Vi sentite più chimici o poeti? Hackers!
Riflessioni sul rapporto tra diritto, professione, tecnologia e alienazione
Anno 1999, Facoltà di Giurisprudenza di Catania, Cinema Ritz (eravamo in 1400 divisi in 4 corsi, per capire…), lezione di Filosofia del Diritto. Il professore ci chiese: “Vi sentite più chimici o più poeti?”.
Silenzio generale.
“Intendo dire, quando studiate i manuali di diritto, i codici e le sentenze, vi sentite più simili a chimici o a poeti?”
La stragrande maggior parte di noi –incluso il sottoscritto- rispose poeti, il prof. si girò verso il suo assistente sorridendo e disse: “Allora forse c’è speranza!”.
Eravamo degli illusi, lui e noi, e più previgente –e pessimista- si sarebbe dimostrato qualche settimana dopo Remo Bodei in un convegno, sempre a Catania, sul rapporto tra uomo e tecnologia. Se facesse la stessa domanda oggi, risponderei che mi sento un hacker, costretto ad interagire con macchine, software e algoritmi, e non con esseri umani.
La tecnica, e soprattutto l’informatica, ha preso il sopravvento nelle nostre vite e nella nostra professione, e quello che è successo nell’ultimo anno è stato, dal punto di vista dell’intelligenza artificiale, uno stress test: funzionano. Ci permettono, entro certi limiti, di vivere e lavorare “quasi” come prima, pur stando a casa, e l’intelligenza artificiale progredisce sempre più, permettendoci di fare cose che oggi nemmeno immaginiamo.
Riassumo brevemente riferendomi alla professione di avvocato, ma ciascuno di noi può fare paragoni col proprio lavoro.
Possiamo depositare e prelevare documenti dalla cancelleria e pagare i relativi diritti senza vedere il cancelliere (quasi come se prima non lo sopportassimo).
Possiamo fare udienza via webcam senza uscire dallo studio, e in molti casi con scambio di memorie scritte, senza vedere né il giudice né controparte (e valga quanto sopra).
Possiamo fare formazione a distanza, riunioni a distanza, mediazioni a distanza, senza neanche la scocciatura di doverci stringere la mano alla controparte ostile.
E l’elenco potrebbe essere molto più lungo, ovviamente.
Quello che è interessante è la varietà di atteggiamenti umani di fronte a tale evento. Pochi –per lo più anziani- fanno finta di non vedere il cambiamento, e si trincerano dietro la loro esperienza, salvo chiedere di nascosto ai nipoti come funziona whatsapp.
Molti sono entusiasti del progresso, felici dell’idea di poter finalmente lavorare da casa: le magnifiche sorti e progressive! Ho letto il post di una collega felice di poter finalmente passare più tempo a casa con i figli grazie al processo a distanza; e devo dire che l’aumento del tempo libero è una circostanza che abbiamo notato tutti noi avvocati, anche se con meno entusiasmo della collega, col timore che il tempo libero diventi definitivo.
Altri sono spaventati e decisamente contrari all’idea che tali innovazioni, nate durante una lunga emergenza, diventino definitive, e preoccupati dalle conseguenze sociali a lungo termine, come i luddisti di fronte all’avvento dei primi telai a vapore.
La realtà è che, indipendentemente dalla risposta umana, l’intelligenza artificiale e la tecnologia prenderanno comunque il sopravvento, e noi avvocati saremo costretti a cambiare in funzione di ciò, o faremo la fine dei dinosauri (già immagino un museo, con un manichino in toga all’ingresso, centinaia di volumi di “Foro Italiano”, una teca con martelletto e candele di cera, e la marche Napoleone appese ai quadri).
Tempo addietro anch’io ero tra quelli inizialmente entusiasti dei primi esperimenti col PCT, certo che un giorno i software avrebbero sostituito del tutto i cancellieri (non me ne vogliano quelli che mi conoscono); oggi leggo che la Corte d’Appello di Brescia sta sperimentando un software di giustizia predittiva (leggi), che sostanzialmente potrebbe rendere inutile il lavoro di avvocati e giudici (quando si dice il karma…).
Abbiamo studiato l’interpretazione delle norme, l’analogia, la deduzione e magari l’intuizione, e invece dovremmo studiare gli algoritmi, i diagrammi di Venn, la ruota di Deming: dall’interpretazione alla procedimentalizzazione. Tra l’altro l’introduzione di un software porrà fine alla diversità di interpretazioni tra un foro e l’altro: oggi diciamo la frase tot capita, tot sententiae sospirando con rammarico, un giorno la diremo sospirando di nostalgia.
Certamente tutto ciò, sia nell’immediato sia a lungo termine, provoca alienazione e spersonalizzazione. Quando i Tribunali hanno ripreso l’attività ero contento di non dover fare un’ora di macchina e due o tre ora di fila affollato con i colleghi solo per poter scrivere si insiste in atti, mentre oggi sento addirittura la mancanza di quei tempi, che non credo torneranno più; dovremo trovare nuove forme di socializzazione, e mostrare capacità di resilienza e soprattutto di adattamento.
Consiglio ai colleghi (soprattutto ai più riottosi e meno informatizzati) formazione specifica continua, dato soprattutto che la tecnologia che crediamo di conoscere domani sarà già vecchia. Personalmente consiglio avvocato360, che offre gratuitamente formazione specifica specializzata, e non sugli strumenti che usiamo oggi, ma su quelli che useremo domani (blockchain, intelligenza artificiale, giustizia predittiva e così via) dal punto di vista del legale, offrendo spunti di riflessioni interessanti (e a volte anche spaventosi).
Quanto al rapporto tra uomo e macchina, ogni volto che mi si blocca il computer o non funziona il PCT mi sovvengono in mente due aneddoti, che saranno sempre validi in ogni epoca:
1) il primo computer e il primo software sono stati inventati con carta e penna da un essere umano, col proprio cervello e le proprie mani; i computer non sono in realtà più intelligenti di noi (almeno per ora), sono solo incredibilmente più veloci a svolgere operazioni che noi gli abbiamo insegnato a fare.
2) il protagonista di “Guida galattica per autostoppisti” spesso si infuriava col proprio robot, che rispondeva solo ad istruzioni chiare e precise, e reagiva a modo suo; quando ciò accadeva, lui si metteva a contare (letteralmente: uno, due, tre), non per farsi sbollire la rabbia, ma per ricordare a sé stesso che, se un uomo è in grado di contare, può ancora fare a meno di un robot o un computer che pensi per lui: provate a farlo anche voi.
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