L’”errore fatale” nel PCT e la remissione in termini
(nota di commento a Ordinanza Trib. Enna 15/2/2018)
Il PCT è in vigore già da un po’ ed ormai abbiamo imparato a conoscerne le sfumature e le insidie, tuttavia l’intoppo è sempre possibile e la giurisprudenza nella recente materia è ancora scarsa, ragion per cui aggiungo un piccolo tassello citando, ad uso dei colleghi, l’indirizzo del Tribunale di Enna, che conferma quanto già fatto da altri tribunali di merito, e del resto repetita iuvant.
In un caso recente ho commesso la leggerezza di depositare telematicamente una memoria ex art. 183, c. 6 n. 2 CPC l’ultimo giorno utile, e per giunta in orario di chiusura delle cancellerie (seppur in orario utile per il deposito, ovviamente).
Pochi minuti dopo il deposito ho ricevuto la ricevuta di accettazione, e poco dopo la ricevuta di avvenuta consegna.
A questo punto tiravo un sospiro di sollievo perché mi ritenevo ormai al sicuro, anche se non capivo perché non ricevessi la terza PEC (l’”esito controllo automatico deposito”); immaginavo che fosse dovuto alla chiusura delle cancellerie, anche se sapevo che, come dice il nome stesso, la terza PEC è generata automaticamente dal sistema.
Il sistema genera la terza PEC solo il giorno dopo, segnalando un errore imprevisto, accompagnata dalla quarta PEC, quella che nessuno di noi vorrebbe leggere: ACCETTAZIONE DEPOSITO – atti rifiutati – ERRORE FATALE.
Se non fosse per il fatto che il termine era scaduto a mio danno avrei sorriso per l’uso nel PCT di un’espressione così grave (in fondo nessuno aveva incontrato il proprio fato ed era morto), ma il problema era serio, ed era interamente mio. Come perfezionare il deposito (che tecnicamente avevo effettuato nei termini)? E a cosa era dovuto l’errore?
Quanto alla seconda domanda vi anticipo subito che non esiste una risposta precisa, anzi, non esiste proprio una risposta. Nonostante l’ottima assistenza tecnica “da remoto” fornitami a distanza dal personale del software da me utilizzato (ossia SLpct, e ci tengo a ribadire che ho avuto un’assistenza eccezionale, nonostante si tratti di un software gratuito), non è stato possibile individuare l’”ERRORE FATALE” che ha causato cotanto scompiglio.
Forse la firma elettronica? Forse gli allegati in pdf? Non è stato possibile saperlo, e ciò mi angosciava non poco, dato che, non sapendone la causa, non avrei potuto adoperarmi con alcuna cautela per il futuro (per la cronaca, pochi giorni dopo ho effettuato un altro deposito telematico con le stesse identiche modalità di prima, e naturalmente è andato tutto a posto).
Al di là della curiosità tecnica, restava il problema del mancato deposito. Visto che il termine era ormai scaduto, l’unica possibilità era chiedere una remissione in termini ex art. 153, c. 2 CPC, e non alla prima occasione utile (che nel mio caso poteva essere la terza memoria, che invece serve a tutt’altro), bensì con un’istanza apposita, nella quale riportavo il testo dell’art. 13 del D.M. 21/2/2011, n. 44 [1] (le regole tecniche sul Processo Telematico), secondo cui gli atti e documenti informatici “si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia”, e al comma 2 che “la ricevuta di avvenuta consegna attesta […] l'avvenuto deposito dell'atto o del documento presso l'ufficio giudiziario competente”.
A supporto della richiesta, non trovando di meglio citavo anche Trib. Bologna, decr. n. 13725 del 12/12/2016[2], che confermava la mia tesi. Naturalmente allegavo all’istanza anche tutte le PEC (in formato .eml) ricevute dalla cancelleria, con attestazione di conformità. Non vi nego che, nonostante non sia superstizioso, al momento dell’invio ho incrociato le dita, e da allora mantengo questa abitudine, visto il proseguio.
