi indicati.
Il terzo funge da arbitratore ex art 1349 CC che integra la volontà del testatore.
A carico dell’erede o del legatario viene così posto un onere, spettando ad essi il compito di eseguire la disposizione a loro carico e di integrare la volontà del testatore.
Rientra nell'ipotesi della costituzione indiretta anche il caso in cui il testatore decida di affidare gli adempimenti costitutivi ad un esecutore, il quale non ha solo il potere ma anche il dovere di eseguire le ultime volontà del de cuius.
ven
27
nov
2015
Per chi crede che la Fede (quella con la F maiuscola) abbia un ruolo in tutte le cose della vita, e quindi anche nel proprio lavoro, ho cercato in rete una preghiera per l’avvocato; in verità non c’è una preghiera ufficialmente riconosciuta, ma ve ne sono molte, alcune anche con una esplicita approvazione ecclesiale. A me è particolarmente piaciuta una che, benché priva di “placet” clericale, mi sembra meno retorica e più sincera delle altre, scritta da Giampaolo Thorel (Giornalista, docente di Filosofia, e molte altre cose ancora…).
A proposito: il “santino” in copertina è Sant’Ivo di Bretagna, protettore degli avvocati: ora sapete a chi rivolgervi!
Preghiera dell'avvocato
Per essere un buon avvocato
Spero che la mia preghiera non ti giunga, o Dio, superficiale o dissonante dalla tua Legge eterna.
La consuetudine invalsa nella nostra professione di "mentire" o di nascondere parti di verità per difendere i nostri clienti può, alla lunga, fuorviare la nostra coscienza. Insegnami a capire che la giustizia si fonda sulla verità, e che la verità, quella somma, sei solo Tu o Dio.
Guidami nella retta comprensione dei casi più complicati.
Ed anche se dovrò invocare pene e sanzioni, non permettere che io sia mosso da malanimo o da spirito di rivalsa o di successo.
La pena deve essere sempre redentiva, rieducativa.
Ti chiedo perdono se qualcuno, per mio scarso impegno personale, sta pagando in qualche carcere.
Aiuta lui e la sua famiglia a ritrovare, presto, libertà e gioia di vivere.
Fa che io sia mosso dalla 'caritas', che supera la legge umana, pur non obliterandola.
Benedici me e tutta la classe cui appartengo, perché tutelino veramente la giustizia senza preferenze di persona.
Grazie di avermi ascoltato. E così sia.
da "Filo rosso con Dio" , Giampaolo Thorel, ed. Paoline
mer
07
ott
2015
L’abuso del diritto e l’elusione fiscale prima della novella dello Statuto del contribuente
È in vigore dallo scorso 1° ottobre il “nuovo” abuso del diritto. Concetto civilistico, ma non accolto però nel nostro codice, il principio è entrato nell’ordinamento tributario – nella species dell’elusione fiscale – con l’art. 37-bis, D.P.R. n. 600 del 1973, ai sensi del quale erano “inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro,prividivalideragionieconomiche,direttiad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.
La disposizione, sin dal momento della sua introduzione, circoscriveva il suo ambito di applicazione alle sole imposte dirette e in riferimento a determinate fattispecie – ampliate nel corso del tempo – ritenute dal legislatore potenzialmente elusive (comma 3): operazioni straordinarie; conferimenti in società; cessioni di crediti o di eccedenze d'imposta; operazioni in derivati; operazioni con controllate e collegate in Paesi black list; ecc.. Inoltre prevedeva (comma 8) la possibilità di disapplicazione “qualora il contribuente” avesse dimostrato “che nella particolare fattispecie” i temuti “effetti elusivi non avrebbero potuto verificarsi”.
La situazione è radicalmente cambiata a seguito di alcuni interventi, soprattutto giurisprudenziali. A livello comunitario, si ricorda CGCE, 21/2/2006, n. 255 – Halifax (in Rass. Tributaria, 2006, 3, 1016); in Italia, Cass., SS.UU., 30/9/2008, n. 30005 (“non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmiofiscale in difetto di ragioni economicamente apprezzabili…”).
L’“abuso del diritto” ha infine trovato applicazione – “a condizione che fosse individuata la norma anti-elusiva, specificamente prevista dalla legge, violata” (p.e. l’art. 37-bis: cfr. Cass. pen., 28/2/2012,n.7739) e sia pure con qualche distinguo – anche in campo penale (Cass., 12/6/2013, n. 33187).
Il nuovo art. 10-bis, L. n. 212 del 2000.
In una situazione così confusa, un intervento normativo era ormai improcrastinabile: l’art. 1, c. 1, D. Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 ha dunque introdotto l’art. 10-bis nella legge 27 luglio 2000, n. 212 (“Statuto dei contribuenti”), al fine di definire per legge il concetto di “abuso di diritto”, individuarne gli elementi costitutivi, escluderne la rilevanza penale. In questo modo, il legislatore – come si vede dalla stessa rubrica dell’art. 10-bis – ha inteso sussumere l’elusione (species) nel più ampio concetto di abuso (genus). Correttamente, dunque, ha previsto l’abrogazione dell’art. 37-bis (un po’ meno correttamente, si è invece “dimenticato” dell’art. 20, D.P.R. n. 131 del 1986, in tema di registro).
Il c. 1 della nuova disposizione individua le operazioni abusive, quelle cioè (a) prive di sostanza economica, e (b) che realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Il successivo c. 2 esplicita i due concetti, sistematizzando le definizioni già emerse in ambito giurisprudenziale: (a) operazioni prive di sostanza economica sono “i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica… la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato”; (b) sono “vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario”.
Il riferimento alle “logiche di mercato”, piuttosto che alle “valide ragioni economiche” di cui all’ora abrogato art. 37-bis, “sembra… [voler] espungere dalle operazioni abusive sempre e comunque quelle perlequalièindividuabileun – seppur minimo, ma, comunque, quantificabile – vantaggio economico, cosìché il termine «ragioni», dotato…diunamaggiore astrattezza, è utilizzato solo in seconda battuta, per individuare l’esimente delle «ragioni extrafiscali non marginali»” (Leo, in Fisco, 2015, 10, 915). Esimente, quest’ultima, assai opportuna, laddove si consideri che, in passato, “in più occasioni… la giurisprudenza ha ritenuto che anche operazioni connotate da valide ragioni economiche potessero ritenersi elusive o abusive in ragione del percorso prescelto dal contribuente per realizzare il risultato” (Manzitti e Fanni, in Corriere Tributario, 21, 2015, 1597).
Altri Autori (Carinci e Deotto, in Fisco, 2015, 32-33, 3107) hanno invece evidenziato la mancanza di innovatività della definizione: già la “relazione di accompagnamento” all’art. 37-bis definiva infatti “lecito risparmio tributario” quello che “si verifica quando tra vari comportamenti, posti dal sistema fiscale su un piano di pari dignità, il contribuente adotta quello fiscalmente meno oneroso”, chiarendo che “non c’è aggiramento fintanto che il contribuente si limita a scegliere tra due alternative che in modo strutturale e fisiologico l’ordinamento gli mette a disposizione”. Nel nuovo assetto normativo, molto giustamente, queste considerazioni sono però esplicitate nel comma 4, vincolando l’interprete in modo assai più convincente.
I cc. da 6 a 9 riguardano il procedimento di contestazione dell’abuso del diritto (assai simile a quello già previsto dall’art. 37-bis), sia ribadendo i principi della motivazione dell’atto e del contraddittorio, sia indicando la ripartizione dell’onere della prova. Spetta al contribuente dimostrare le “valide ragioni extra-fiscali”dellacondotta,mal’eventuale assenzadi queste non qualifica in sé un’operazione come immediatamente abusiva (Carinci e Deotto, in Fisco, 2015, 32-33, 3107): è posto infatti in capo all’Agenzia un onere significativo, che è quello della produzione di un atto autonomo e motivato (impugnabile: Lamedica, in Corriere Tributario, 30, 2015, 2373) che dimostri “la sussistenza della condotta abusiva”. Non solo: la disposizione – in contrasto con l’attuale orientamento dominante in giurisprudenza – impone per tabulas la non rilevabilità di ufficio dell’eventuale abuso.
Molto interessante anche il comma 13, ai sensi del quale “le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta [tuttavia] ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie”. L’indirizzo giurisprudenziale che concludeva per la rilevanza penale dell’elusione fiscale viene così senz’altro meno. Di contro, lascia perplessa la precisazione in merito alla sanzionabilità amministrativa dell’abuso: se ciò si pone infatti in linea con la giurisprudenza interna (Cass., 18/9/2015, n. 18354), risulta invece in contrasto con la giurisprudenza comunitaria, a partire dalla sopra citata sentenza Halifax (v. Carinci, in Dir. e prat. tributaria, 2012, I, 785).
Retroattività o irretroattività dell’art. 10-bis, L. n. 212 del 2000.
La declaratoria di non punibilità penale dell’abuso del diritto apre una questione importante in ordine alla eventuale retroattività della disposizione, in particolare alla luce del c. 5, ai sensi del quale: “le disposizioni… hanno efficacia a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore del… decreto [1° ottobre 2015: N.d.R.]…”.
Dal punto di vista degli effetti fiscali e delle sanzioni amministrative.
Come detto, infatti, la maggior parte dell’art. 10-bis si limita a riprendere, chiarire e sistematizzare una serie di principi di diritto enucleati dalla giurisprudenza italiana e comunitaria. La Suprema Corte, anzi, ha parlato dell’“abuso del diritto” come di un “principio immanente all’ordinamento”, qualificando implicitamente le proprie pronunce come “meramente ricognitive” del diritto vivente.
Così argomentando, anche l’art. 10-bis, nel suo complesso, avrebbe portata non già innovativa, ma interpretativa. Si potrebbe dunque concludere (ItaliaOggi, 28 settembre 2015, pag. 6) “che non solo l'istituto dell'abuso del diritto, ma anche il correlato obbligo di contraddittorio e il principio del legittimo risparmio di imposta appaiono applicabili a prescindere dalla scansione temporale fornita dal testo normativo”. Sulla stessa linea si pongono anche Carinci e Deotto, cit., i quali – come detto – appunto insistono molto sulla scarsa innovatività, a loro giudizio, della disposizione.
Per altra via (contrastante però con la Cassazione) CTR di Bologna n. 933/16/15 ha negato in radice la diretta applicabilità nell’ordinamento dell’art. 53, Cost., che sarebbe “norma programmatica” posta a vincolo del comportamento del legislatore e non anche del contribuente.
Dal punto di vista degli effetti penali.
Ai sensi dell’art. 2, c.p., “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. [Tuttavia], se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse [cioè: se non c'è stata abrogazione della fattispecie criminosa, ma solo una modifica della stessa: N.d.R.], si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.
Il tenore letterale dell’art. 10-bis, c. 13, dello Statuto del contribuente e l’abrogazione espressa dell’art. 37-bis, D.P.R. n. 600 del 1973, non lasciano adito a dubbi nel senso di dire che il legislatore ha voluto “depenalizzare” l’abuso del diritto. Tuttavia, la depenalizzazione passa dall’abrogazione non di una norma incriminatrice penale, bensì di una norma extra-penale, integratrice della fattispecie criminosa (l’art. 37-bis).
Parte della dottrina ha ritenuto che il rispetto dei princìpi costituzionali impone di ritenere che “nella disciplina della successione di norme penali è attratta anche la successione delle norme extra-penali in esse richiamate” (Fiandaca, Musco, Padovani), mentre secondo altra parte l’art. 2 non troverebbe applicazione in caso di modifica mediata della norma penale incriminatrice (Grosso, Mantovani). La giurisprudenza sulla questione è però per lo più nel senso dell’applicabilità dell’art. 2, c. 2, c.p. anche alla successione di norme extra-penali (v. p.e. Trib. Aquila, 30/01/2008).
Pare dunque potersi concludere che l’abrogazione dell'art. 37-bis, unitamente alla declaratoria di non punibilità contenuta nell'art. 10-bis, facciano propendere per un mutamento complessivo dell'assetto giuridico in tema di “abuso
del diritto” e, dunque, per l’applicabilità dell’art. 2, c.
2, c.p..
lun
21
set
2015
Il concordato preventivo dopo la riforma (d.l. 83/2015)
Il testo, con FORMULARIO e GIURISPRUDENZA, è aggiornato al D.L. 27 giugno 2015 n. 83 convertito con modifiche in L. 6 agosto n. 132 (G.U. n. 192 del 20/08/2015) che consente anche ai creditori di proporre un piano alternativo a quello del debitore, e permette l’accesso al credito alle imprese già durante la fase di pre-concordato.
Il libro si presenta come uno strumento agile e completo per i professionisti che affrontano le problematiche attinenti alla crisi d’impresa e hanno l’incarico di trovare una soluzione per uscirne senza fallire.
Fornisce una guida sui numerosi passaggi della procedura, rappresentando quindi uno strumento utile per tutti i soggetti coinvolti nel concordato preventivo.
Arricchito da una rassegna di giurisprudenza sul tema e da un esaustivo formulario vuole essere uno strumento di taglio operativo per il professionista.
Il Cd-Rom allegato contiene la GIURISPRUDENZA e il FORMULARIO compilabile e stampabile.
lun
21
set
2015
Scrivere diritto è in cerca d’autore!
Il nostro blog ha ormai raggiunto una certa consistenza di lettori, anche grazie alla newsletter, ed ha consolidato una certa linea editoriale, che incontra il favore di molti “naviganti”, ma non possiamo fare tutto da soli. Per questo motivo lanciamo una campagna di reclutamento autori rivolta a tutti i lettori, professionisti e non, che vogliano condividere con noi le loro idee in merito al diritto. A tal proposito accettiamo articoli su diritto, società e comunicazione, se siete a corto di idee ripassate i nostri vecchi post sulla comunicazione e sulla tecnica di scrittura di articoli giuridici.
PERCHE’ DOVRESTE SCRIVERE SUL NOSTRO BLOG?
Perché ogni articolo pubblicato riporterà la vostra firma, che potrà essere un link al vostro sito professionale, al vostro profilo social o alla vostra mail, così da avere un ovvio ritorno di immagine, che sarà moltiplicato se seguirete i nostri consigli su come ottenere una maggior visualizzazione dell’articolo.
Seguite questa semplice procedura:
1) rivedete i titoli dei nostri post, per avere un’idea della nostra linea editoriale; se necessario, ripassate i post dedicati alla comunicazione tecnico-giuridica;
2) scrivete il vostro articolo firmato (commento a sentenza, a legge, a notizie di cronaca giudiziaria etc. etc.)
3) inviatelo a giovanni.chiricosta@virgilio.it, insieme ad un link al quale volete essere collegati
In caso di accettazione, vi daremo conferma dell’avvenuta pubblicazione via e-mail .
Fatevi sentire!
mar
15
lug
2014
In questi giorni di caldo soffocante chiacchierando tra colleghi è emerso un argomento leggero, ma che assume rilevanza ogni mattina prima di andare al lavoro: cosa mi metto? Detto in altre parole, l’abito fa l’avvocato? Il problema non è di poco conto come si potrebbe pensare a prima vista, perché anche l’abbigliamento e l’apparenza esteriore fanno parte dell’immagine professionale che diamo all’esterno, senza contare dell’importanza della prima impressione quando conosciamo un nuovo cliente.
Parlare di un vero e proprio codice d’abbigliamento per avvocati sarebbe inappropriato, anche perché non ci sono regole precise, ma qualche indicazione è d’obbligo, specie per chi si affaccia adesso a questo mondo. Se andate in udienza, giacca e cravatta per lui e giacca formale/tailleur per lei sono praticamente d’obbligo. Non deve essere necessariamente scuro (è un po’ strano vestirsi di nero alle 8 di mattina…), ma non è neanche sbagliato. Meglio evitare scarpe troppo eleganti (scomode per passarci qualche ora in udienza), ma comunque formali. Assolutamente vietati jeans e scarpe da ginnastica, anche se fuori ci sono 40 gradi. Naturalmente abbiate cura del vostro aspetto sotto tutti i punti di vista: barba e capelli per lui e trucco/parrucco per lei dovranno essere in ordine, ma senza eccessi. Vietato invece il profumo: sgradito nelle stanze piccole e affollate, e poi il giudice va solo convinto, non sedotto. Se volete creare un vostro stile personale sbizzarritevi pure negli accessori: cravatte, foulard, orologi, borse, penne strategicamente visibili dal taschino, agende in pelle etc. etc. A questo scopo non sottovalutate gli aggeggi elettronici: anche cellulari/tablet etc., volente o nolente, fanno parte della vostra immagine. Avete un cellulare decisamente datato? Mettetelo dentro una bella custodia in pelle, e usate l’auricolare: passerete da uno che non si tiene al passo con la tecnologia ad un professionista impegnato (pensate a chi negli anni ’80 andava in giro con le prime agende elettroniche).
A volte si intravedono tra i corridoi dei loschi figuri, vestiti decisamente male, che svolgono la nostra professione. Tempo fa, spinto dalla curiosità, ho parlato con uno di essi, e mi ha spiegato che si occupava specialmente della difesa dei più deboli, (gratuito patrocinio in civile e penale, non abbienti, senza domicilio fisso etc., quindi una funzione sociale essenziale e degna di lode), per cui quel look era voluto e studiato per abbattere la distanza tra l’avvocato e il cliente in modo da superare la diffidenza che un’immagine troppo formale potrebbe provocare. Personalmente non condivido questa impostazione (seppur sensata), anche perché il cliente ha bisogno di essere difeso in tribunale da un avvocato, non da un suo pari (non si offenda nessuno, mutuo l’espressione dall’ordinamento anglosassone, come criterio di scelta dei giurati…). E comunque una scelta “sotto tono” potrebbe avere un senso nel colloquio con il cliente, ma potrebbe rivelarsi inutile e controproducente in udienza davanti al giudice.
Quando non si è in udienza ma con clienti, colleghi o semplicemente in studio da soli valgono le stesse regole, magari allentate un po’ (io faccio volentieri a meno della cravatta), per il rispetto di voi stessi e delle persone con cui lavorate. E fuori dall’orario di lavoro? Dipende come intendete la professione: fate l’avvocato o siete un avvocato? Se siete un avvocato, allora ricordate che voi rappresentate il vostro studio e la vostra professione sempre, e non a caso anche il codice deontologico impone di ispirare la propria condotta (non il proprio lavoro, ma la condotta di vita) a criteri di probità, dignità e decoro, che certamente ricomprendono anche la cura di sè e della propria immagine: del resto se voi per primi non vi prendete sul serio, non lo faranno neanche gli altri.