Controparte ha ribattuto alla mia istanza alla prima occasione utile (ossia, nello specifico, con la memoria 183 n. 3 CPC) chiedendo il rigetto dell’istanza sull’assunto che, non avendo io depositato, insieme all’istanza, anche l’atto “mancato” (cosa che peraltro mi era proprio tecnicamente impossibile, ricevendo sempre lo stesso esito), non era possibile verificare se l’errore fatale fosse dovuto ad errori materiale provocati (intenzionalmente o meno) dall’utente stesso, per esempio rinominando l’atto, o inserendo caratteri speciali nell’oggetto della PEC, come già osservato, ed in subordine, in caso di riammissione ai termini, chiedeva di essere anch’egli riammesso in termini per poter ribattere alla mia memoria con una sua successiva.
Peraltro depositare -oltre allo “storico” del tentativo di deposito -,anche la memoria stessa sarebbe stato ultroneo, atteso che il giudice non avrebbe dovuto decidere sul contenuto della memoria, ma solo sulla legittimità del suo deposito. Infine, avevo anche un motivo di strategia processuale per non allegare anche la memoria: di regola, infatti, controparte ha solo 20 giorni per ribattere con una terza memoria e con eventuali prove contrarie, mentre se avessi depositato la memoria “mancata” controparte avrebbe avuto un termine per ribattere indefinitamente lungo, ossia tutto il tempo necessario al giudice per sciogliere la riserva.
Il giudice ha risposto con Ordinanza Trib. Enna del 15/2/2018 che, oltre a confermare il DM 44/2011 su citato, afferma che “l’accettazione da parte della cancelleria, lungi dall’essere un elemento integrante del deposito, riguarda piuttosto il mero inserimento dell’atto nel fascicolo”. Volendo fare un paragone col vecchio sistema, è come quando lasciavamo l’atto sulla scrivania del cancelliere, il quale ci rilasciava subito il timbro di deposito sull’atto (e sulla nostra copia di studio) riservandosi di depositare materialmente l’atto in un secondo momento. Se poi questa seconda circostanza non avveniva per qualunque motivo ciò non inficiava il deposito (purché avessimo una copia del “depositato”), ma tuttalpiù autorizzava controparte a chiedere un termine per studiare il nostro atto che non aveva avuto la possibilità materiale di leggere.
L’ordinanza in commento specifica inoltre che meri errori materiali (per esempio l’uso di caratteri speciali nell’oggetto della PEC di deposito – e non era il mio caso-) non possono retroagire al momento del deposito annullandolo, dato che col regime “cartaceo” simili errori sarebbero stati assolutamente irrilevanti: “le anomali relative alla predetta accettazione non possono retroagire al momento del deposito, non essendo ammissibile che meri errori materiali (irrilevanti prima dell’avvento del PCT) comportino una conseguenza giuridica particolarmente grave sul piano dell’esercizio del diritto di difesa, come la decadenza”.
Il giudice, infine, concludeva, assegnandomi un termine per ripetere il deposito, oltre a un termine per controparte (e correttamente per controparte sola, avendo io già avuto la possibilità di ribattere alla sua) per ribattere con una memoria 183 n.3.
Peraltro, nell’ordinanza in oggetto il giudice non ha disposto espressamente di depositare esattamente la stessa memoria, cosa che entrambe le parti davano per scontato (e che io ho fatto, naturalmente). Ignoro se si tratti di una dimenticanza o di un’omissione voluta (magari per non affrontare il problema di come provare che si tratta proprio dello stesso documento, ma a tal proposito colgo l’occasione per ricordare che, per verificare la data di redazione di un documento, oltre la firma elettronica (che serve semmai a certificare la provenienza del documento, oltre ad essere indispensabile passaggio del deposito nel PCT) è possibile verificare le date di creazione ed ultima modifica del file verificandone le proprietà (col tasto destro del mouse), dato non modificabile, a meno appunto di non creare un nuovo file.
[1] D.M. 21/2/ 2011 n. 44 in G.U. n° 89 del 18-04-2011, Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal DLGS 7/3/2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’art. 4, c. 1 e 2, del DL 29/12/2009, n. 193, convertito nella L 22/2/2010 n. 24.
[2]Pubblicata, tra gli altri, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/17330.pdf
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