Voi che ne pensate?
mer
02
lug
2014
Un blog non è altro che uno spazio in cui inserire contenuti (prevalentemente) testuali, che possono anche essere commentati dagli utenti. Per uno studio legale potrebbe essere uno strumento utile per farsi conoscere dai clienti e dai colleghi, per condividere informazioni etc. Prima di spiegarvi come crearne uno, è meglio che abbiate chiaro cosa scrivere nel blog. Normalmente il blog di un avvocato comprende notizie legali dal mondo del diritto, novità giuridiche, commenti a ultime sentenze interessanti, notizie utili e consigli legali etc. Il tono della scrittura dovrà essere leggero e scorrevole, e il più possibile atecnico: dovrà dimostrare che sapete di cosa state parlando, ma dovrà essere leggibile da chiunque. Il blog potrebbe anche essere lo spazio per vostre considerazioni personali su società, economia etc., ma se il vostro scopo è fare marketing vi sconsiglio di scendere troppo sul personale, e in generale di parlare di politica o di avere toni troppo accesi (verreste commentati dai troll, cioè quelli che si divertono ad offendere gratuitamente, una pessima immagine, anche se per questi c’è una soluzione tecnica, come vedremo).
Se avete intenzione di proseguire per questa strada sappiate che dovrete coltivarla: avere un blog con quattro o cinque post, magari vecchi di sei mesi, non solo è inutile ma anche dannoso, prova che non siete in grado di portare avanti un progetto a lungo termine. L’idea di fondo è di postare un nuovo contenuto almeno ogni due settimane (non seguite l’esempio del sottoscritto). Qualche consiglio per i futuri scrittori: il post ideale deve essere agile e brillante, facile e veloce da leggere, anche per gli occhi: dividete il testo in brevi paragrafi, separati tra loro; evidenziate le parole chiave, non solo per facilitare la lettura, ma anche per renderli più visibili ai “robot” dei motori di ricerca e farli trovare più facilmente. se citate un sito, una sentenza o una nuova legge, indicate anche il link diretto alla fonte, per rendere il testo più interattivo; arricchite il post con un’immagine esplicativa: un’immagine vale più di mille parole. A tal proposito non scrivete mille parole, ma attenetevi a testi brevi: quante volte vi siete stufati prima di arrivare in fondo ad un’articolo?
Pubblicato il vostro post, fatelo circolare con ogni mezzo. Innanzitutto inserite in fondo all’articolo un tasto “condividi” per permettere al lettore che abbia apprezzato di condividerlo con i proprio contatti, quindi fatelo voi stessi: condividete il vostro articolo sui vostri profili facebook, LinkedIn, Google+ etc, più ce n’è meglio è. Se poi volete fare ancora di più potete diffondere il contenuto del vostro blog attraverso una mailing list periodica (ma di questo parleremo in un post successivo). Mi raccomando di non condividere l’intero articolo, ma solo il link: così facendo chi vuole leggere l’articolo dovrà necessariamente andare sul vostro blog, facendo salire il contatore delle visite. Fondamentali sono anche i commenti. Mettete sempre la possibilità di inserire commenti pubblici, ma riservatevi la possibilità di cancellarli o almeno controllarli prima della pubblicazione, qualcuno potrebbe inserire commenti offensivi o sgraditi.
Se avete già un sito il blog dovrebbe esserne una pagina o avere un sito tutto suo? Anche questa è una scelta strategica che dovreste fare prima. Se il vostro scopo è solo farvi pubblicità è chiaro che dovrebbe essere una pagina del vostro sito, proprio allo scopo di attirare visitatori. Se invece avete sempre sognato di scrivere, e accarezzate l’idea di diventare pubblicista e magari fondare una rivista tutta vostra allora fatene un sito a parte (purché mettiate un link al vostro sito professionale, magari come firma ad ogni articolo).
Chiarito il progetto, come creare un blog (magari gratis)? Lo strumento più comune è wordPress, che vi consente gratuitamente di aprire un blog come “ospiti” del loro server, oppure (a pagamento) di inserire un blog nel sito già di vostra proprietà. Inoltre la maggior parte dei servizi per creare siti personalizzati hanno l’opzione per creare anche un blog, e sono tutti user-friendly, ossia anche per digiuni di web design.
gio
27
mar
2014
Oggi i social network sono diffusissimi, e praticamente tutti hanno almeno un profilo “social”, e molti più di uno. Pochi però hanno colto l’opportunità di sfruttare i social network come strumento di marketing professionale.
Innanzitutto due parole sui social network in genere, che, per chi ancora non lo sapesse, sono piattaforme virtuali che permettono di incontrare e conoscere altre persone attraverso profili virtuali. Il più famoso è certamente Facebook, nato per rimettere in contatto i vecchi compagni di scuola, e diventato … tante altre cose. Un altro famoso social network è certamente Linkedin, particolarmente indicato per i professionisti perché incentrato proprio sulla necessità di costruire reti di contatti tra professionisti di un certo settore. Peraltro ho già scritto sul migliore utilizzo di Linkedin un lungo post, al quale rinvio caldamente: linkedin per avvocati.
Se volete utilizzare un social network (Facebook o il vostro preferito) come strumento di marketing, dovete partire con questa impostazione da zero, ossia dalla creazione del profilo. Già il nome deve indicare che si tratta di un profilo professionale: “Mario Rossi” non va per niente bene, e neanche “Avv. Mario Rossi”, meglio “Studio Legale Mario Rossi”, così eviterete contatti di persone che vogliono fare amicizia (per quello ci sono altri siti), concentrandovi sui contatti che vogliono da voi un consiglio, un rapporto di colleganza etc… Meglio pochi contatti qualificati che migliaia di inutili (ai nostri fini) sconosciuti.
Il profilo deve essere molto ricco, deve trattarsi di un mini-sito, con tutti i contatti necessari (non siate timidi!), un curriculum completo, delle foto professionali etc. Se il programma contiene un contatore di “completezza” del profilo, cercate di arrivare al 100%.
A proposito di foto professionali, la distinzione è ovvia: in giacca alla scrivania del vostro studio sì, in costume sulla spiaggia assolutamente no! Vanno di moda anche immagini standard anonime, come un logo o la classica bilancia col martelletto, anche se molti possibili clienti on-line preferiscono vedere in faccia le persone con cui avranno a che fare, e comunque sono scelte di stile (e molto dipende anche dal vostro aspetto: se proprio siete inguardabili, ripiegate su un’immagine neutra).
Costruito il vostro profilo, fate crescere la vostra rete e fatevi notare. Chiedete il contatto (o l’amicizia etc.) a colleghi di altre zone, soprattutto a chi ha già numerosi contatti ai quali presentarvi. Intervenite spesso nei forum di discussione, con argomenti mirati e studiati, create delle vostre discussioni, pubblicate le vostre opinioni (professionali e sempre di argomento giuridico), fatevi sentire. Ricordate che anche se il profilo è virtuale la vostra immagine sul web conta più della reputazione reale, per cui state sempre molto attenti a quello che scrivete; per questi motivi personalmente sconsiglio di esprimere opinioni politiche, almeno sui vostri profili professionali: ricordatevi sempre e costantemente che il vostro scopo è costruire una reputazione che attiri clienti, non che li allontani, questa deve essere la vostra linea guida sempre.
Abbiamo detto che è meglio una rete di pochi contatti qualificati che di molti generici, ma è meglio ancora una rete di tanti contatti qualificati, magari tantissimi. Che senso ha cercare di ottenere grandi numeri dalla propria rete? Per tre motivi: 1) i grandi numeri aumentano le probabilità di un contatto professionale “serio”; 2) un profilo con moltissimi contatti risulta carismatico, suscita la curiosità di sapere perché ci sono così tanti contatti, e per questi motivi il software che gestisce il vostro social network mette i profili più quotati in cima nei motori di ricerca; 3) se volete fare un passo ulteriore nel marketing on line, potrete sfruttare la vostra rete con una mailing list!
Ma di questo parleremo in un altro post…
mar
25
feb
2014
E’ cosa nota che il fallimento (in senso lato) di un’azienda comporta una procedura particolare (il fallimento in senso proprio). Esiste però un sovraindebitamento anche a livello individuale o familiare che, sulla scorta di analoga legislazione statunitense (il cd. “Chapter 5”), ha creato i presupposti per l'introduzione della Legge 27/01/2012 n.3, modificata con il D.L. 18/10/2012 n. 179, denominata Legge sulla Composizione della Crisi da Sovraindebitamento. Un vero e proprio piano del consumatore che rappresenta un valido strumento per aiutare le famiglie (o i singoli consumatori) che si trovano in particolare difficoltà.
La procedura base è la seguente:
- il piano di ristrutturazione del debito viene prima vagliato dal Giudice assegnatario, e in seguito presentato ai creditori.
- Il piano di esdebitazione viene approvato con il consenso dei creditori che rappresentano il 60% del debito complessivo.
- Il piano viene predisposto da un professionista, presentato al Giudice il quale fisserà un'udienza dove i creditori potranno partecipare per fa valere osservazioni in merito. Se i creditori, approveranno il piano con la maggioranza prima indicata, il Giudice omologherà l'accordo, di conseguenza tutte le procedure esecutive verranno sospese e il debitore potrà tirare un sospiro di sollievo. Sarà in futuro possibile modificare l'accordo ove dovessero cambiare le condizioni economiche del debitore.
Per ottenere l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, cioè l’approvazione da parte del Tribunale, divenendo lo stesso obbligatorio tra le parti, è
necessario come accennato che siano d’accordo i creditori rappresentanti almeno il 60% per cento dei crediti. Il consenso del 60% dei creditori non è invece richiesto per
l’omologazione del piano dei creditori, ma in questo caso il Tribunale ha dei poteri di controllo stringenti tra cui deve:
1) escludere che il consumatore ha assunto debiti senza la ragionevole prospettiva di poterli adempiere;
2) escludere che il consumatore ha per propria colpa determinato il sovraindebitamento, anche attraverso un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.
Per fare un esempio concreto e reale, a Pistoia una consumatrice, pensionata, si è sovraindebitata per aiutare il figlio che, ammalatosi improvvisamente, non è più stato in grado di portare avanti la propria azienda e di provvedere al sostentamento della figlia. Con l’aiuto del Movimento Difesa del Cittadino (che ha istituito lo sportello pilota sul sovraindebitamento delle famiglie) la signora ha presentato al Tribunale di Pistoia l’istanza per dare avvio alla procedura di sovraindebitamento, prevista dalla recentissima legge 3/12, entrata in vigore nel 2013, che ha introdotto nel nostro ordinamento le procedure per la crisi dei soggetti “non fallibili”, ovvero i soggetti che non soddisfano i requisiti previsti dalla Legge Fallimentare per il ricorso alla procedure da questa disciplinate. Tra questi soggetti “non fallibili” rientra appunto il consumatore, per il quale è stato predisposto un piano di ristrutturazione ad hoc dei debiti.
La pensionata ha potuto così presentare al Tribunale un piano di ristrutturazione dei debiti, commisurato alla sua situazione attuale. Un piano, omologato dai giudici, che prevede ora lo stralcio di circa il 50% dell’indebitamento ed il pagamento del residuo 50% in 90 rate mensili (dunque con una dilazione di 7 anni e mezzo), somma che è stata calcolata, detraendo dalla pensione, le spese mensili necessarie per il sostentamento del nucleo familiare. Le risorse monetarie per pagare i creditori, pur non essendo oggi disponibili, saranno ottenute anche rientrando in possesso del quinto della pensione già ceduto ad una finanziaria.
mer
12
feb
2014
Oggi per un professionista avere un proprio sito web, che siate esperti o totalmente analfabeti di computer, non è più un’opzione, ma è quasi obbligatorio. E’ pur vero che oggi i più esperti prevedono che i “siti” veri e propri passeranno di moda a favore dei profili “social”, ma finora il sito internet è ancora il fulcro dell’immagine sul web, specie di chi possiede una partita IVA. Anche solo per una questione di immagine, il consumatore medio (compreso l’eventuale cliente) si aspetta che tutto abbia un proprio sito internet. A proposito del farsi il proprio sito esistono due scuole di pensiero, ben definite.
C’è chi crede che il proprio target di clientela non lo troverà mai attraverso un sito web, e casomai lo fa solo, per l’appunto, per questione d’immagine (giusto per averlo), e per costoro andrà benissimo un tipico sito vetrina, con dati, indirizzo e telefono, magari un mini-curriculum e una bella foto, e via.
Se questa è la vostra intenzione, allora per voi sarà più che sufficiente un sito gratuito creato da voi stessi. Come fare? Non voglio fare pubblicità a nessuno, basta cercare su qualunque motore di ricerca “crea sito gratis” e le offerte sono tantissime. In questi servizi sono sempre presenti dei modelli preimpostati, che potrete modificare a piacimento anche se non siete dei web master o anche se non ne capite proprio nulla di web design, tutti questi servizi sono decisamente “user friendly” (leggi: a prova d’imbecille) e basta dedicare una mezz’oretta di attenzione per avere il proprio sito-vetrina sul web (e sui biglietti da visita). Un sito che, così come l’avete fatto, non guarderà nessuno (poi non lamentatevi dicendo che i siti per professionisti non portano clientela). Perché?
Per rispondere a questa domanda dovete prendere confidenza con il concetto di SEO, ossia Search Engine Optimization, ossia ottimizzazione per i motori di ricerca. Ci sono ottimi e-book gratuiti per spiegare come funziona, ma vi faccio subito un esempio.
Mettiamo che avete appena creato il vostro bel sito-vetrina gratis, e fate finta di dimenticarne l’indirizzo esatto; immedesimatevi nei panni di un cliente che vi sta cercando, e digitate su Google “cerca avvocati a …”. Il vostro sito è al primo posto? All’ultimo posto della prima pagina? Tra le prime dieci pagine? Non compare proprio? Questo succede perché avete fatto un sito senza rispettare i criteri di SEO. Ce ne sono parecchi, ricordo i principali:
Essere “proprietari” del sito. In effetti non si diventa mai proprietari, al più titolari del sito, ma nei siti gratuiti il proprietario resta sempre il sito che vi ospita, di cui il vostro sito è solo un sotto-sito. Per i siti a pagamento, invece, il titolare deve pagare una piccola quota annuale ad un apposito registro web (normalmente se ne occupano le stesse persone che vi hanno creato il sito a pagamento, ed è incluso nel costo).
Segnalare il sito a Google, gli altri motori di ricerca seguiranno. E’ semplicissimo, basta andare su http://www.google.it/add_url.html e seguire le istruzioni, ma non aspettatevi risultati immediati.
Mettere link esterni che conducano al vostro sito. Mettete il link del vostro sito (non l’indirizzo: il link) ovunque, nei vostri profili social e in quelli dei vostri amici, in fondo a tutte le vostre mail, come firma dei vostri articoli, negli sms che mandate etc. etc., oltre che sulla carta intestata e sui biglietti da visita.
Arricchite il vostro sito periodicamente. Questo è uno dei criteri principali, e anche il motivo per cui il classico sito-vetrina non può funzionare. Ma, direte voi, cosa mettere nel sito? Una volta messi i dati, con curriculum, foto, magari una mappa per raggiungere lo studio che altro aggiungere? Sforzatevi di essere più creativi, e aggiungete anche un blog (ne parleremo in un prossimo post), delle notizie giuridiche aggiornate, degli strumenti utili e quant’altro. Se proprio siete carenti di idee, date un’occhiata approfondita al sito che state leggendo adesso e vi farete un’idea.
Aggiungete al sito le giuste parole chiave. Cosa dovrebbe digitare un ipotetico cliente per trovare il vostro sito? Certamente “avvocato”, “studio legale” e la vostra città, ma anche mettere le vostre specializzazioni potrebbe essere una buona idea. E non dimenticatevi il vostro nome!
Diffondete e fate diffondere il link. Inserite nella home page del vostro sito quelle piccole icone che servono a condividere il sito con i propri contatti e-mail, i propri amici su Facebook, i contatti su LinkedIn etc. segnalatelo più che potete sui vostri profili, ma non è sufficiente; meglio ancora se lo fate segnalare ad altri, parenti, amici e clienti fidati: è così che un sito diventa “virale”.
Controllate le visite del vostro sito. Questa è un’opzione normalmente riservata ai siti a pagamento, ma per voi preziosissima, renderà ogni centesimo speso. Con strumenti appositi potete sapere non soltanto quanti visitatori hanno visto il vostro sito, ma anche quando, per quanto tempo, su quali pagine, quali parole-chiave hanno usato per trovarvi, e persino dove si trovano (con approssimazione regionale, non prendetela alla lettera), tutte informazioni che utilizzerete per migliorare via via il vostro sito.
Perché tutta questa fatica? Perché man mano i vostri contatti saliranno, il vostro sito riceverà molte visite, i motori di ricerca se ne accorgeranno e, magicamente, un giorno quando qualcuno cercherà un legale nella vostra città al primo posto troverà voi. Non è detto che poi questo si trasformerà in un incarico o meno, e se varrà la pena spendere denaro, tempo e impegno per questo risultato, questa è una scelta vostra.
mar
07
gen
2014
Il Tribunale di Milano si è di recente occupato (Trib. Milano, IX sez. civ., 17/6/2013, leggi la sentenza ) di un caso talmente frequente nella pratica che mi stupisco non vi sia più giurisprudenza al riguardo, ossia l’affido dell’animale di famiglia (cane, gatto o altro che sia) in caso di separazione dei coniugi.
Ad un civilista duro e puro parrebbe ovvia la soluzione di seguire il regime economico dell’animale inteso come res, per cui l’animale andrebbe al proprietario, come risultante dai registri dell’anagrafe canina. L’ovvia contestazione è, innanzitutto, che anche a voler seguire questo criterio l’iscrizione all’anagrafe canina non è in alcun modo equiparabile all’iscrizione di un veicolo al PRA, per cui chi risulta “proprietario” dell’animale dai registri dell’ASL veterinaria non necessariamente lo è anche dal punto di vista civilistico, perché l’anagrafe canina ha principalmente lo scopo di quantificare la popolazione canina e di individuare un essere umano responsabile in caso di danni. In altri –tristi- casi l’iscrizione all’anagrafe canina è stata utilizzata dagli ufficiali giudiziari per pignorare (ebbene sì!) l’animale al debitore, specie se di razza (l’animale, non il debitore…).
Chi possiede un cane sa bene che più che il “titolare” del cane conta il padrone, concetto che non deriva dal diritto civile, ma dall’etologia, ossia il soggetto che il cane riconosce come proprio padrone, e che potrebbe anche non coincidere con il proprietario.
Quanto a chi affidare il cane in caso di separazione, la sentenza succitata ha glissato sul punto, affermando che il giudice, statuendo sulla separazione, ha solo i poteri espressamente indicati dalla legge, che tace su animali e affini.
In casi più risalenti il giudice ha trovato una collocazione per Fido, ma in quei casi i coniugi si erano già accordati in separata sede, e il giudice ha soltanto vidimato l’accordo.
In proposito non pare così fantasiosa la proposta di legge dell’On. Brambilla, nota “pasionaria” animalista, secondo cui "il tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell'animale, sentiti i coniugi, la prole, se presente, e, se del caso, esperti del comportamento animale, attribuisce l'affido esclusivo o condiviso dell'animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere".
In caso di affido condiviso, salvo diversi accordi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei detentori provvede al mantenimento dell'animale da compagnia in misura proporzionale al proprio reddito. In caso di affido esclusivo il mantenimento è a carico del detentore affidatario (leggi il testo).
Personalmente non mi ritengo un animalista sfegatato come l’On. Brambilla, ma piuttosto un’umanista, convinto che l’uomo, la dignità umana e i diritti umani debbano essere il punto di partenza e di arrivo di qualunque discorso di diritto positivo; ma ritengo anche che il rispetto -se non l’amore- per gli animali sia una delle più elevate manifestazioni di umanità. Il progetto di legge, più che mirare ad equiparare gli animali domestici ai figli (cosa che peraltro milioni di persone nelle loro case già fanno) è un’idea per risolvere un frequente problema pratico a cui il nostro ordinamento non offre risposte.
ven
06
dic
2013
In questi giorni non si può non rendere omaggio a Nelson Mandela, il grande uomo politico, statista e premio Nobel per la pace scomparso ieri sera.
Non intendo dilungarmi su vicende già note ed entrate nella storia, dato che Mandela era ormai diventato una leggenda già prima di morire. Un aspetto che invece è stato di solito trascurato è che Mandela, prima di essere arrestato per crimini politici, era un avvocato. E proprio come avvocato cominciò la sua lunga carriera nella difesa dei diritti civili e politici dei più deboli anche nelle aule di tribunale, fondando uno studio legale incentrato sul gratuito patrocinio e sulla difesa dei più deboli.
Non è un caso che un eroe come Nelson Mandela, che aveva scritto nel DNA l’amore per i diritti, la giustizia e per le persone avesse scelto lo studio della giurisprudenza e poi la carriera di avvocato, come trampolino di lancio per altri e più elevati traguardi. E che non sia un caso lo prova il parallelismo perfetto con la vita di Gandhi, altro grandissimo personaggio storico e candidato Nobel per la pace, anch’egli avvocato, tanto da essere adottato qualche anno fa come testimonial involontario in una campagna d’immagine del CNF. E come anche l'Avv. Peter Benenson, che per chi non lo sapesse è stato il fondatore di Amnesty International.
Personalmente ritengo che questi nomi dovrebbero avere più luce anche presso le nostre scuole di avvocatura, quale esempio di mete ideali cui può portare l’amore per i diritti. Quando si parla di avvocati famosi, viventi e non, ci riferiamo per lo più ad autori di manuali e di scuole di diritto (per i non viventi), oppure ad avvocati famosi per il loro fatturato, o peggio ancora perché compaiono spesso in tv.
Forse la qualità della nostra classe forense deriva anche dagli individui che prendiamo a modello, e dal motivo per cui li prendiamo a modello. Non so voi, ma quando mi chiederanno il nome di qualche avvocato famoso, io farò i nomi di Gandhi e Mandela.
sab
09
nov
2013
La reputazione è quello che pensano di noi gli altri; ciò presuppone che gli altri sappiano qualcosa di noi, altrimenti potremmo anche non avere alcuna reputazione, il che potrebbe anche essere peggio che avere una reputazione negativa. Mentre la reputazione nella vita reale è un affare vostro, costruirsi una solida reputazione professionale in rete è relativamente semplice, e richiede dei passi in sequenza e un po’ di tempo e cura, e non necessariamente delle spese (anzi di solito è tutto gratis).
In questo e nei prossimi post illustrerò i passi da fare, tutti accomunati da queste caratteristiche:
-in ogni iniziativa ci sono sempre alternative gratis o a pagamento, e non è detto che quelle a pagamento diano risultati migliori.
-alcune operazioni on-line trovano un loro corrispettivo nella vita reale (come la costruzione di reti sociali), altre invece sono esclusivamente on line (come i siti internet veri e propri).
Il primo passo da fare è inserire il proprio nome in una directory di professionisti.
Che cosa è una directory? Per avere un esempio immediato basta pensare alle vecchie Pagine gialle (che tra l’altro esistono tutt’ora): un elenco di imprese, servizi e professionisti facilmente accessibile e consultabile dal potenziale cliente. La scelta oggi è vastissima, quale scegliere?
Fate un piccolo esperimento: immergetevi nei panni di un possibile cliente alla ricerca di avvocati, e cercate un legale nella vostra città col vostro motore di ricerca (“cerca avvocato a …”). Troverete moltissimi annunci, in genere in cima troverete degli annunci pubblicitari veri e propri (come google ads), e subito sotto le varie “directory” (alcune generaliste, come pagine gialle, virgilio aziende etc, altre specifiche per avvocati, come avvocati italia). Iscrivetevi a tutte quelle che volete (almeno a tutte quelle che si assicurano la prima pagine nel motore di ricerca), ma state attenti a due dati.
Ogni elenco offre la possibilità di scegliere tra un profilo “base”, completamente gratuito, e un profilo “premium”, su abbonamento (nell’ordine di 40-80 euro annui, per capirci). In teoria garantiscono che i profili a pagamento avranno una visibilità maggiore rispetto quelli a pagamento, ma in pratica la differenza non è così netta, perché potete ottenere una visibilità da “premium” anche con un profilo base, se continuate a leggere, e soprattutto perché lo scopo delle aziende che vendono profili non è quello di massimizzare il vostro profitto, ma di massimizzare il loro. Ciò vuol dire che se nella loro directory hanno già venduto nella vostra stessa zona 100 profili, non hanno motivi per negare l’iscrizione al profilo n° 101 (il vostro), il che vuol dire che avete comunque tantissimi concorrenti, per cui forse non vale la pena pagare un profilo apposito. Alcune aziende, proprio per evitare questo, garantiscono un numero massimo di professionisti per zona, ma si tratta piuttosto di convenzioni che di directory, per cui non andiamo fuori tema.
Come ottenere da un profilo base una visibilità da premium?
Innanzitutto costruendo un ottimo profilo; quasi tutti i servizi hanno una piccola app che vi mostra la percentuale di completamento del profilo: il vostro obiettivo è ottenere sempre il 100%.
Riempite sempre tutti i campi, con foto, dati personali, descrizione del vostro lavoro, mappa dello studio, tariffe etc. questo non è il momento di pensare alla privacy: il vostro obiettivo è proprio farvi conoscere, non siate timidi.
Ottenere il 100% non è importante tanto per mostrare il maggior numero di informazioni al cliente, quanto per ottenere un miglior posizionamento nei profili mostrati a chi cerca un avvocato. In altre parole, quando qualcuno nella directory da voi scelta cerca un avvocato nella vostra città, uno dei criteri utilizzati dal sito per scegliere i primi cinque profili da mostrare è proprio la completezza del profilo (anche se non è il criterio più importante).
Un’altra app molto comune è il contatore di visualizzazioni, visite e contatti, molto utile perché vi consente di avere un feedback del vostro profilo (e se lo avete pagato, vi mostrerà se ne è valsa la pena). Si tratta di tre valori diversi, in particolare: a) le “visualizzazioni” sono le volte che il vostro nome è stato mostrato dal sito insieme a quello di tanti altri; b) le “visite” sono le volte che il cliente, tra i tanti profili indicati, ha cliccato proprio sul vostro nome; c) i “contatti” o anche “azioni” indicano che il vostro profilo lo ha convinto talmente tanto, che il possibile cliente ha cercato un contatto personale, “linkando” sul vostro sito o scrivendovi una mail. Complimenti!
Alcuni siti consentono di avere una propria bacheca personale, dove poter aggiornare i clienti sulla novità dello studio (“da oggi anche gratuito patrocinio!”), ma soprattutto per far capire al motore di ricerca interna che “ci siete”, per cui fatevi vivi ogni tanto.
Un'altra possibilità da sfruttare, presente in alcuni di questi servizi, è quella di consentire agli utenti di darvi una valutazione, un voto, o una vera e propria recensione. Inviate questa pagina in particolare ai vostri clienti, ai vostri colleghi, a tutti quelli che vi conoscono. Se occasionalmente fate delle piccole prestazioni gratuite (pareri e simili) chiedete in cambio una valutazione sulla vostra directory, non potranno rifiutarsi.
Quasi tutte le directory, inoltre, comprendono un bottone “condividi”, per poter consigliare il vostro profilo su altri profili (Facebook, Linkedin, Twitter e quant’altro). Sfruttate più che potete questa possibilità, utilizzando innanzitutto i vostri contatti, e poi i contatti dei vostri contatti.
Se seguite questi consigli (vi prenderà un po’ di tempo) il sito che ospita il vostro profilo vi terrà sempre in cima alle visualizzazioni, e avrete un sempre maggiore numero di visite (cosa che potrete controllare periodicamente), in pratica la rete cercherà e troverà clienti per voi. Benvenuti nell’era del marketing 2.0!
mar
22
ott
2013
Sulla carta la riforma dell’Ordinamento Forense (il cui Regio Decreto originale risaliva al lontano 1933, prima della Repubblica) è stata costruita ad un tavolo al quale erano seduti da un lato il Ministero della Giustizia, dall’altro il CNF e l’OUA, organi di raccordo dei singoli ordini e delle associazioni più rappresentative.
Nonostante il formale accordo, mai riforma è stata così osteggiata dai suoi stessi creatori, sotto tutti i punti di vista; la riforma è ampia, e ciascuno di noi può trovare qualche motivo per protestare: la mediazione obbligatoria, l’iscrizione obbligatoria alla Cassa Forense, l’assicurazione obbligatoria, l’esame obbligatorio per diventare cassazionista etc (perdonatemi per la ripetizione dell’aggettivo).
La domanda che mi pongo è: qual è l’atteggiamento giusto (o semplicemente più sensato) del singolo professionista di fronte ad un cambiamento così radicale dell’ordinamento? Resistere a tutti i costi, lamentandosi contro il Ministero (“Piove governo ladro!”), e magari anche contro il CNF e l’OUA, per aver tradito le aspettative degli iscritti? Oppure cedere le armi, rassegnandosi alla situazione e aspettare di vedere cosa succede?
A mio parere c’è un atteggiamento più funzionale di “combattere o morire”, anche se richiede una certa elasticità mentale, ed è quella di ritenere la trasformazione della nostra professione un’opportunità, anziché un attacco personale.
La professione sta cambiando perché doveva cambiare, non è pensabile continuare con un ordinamento di ottanta anni orsono, non è pensabile continuare in una società dove il numero dei concorrenti è cresciuto negli ultimi anni esponenzialmente, in cui l’avvocatura costituisce quasi un refugium peccatorum dei laureati in giurisprudenza. Che senso ha lamentarsi della liberalizzazione della concorrenza, quando già il numero di 247.000 avvocati (ultimo censimento) costituisce di per sé una concorrenza spietata? La verità è che se la riforma avesse tardato di altri dieci anni le strade sarebbero state invase dagli avvocati come gli zombie in “Walking Dead”!
Ben venga quindi la visione dell’avvocato come imprenditore, e dello studio legale come un’impresa, ben vengano i corsi di formazione in marketing, qualità, economia d’impresa etc. L’avvocato tradizionale, di Carneluttiana memoria, non esiste più da tempo, e Carnelutti stesso si stupirebbe di vedere cosa è diventato il suo studio…
L’Avvocato deve diventare necessariamente anche imprenditore di sé stesso non perché costretto nel ruolo (quante volte avrete sentito dire con rammarico ”ormai siamo diventati imprenditori…” come se fosse un’offesa), ma come un’occasione di utilizzare al meglio il nostro bagaglio culturale, la nostra intelligenza e creatività.
Quando l’onda del cambiamento sta per travolgerti, la cosa migliore non è lasciarsi annegare, né sperare di stare a galla, l’atteggiamento giusto è cavalcare l’onda.
ven
27
set
2013
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38034 depositata il 17 Settembre 2013, ha ribadito che l’utilizzo del collare antiabbaio costituisce maltrattamento di animali.
Per chi non lo sapesse, il collare antiabbaio (come quello nella foto) è un dispositivo che emette scariche elettriche a basso voltaggio ogni volta che il cane abbaia, così da indurlo a non abbaiare più (almeno questo è quello che dicono i produttori).
A parte il fatto che personalmente ritengo che anche costringere un cane a non realizzare un istinto primario come abbaiare sia maltrattamento, farlo attraverso scariche elettriche è evidentemente un metodo da lager. Pure i padroni (per lo più allevatori) che utilizzano questo sistema affermano che, su invito del produttore, hanno provato il collare sul braccio, e la scossa è di bassissimo voltaggio (c’è anche un dispositivo per indurla “a comando”). Gli stessi padroni, però, si guardano bene dal provarlo al collo, né a tenerlo sempre per abituarsi a tacere...
Questi collari del resto sono da sempre contestati, e il loro utilizzo è stato più volte vietato da ordinanze del Ministero della Salute, tutte sospese dal Tar Lazio si ricorsi dei produttori (per motivi non di merito, comunque).
La sentenza si segnala anche perché mette in luce un principio importante, ossia che il reato di maltrattamento permane anche in mancanza di dolo diretto, ossia anche a prescindere da qualunque intenzione del padrone.
mar
17
set
2013
In questi giorni sui principali media gira uno spot che invita i cittadini a rispondere ad un piccolo questionario su alcune possibili modifiche alla nostra Costituzione.
Spinto dalla curiosità e dal mio senso civico sono andato a vedere su www.partecipa.gov.it, e mi è stata data l’opportunità di rispondere ad alcune domande a risposta multipla su questioni fondamentali del nostro paese, quali forma di Stato e di Governo, presidenzialismo, bicameralismo etc. Ad ogni domanda e alla fine di ogni questionario (sono due, uno breve e uno lungo) c’è anche la possibilità di aggiungere qualche riga di commento.
Oltre che l’opportunità di ripassare un po’ di diritto pubblico, che non fa mai male, l’iniziativa si segnala per lo spazio dato a nuove possibilità di democrazia diretta on-line, ideale per noi internauti, con la proposta a nuove apertura di questa forma di comunicazione anche tra governo e cittadini (come le raccolte di firme on-line per referendum e/o proposte di legge).
Per facilitare la risposta anche ai non tecnici, ogni domanda è completata da una scheda che spiega chiaramente di cosa si sta parlando, e il sito è arricchito da una sezione di documenti vari, tra cui la costituzione e vari supporti “didattici” (per i bambini c’è anche un “gioco dell’oca” ambientato al Quirinale: il gioco del Quirinale!).
C’è un quesito (o meglio, una possibile risposta) che mi ha fatto riflettere più degli altri: alla domanda se si dovessero incrementare (o creare) degli strumenti di democrazia diretta in rete, era possibile rispondere “No, dovrebbero essere lasciati alla società civile”. Premetto che non è stata la mia risposta, ma mi piacerebbe conoscere il punto di vista degli internauti “duri e puri”, per i cui Internet dovrebbe continuare ad essere una specie di terra di nessuno, libera da leggi e costrizioni.
Voi che ne pensate?
lun
02
set
2013
Il nome di una persona è un elemento fondamentale, tanto più che, di solito, dura per tutta la vita, quindi è grande la responsabilità dei genitori che decidono come “battezzare” la prole. Tuttavia ci sono dei limiti ben precisi, per il nostro paese espressi dalle norme sull’anagrafe (da ultimo il DPR 396/2000).
Innanzitutto è vietato imporre al bambino:
- lo stesso nome del padre vivente,
- lo stesso nome di un fratello o di una sorella viventi,
- un cognome come nome,
- nomi ridicoli o vergognosi.
Quanto alle prime indicazioni, servono evidentemente ad evitare insidiose omonimie, per cui non è possibile chiamarsi Mario Junior, come si usa negli Stati Uniti.
Quanto all’imporre nomi ridicoli e vergognosi, in pratica ci si rimette al buon senso dei genitori, perché non è più previsto (come fino al 2000) che l’ufficiale giudiziario possa rifiutare il nome e imporne uno “normale” d’ufficio. Oggi se i Sigg. Lampa insistono per chiamare i loro figli Dario e Dina, con infelice effetto finale, l’ufficiale di stato civile deve procedere alla registrazione, e se ritiene il nome ridicolo segnalarlo al Procuratore della Repubblica, il quale, se ritiene, può rettificare il nome sostituendolo con un altro con un apposito giudizio di rettifica.
A tal proposito tutti ricordano il caso di quei genitori che volevano a tutti i costi chiamare il figlio Venerdì, e a cui il giudice impose il nome Gregorio (il patrono del suo giorno di nascita).
Il nome può essere costituito da uno, due o la massimo tre “prenomi” (così si definisce il nome di battesimo, opposto al cognome), non separati da virgola, e a tutti i fini di legge vengono considerati come nome singolo.
E’ fondamentale che il nome corrisponda al sesso del bambino, cosa che sembra ovvia, ma che può creare problemi per i bambini con nomi come “Giovanni Maria” e bambine di nome “Andrea”.
La questione era così frequente che è stata promulgata una apposita nota del Ministero dell’Interno (circolare Min. Int. 27/2002), ispirata al buon senso, ossia all’utilizzo comune del nome nel nostro paese, per cui è consentito l’utilizzo di Maria ad un bambino come secondo nome, preceduto da un nome maschile (come Giovanni Maria), mentre è escluso che si possa battezzare una bambina italiana come “Andrea”, che in Italia è un nome esclusivamente maschile, a differenza che nel resto del mondo (come in Germania Spagna o Stati Uniti).
E se i genitori, per l’appunto, sono stranieri?
In tal caso sono previste delle eccezioni ad hoc: nel caso di nomi da assegnare a bambini di nazionalità estera nel nostro Paese deve applicarsi la normativa del paese di provenienza, in attuazione di specifiche norme di diritto internazionale privato. Quindi una bambina di nazionalità tedesca o spagnola potrebbe tranquillamente essere chiamata Andrea anche se nata e registrata in Italia.
Possono anche essere utilizzati nomi tipici del paese di provenienza, purché siano trascritti con l’alfabeto italiano, anche se è ammesso l’utilizzo di accenti particolari (dieresi, accenti circonflessi etc.).
Ai figli di cui non sono conosciuti i genitori non possono essere imposti nomi o cognomi che facciano intendere l’origine naturale, quindi è ormai preclusa quell’antica abitudine di dare ai bambini non riconosciuti cognomi quali: Esposito e Diotallevi, che pure ancora oggi hanno una notevolissima diffusione nazionale.
ven
12
lug
2013
Il cd. “Decreto del fare” (DL 69/13), tra le molte novità proposte, ha stabilito anche l’impignorabilità della prima casa, novità sbandierata dai media come una vittoria della società civile all’insegna della solidarietà, contro la crisi. E’ il caso di fare chiarezza.
Innanzitutto l’impignorabilità riguarda solo lo Stato e il suo “braccio esecutivo”, ossia Equitalia, mentre il limite non vale per i privati, tra cui, soprattutto, le banche, i principali creditori dei proprietari. E non potrebbe essere diversamente: se un giorno un Decreto Legge dovesse impedire alle banche di pignorare le case d’abitazione, inevitabilmente le banche non erogherebbero più i mutui per comprarle. Nei confronti di tutti i creditori diversi dallo Stato, dunque, la casa d’abitazione resta pignorabile, anche per crediti esigui, in base al principio per cui il debitore risponde del credito con tutti i suoi beni presenti e futuri.
In secondo luogo la prima casa è impignorabile se è anche l’unica. Se il debitore possiede altri immobili, questi potranno essere pignorati da Equitalia, anche se solo per crediti superiori a € 120.000 (prima del DL il limite era di € 20.000).
In terzo luogo la casa d’abitazione è considerata tale solo se: 1) è accatastata come immobile abitativo; 2) il debitore vi risiede anagraficamente (oltre che di fatto).
Sono escluse dal beneficio ville e castelli, pignorabili anche ad onta del nobile decaduto che si ostina a risiedervi, circondato dai fantasmi, dai ricordi e dai debiti.
gio
27
giu
2013
La domiciliazione è un rapporto di colleganza esclusivo dell’avvocatura, in quanto non esistono rapporti simili nel mondo delle professioni. Per chi non lo sapesse, quando un avvocato ha necessità di operare in un tribunale diverso dal proprio, può decidere di spostarsi e viaggiare per tutti gli adempimenti (caricando al cliente tutte le spese) oppure affidarsi ad un collega, che li svolgerà per lui.
Non si tratta di un vero e proprio rapporto di mandato professionale, ma piuttosto di un rapporto basata sulla fiducia e sulla deontologia. L’avvocato che si affida ad un altro (ossia il dominus) risponde di fronte al cliente anche del suo operato, così come risponde al domiciliatario del fondo spese (che di norma il domiciliatario chiede al dominus, non certo al suo cliente, con cui di solito non intrattiene alcun rapporto). Gli adempimenti che il domiciliatario compie in nome del dominus possono essere i più svariati, e possono andare dal fare una semplice fotocopia, alla sostituzione in una udienza, fino all’adempimento di tutta l’attività “materiale” in tribunale, per cui il domiciliatario diventa un sostituto in tutto e per tutto del dominus.
E’ sintomatico che un rapporto del genere sussista proprio tra avvocati, professionisti che per definizione sono “l’un contro l’altro armati”, mentre non avvenga, per esempio, tra medici e/o ingegneri, restii alle collaborazioni “a distanza” (anzi, restii alle collaborazioni). Naturalmente di solito si preferiscono colleghi che già si conoscono, magari ex colleghi d’università che hanno preso strade diverse, ma è frequente anche il contrario, ossia che dalla domiciliazione con un estraneo possa nascere un’amicizia basata sulla stima e sulla fiducia.
Cosa spetta al domiciliatario?
Nel regime del precedente tariffario, allo stesso spettavano i diritti di procuratore, nei limiti di quello che effettivamente faceva. Per intenderci, era stabilita una voce per ogni singola udienza, accesso agli atti, notifica, deposito etc, per cui era facile fare il conto, e difficile sindacare, tanto più che si trattava di voci fisse.
Con l’abrogazione del vecchio tariffario e della distinzione tra diritti di procuratore ed onorario d’avvocato, il tutto è lasciato alla libera contrattazione delle parti (che sono, lo ricordo, il dominus e il domiciliatario). E’ anche frequente lavorare in convenzione, specie nel caso di domiciliazioni frequenti, stabilendo un fisso per ogni incarico, indipendentemente dall’attività in concreto svolta.
mer
12
giu
2013
Dal 18/6/2013 entrano in vigore le nuove norme condominiali, varate con la L 11/12/2012 n. 220, riforma storica soprattutto perché la materia era rimasta identica a se stessa da ben 70 anni, e affidata esclusivamente al Codice Civile.
Non è un caso che la materia condominiale costituisca una sensibile percentuale delle liti che intasano il nostro sistema giudiziario, e che le soluzioni delle varie problematiche siano finora state affidate esclusivamente alla giurisprudenza, soprattutto a quella più creativa. Se poi la riforma mitigherà o accentuerà ancora di più le liti in condominio prima e in tribunale poi, questo è tutto da vedere.
Tra le principali direttrici della riforma possiamo segnalare l’accentuazione del carattere soggettivo del Condominio, che è e rimane un ente di gestione, ma soggetto ad alcune formalità, tra cui l’obbligo di avere un proprio Codice Fiscale Condominiale, un proprio Conto Corrente Condominiale sul quale transitano tutti i movimenti di denaro del condominio, un’assicurazione da responsabilità civile.
Il Condominio è tenuto inoltre a tenere un bilancio condominiale, con tanto di stato patrimoniale e relazione accompagnatoria, da tenere a disposizione dei condomini. Deve inoltre tenere un registro di anagrafe condominiale, con l’indicazione di tutti i condomini, e conservare copia di tutti i verbali e di tutte le mozioni.
Opzionale è invece la nomina di un amministratore, obbligatoria quando i condomini sono più di otto (anziché più di quattro). Ad affiancare l’amministratore, quando i condomini sono più di 11, potrà esservi un consiglio di condominio di tre membri, con funzioni consultive e di controllo sull’operato dell’amministratore.
Anche le nuove tecnologie possono influire slla vita del condominio, dato che è possibile attivare un sito web condominiale, gestito dall’amministratore, sul quale ognuno dei condomini, con un’apposita password (per salvaguardare la privacy) potrà vedere i bilanci, i verbali d’assemblea e quanto altro. Nella stessa ottica gli avvisi di convocazione di assemblea possono essere inviati a mezzo PEC, naturalmente ai condomini che ne siano in possesso.
Sono state modificate al ribasso le quote di maggioranza necessarie per l’approvazione in prima e seconda convocazione, e rinforzati i poteri dell’amministratore con la possibilità di erogare delle sanzioni pecuniarie ai condomini indisciplinati.
Tra le novità più interessanti vi è la prededuzione dei crediti condominiali in caso di fallimento o altre procedure concorsuali subite dal singolo condominio; in particolare i crediti condominiali sono preferiti non solo rispetto ai crediti chirografari, ma persino a quelli privilegiati.
Un altro aspetto che più volte era emerso in giurisprudenza è la solidarietà dei condomini rispetto ai terzi. Spessissimo succedeva che ad esempio un condomino si rifiutasse di pagare la propria quota di riscaldamento comune, e che gli altri condomini erano costretti a coprire la sua quota, oppure a subire l’esecuzione da parte del fornitore, che, data la solidarietà tra condomini, poteva agire contro chiunque, non necessariamente contro il condomino moroso.
Con la riforma, invece, la solidarietà passiva tra i condomini è sussidiaria rispetto alla preventiva escussione del condomino moroso, purché l’amministratore comunichi ai creditori il nome dell’inquilino moroso.
Confermata inoltre la possibilità di ottenere un decreto ingiuntivo contro il condomino moroso sulla base dei verbali di approvazione del bilancio, salvo che ora non costituisce più una scelta, ma un obbligo per l'amministratore, trascorsi sei mesi dall'approvazione.
mar
28
mag
2013
L’ordinamento europeo viene spesso usato e abusato per aggirare i limiti imposti dall’ordinamento italiano. Dopo l’annosa questione dell’abilitazione professionale in Spagna (dove per diventare Abogados non serve -o meglio, non serviva- un vero esame, né due anni di pratica) ecco spuntare il divorzio in Romania. Trattasi di un divorzio breve, anzi di un vero divorzio-lampo, in quanto secondo le società che offrono questo servizio il divorzio si può ottenere in soli 6 mesi (quando nello stesso tempo in Italia non si ottiene la separazione, o un decreto ingiuntivo, o un qualunque provvedimento…).
Facciamo un rapido raffronto tra ordinamenti: secondo la legge italiana, di norma possono chiedere il divorzio le coppie già separate da almeno tre anni (termine che decorre dalla prima udienza presidenziale), e otterranno la pronuncia alla fine di un procedimento che ricalca, nelle forme e nei tempi, quello di separazione, con le medesime differenze tra richiesta consensuale/congiunta o giudiziale.
In Romania è invece possibile ottenere il divorzio senza prima passare dalla separazione, e possono accedere alla procedura i coniugi risiedenti in Romania da almeno tre mesi.
Come aggirare l’ostacolo e accedere alla giustizia rumena? Basta stipulare un (simulato) contratto d’affitto in Romania per ottenere un (pretestuoso) certificato di residenza in Romania e il gioco è fatto, in barba alle leggi italiane!
Il servizio è accessibile, naturalmente, anche ad uno solo dei coniugi contro l’altro, e a tal proposito cito testualmente da uno dei siti che propone questo servizio: “Notasi che nel caso di procedura "Giudiziale" attivata da un coniuge interessato, l'altro coniuge è obbligato a convenire al Tribunale Romeno, per cui il primo coniuge ha la possibilità di operare con Forza ed ottenere il Massimo, spiazzando il secondo coniuge, sorpreso e non preparato a dovere andare in Romania, trovare rapidamente un Avvocato in Italia ed un altro in Romania, organizzarsi, ecc..”.
E’ evidente che i sistemi di riconoscimento delle sentenze straniere non sono finalizzate allo scopo di impedire ad una parte di partecipare consapevolmente ad un processo a favore dell’altra, ma semmai allo scopo contrario, per cui l’esempio sopra costituisce, più che un abuso, una perversione del processo, e una ulteriore occasione di decadimento dell’immagine della classe forense.
ven
26
apr
2013
Se scrivete un bellissimo articolo ma nessuno lo legge, non è una pubblicazione, e non vi serve a niente. Se scrivete un bellissimo articolo e lo pubblicate sul vostro sito o su qualche Social Network lo avete sì pubblicato in modo che altri possano leggerlo, ma non vale come “pubblicazione”, perché a parte voi nessuno lo ha controllato prima di pubblicarlo. Un articolo vale come “pubblicazione” se è stato pubblicato su una rivista giuridica ufficiale, cioè registrata in un tribunale italiano come periodico e avente ad oggetto il diritto, diretta da un giurista. Prima di venire pubblicata su tale rivista il vostro articolo verrà letto e verificato da un esperto della materia, per accertare non solo che non diciate stupidaggini sull’argomento, ma anche che sia scritto in buon italiano, corretto stilisticamente e, sintetizzando, “pubblicabile”.
In Italia le riviste giuridiche sono di due tipi, cartacee ed elettroniche. Quelle del primo tipo (ad es. “Il Foro Italiano”) sono quelle tradizionalmente più prestigiose, che pubblicano pochi articoli, ma di altissima qualità. Per avere una speranza di essere pubblicati lì dovreste essere docenti universitari, avvocati cassazionisti e un terzo titolo a scelta, per cui vi sconsiglio quella strada.
Poi ci sono le riviste in formato elettronico (altalex, diritto.it, leggioggi.itetc.), che invece, proprio per la facilità di fruizione della rivista, pubblicano mensilmente centinaia e centinaia di articoli, e danno la possibilità anche ad autori sconosciuti di farsi leggere e conoscere. Esistono anche delle riviste di settore, che trattano solo della vostra materia preferita, badate solo che la rivista abbia i requisiti che ho detto prima, ossia che sia registrata in tribunale, che abbia ad oggetto il diritto, e che sia diretta da un giurista. Questi requisiti in realtà non sono richiesti dalla normativa professionale sui CF, ma da quella sui titoli per concorso a dottorato di ricerca, che mi sembrano un ottimo standard di riferimento.
Ovvio che pubblicando centinaia di articoli ogni mese la qualità non sia sempre altissima, perché non può esserlo. Voi nel vostro piccolo cercate di alzare la media, scrivendo un articolo di ottima qualità. Per aumentare la probabilità di essere pubblicati inviate insieme all’articolo un vostro curriculum e una breve presentazione dell’articolo, magari un “abstract” che faccia capire a colpo d’occhio di cosa parlate.
Naturalmente l’articolo andrà firmato. Se la rivista che vi ospita ve lo consente, l’ideale sarebbe firmare con un collegamento ipertestuale, in modo che cliccando sul vostro nome l’improbabile lettore si trovi collegato al vostro sito, al vostro profilo Linkedin, alla vostra mail o a quel che vi pare.
Una volta pubblicato il vostro articolo aspettate a fare un sospiro di compiacimento, ma fate un po’ di “post-produzione”. Infatti anche la pubblicazione, nonostante il nome, ha bisogno di pubblicità. Postate il vostro articolo (un collegamento ipertestuale esatto al link) sul vostro sito e/o blog se ne avete uno, sul vostro profilo Linkedin e/o Facebook (magari entrambi), se siete al primo articolo potreste anche permettervi di fare una mailing list a parenti ed amici (del tipo “Leggi il mio primo articolo!”).
Naturalmente segnatevi ben bene per conto vostro la pubblicazione, ai fini dei crediti formativi, concorsi etc. Per chi non lo sapesse una pubblicazione si segna con titolo, rivista, codice ISBN della rivista, data di uscita, link esatto (ossia l’intera riga www. etc.).
Adesso potete fare un sorriso di autocompiacimento: siete diventati ufficialmente Autori!
lun
22
apr
2013
Deve essere chiaro che cosa si intende per pubblicazione giuridica, perché fraintendere il concetto potrebbe annullare tutti i potenziali vantaggi. Per cominciare, quello che state leggendo adesso NON è una pubblicazione, ma solo un post su un blog. Per pubblicazione intendo un articolo giuridico impostato come una piccola tesina, con tanto di indicazioni legislative, giurisprudenza e bibliografia, note a margine e richiami etc. (pensate un po’ a quello che avete dovuto fare per la tesi, e immaginatelo su piccola scala). Il vostro articolo dovrà essere come quelli sulle riviste giuridiche che leggevate all’Università, o anche come quelli delle riviste on-line. Pianificate innanzitutto l’argomento, perché dovrà essere qualcosa su cui vi sentite preparati, o che vi interessa molto. Cercate e selezionate tutto il materiale, soprattutto leggi, sentenze e bibliografie, con il riferimento esatto, e infine scrivete. Se così vi sentite più sicuri, riprendete un passo della vostra tesi, ma adattatelo ad una pubblicazione breve (max 5-10 pagg, meglio di meno) e soprattutto aggiornatelo.
State attenti anche al copywriting, ossia l’impostazione grafica del vostro articolo: il carattere scelto, le impostazioni del paragrafo, le note, titoli e sottotitoli, l’eventuale in testazione etc. Molto meglio non fare gli originali e restare sul classico, ossia Times New Roman giustificato, con titolo che risultino così anche dallo stile (ossia nella mappa documento). E’ possibile che la rivista che decida di pubblicarvi lo faccia stravolgendovi tutta l’impostazione, cosa che è un po’ seccante. Per evitare di fare del lavoro inutile, prima di inviare il lavoro leggete gli altri articoli pubblicati e usate le stesse impostazioni. Alcune riviste indicano espressamente le impostazioni grafiche da usare per gli articoli, risolvendovi il problema.
Che cosa scrivere? Questo è un dubbio che attanaglia quotidianamente tutti gli scrittori di professione. Fortunatamente il diritto è sempre in continua evoluzione, e non mancano mai argomenti da discutere. Tuttavia nella bibliografia tradizionale di un giurista le pubblicazioni sono tradizionalmente di cinque tipi: dottrina, nota a sentenza, commento a legge, relazione a convegno, recensione di un libro.
La dottrina pura è costituita da dissertazioni su un argomento qualunque, nel quale esponete anche una vostra personale tesi; è la pubblicazione tradizionale, e dovrebbe essere anche quella di qualità migliore; per un esempio personale v. natura mista dell'assegno divorzile.
Le note a sentenza sono commenti su recenti pronunce, sulle quali non mi dilungo, ma rinvio a condizioni di riabilitazione del fallito.
Il commento ad una legge rappresenta il vostro pensiero su una novità introdotta dal legislatore; non deve essere necessariamente negativa o positiva, purché abbiate qualcosa da dire: evitate la spiegazione articolo per articolo; per un esempio v. nota critica alla composizione della crisi da sovraindebitamento.
La relazione ad un convegno giuridico è meno semplice da scrivere di quanto sembra. Dando per scontato che presenziate all’evento e vi appuntate tutto (magari con un registratore), e che prendete anche tutto il materiale disponibile (brochure, relazioni, locandina…), nella relazione dovete dare all’evento tanto spazio quanto al contenuto dello stesso. Indicate quindi l’ente che ha organizzato l’evento, la location, i relatori con una breve presentazione per ciascuno (magari un piccolo curriculum in nota) e infine un riassunto delle relazioni. In partica il lettore deve sentirsi come se fosse stato presente al convegno.
Questo tipo di pubblicazione ha anche altri vantaggi; innanzitutto vi permette di superare il blocco dello scrittore, in quanto non dovrete studiare (non molto, almeno) né lavorare di fantasia, ma semplicemente prendere appunti su quello che ascoltate; inoltre se relazionate gli incontri formativi in un colpo solo raddoppiate i crediti presi in un giorno. Infine, per farvi conoscere anche dai vostri colleghi, potrete far distribuire la relazione dal vostro Ordine, per i colleghi assenti, con un ulteriore ritorno di immagine.
Per un esempio v. rendere giustizia: legalità, responsabilità e professione.
Anche scrivere la recensione ad un libro giuridico potrebbe essere meno semplice di quello che pensate; dando per scontato che il libro lo abbiate letto veramente e per intero, deve trattarsi di un libro recente, non ancora recensito ufficialmente, e su un argomento che conoscete (se vi professate civilisti non varrà a nulla la vostra recensione di un trattato di criminologia). Non deve trattarsi né di una stroncatura né di una celebrazione entusiastica, ma di una recensione oggettiva.
Non ho ancora scritto recensioni (pur essendo stato soggetto a recensione…), ma un esempio veramente efficace di recensione è quella a diritto delle comunicazioni elettroniche.
ven
19
apr
2013
Perché scrivere una pubblicazione giuridica? Il primo e fondamentale motivo per cui dovreste farlo è per farvi conoscere, per far girare il vostro nome associato ad un’attività positiva, in sostanza per fare marketing legale. Pubblicando un articolo (vedremo poi di che tipo), cercando il vostro nome in rete un potenziale cliente potrebbe vederlo associato alla pubblicazione, e già dal titolo potrebbe intuire in che ramo del diritto siete specializzati. Il suo pensiero, almeno inconsciamente, deve essere questo: “se ci ha scritto un articolo, almeno su questo argomento ne capirà qualcosa!”. Pensateci bene: non serve a nulla essere esperti di qualcosa, magari i più preparati della vostra zona, se nessuno lo sa!
Il secondo motivo per cui dovreste scrivere una pubblicazione è che contemporaneamente realizzate dei crediti formativi che vi verranno riconosciuti dal vostro Ordine. La normativa professionale prevede che una parte (non tutti, c’è un limite massimo) dei crediti formativi obbligatori può essere acquisita con delle pubblicazioni. Spetta al singolo Ordine decidere se e quanti crediti assegnare alle vostre pubblicazioni, non esistono standard precisi, tuttavia più alta è la qualità dei vostri scritti più saranno i crediti acquisiti.
Il terzo motivo per cui dovreste scrivere e pubblicare un vostro articolo è per mettervi in gioco. Dentro ogni avvocato è nascosto un piccolo scrittore (magari nascosto molto bene), e l’ultima volta che avete scritto qualcosa (atti a parte) è stata la tesi di laurea. E’ il caso di rinfrescarvi le idee e riprenderci la mano, non soltanto ne gioverà la vostra immagine, ma la pratica di scrivere vi aiuterà anche nel lavoro di tutti i giorni, dal redigere una comparsa ad un semplice verbale d’udienza.
mar
15
gen
2013