In questi giorni di caldo soffocante chiacchierando tra colleghi è emerso un argomento leggero, ma che assume rilevanza ogni mattina prima di andare al lavoro: cosa mi metto? Detto in altre parole, l’abito fa l’avvocato? Il problema non è di poco conto come si potrebbe pensare a prima vista, perché anche l’abbigliamento e l’apparenza esteriore fanno parte dell’immagine professionale che diamo all’esterno, senza contare dell’importanza della prima impressione quando conosciamo un nuovo cliente.
Parlare di un vero e proprio codice d’abbigliamento per avvocati sarebbe inappropriato, anche perché non ci sono regole precise, ma qualche indicazione è d’obbligo, specie per chi si affaccia adesso a questo mondo. Se andate in udienza, giacca e cravatta per lui e giacca formale/tailleur per lei sono praticamente d’obbligo. Non deve essere necessariamente scuro (è un po’ strano vestirsi di nero alle 8 di mattina…), ma non è neanche sbagliato. Meglio evitare scarpe troppo eleganti (scomode per passarci qualche ora in udienza), ma comunque formali. Assolutamente vietati jeans e scarpe da ginnastica, anche se fuori ci sono 40 gradi. Naturalmente abbiate cura del vostro aspetto sotto tutti i punti di vista: barba e capelli per lui e trucco/parrucco per lei dovranno essere in ordine, ma senza eccessi. Vietato invece il profumo: sgradito nelle stanze piccole e affollate, e poi il giudice va solo convinto, non sedotto. Se volete creare un vostro stile personale sbizzarritevi pure negli accessori: cravatte, foulard, orologi, borse, penne strategicamente visibili dal taschino, agende in pelle etc. etc. A questo scopo non sottovalutate gli aggeggi elettronici: anche cellulari/tablet etc., volente o nolente, fanno parte della vostra immagine. Avete un cellulare decisamente datato? Mettetelo dentro una bella custodia in pelle, e usate l’auricolare: passerete da uno che non si tiene al passo con la tecnologia ad un professionista impegnato (pensate a chi negli anni ’80 andava in giro con le prime agende elettroniche).
A volte si intravedono tra i corridoi dei loschi figuri, vestiti decisamente male, che svolgono la nostra professione. Tempo fa, spinto dalla curiosità, ho parlato con uno di essi, e mi ha spiegato che si occupava specialmente della difesa dei più deboli, (gratuito patrocinio in civile e penale, non abbienti, senza domicilio fisso etc., quindi una funzione sociale essenziale e degna di lode), per cui quel look era voluto e studiato per abbattere la distanza tra l’avvocato e il cliente in modo da superare la diffidenza che un’immagine troppo formale potrebbe provocare. Personalmente non condivido questa impostazione (seppur sensata), anche perché il cliente ha bisogno di essere difeso in tribunale da un avvocato, non da un suo pari (non si offenda nessuno, mutuo l’espressione dall’ordinamento anglosassone, come criterio di scelta dei giurati…). E comunque una scelta “sotto tono” potrebbe avere un senso nel colloquio con il cliente, ma potrebbe rivelarsi inutile e controproducente in udienza davanti al giudice.
Quando non si è in udienza ma con clienti, colleghi o semplicemente in studio da soli valgono le stesse regole, magari allentate un po’ (io faccio volentieri a meno della cravatta), per il rispetto di voi stessi e delle persone con cui lavorate. E fuori dall’orario di lavoro? Dipende come intendete la professione: fate l’avvocato o siete un avvocato? Se siete un avvocato, allora ricordate che voi rappresentate il vostro studio e la vostra professione sempre, e non a caso anche il codice deontologico impone di ispirare la propria condotta (non il proprio lavoro, ma la condotta di vita) a criteri di probità, dignità e decoro, che certamente ricomprendono anche la cura di sè e della propria immagine: del resto se voi per primi non vi prendete sul serio, non lo faranno neanche gli altri.
Voi che ne pensate?
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Gennaro de falco (domenica, 30 agosto 2015 10:33)
Mi pare ampiamente condivisibile, l unico dubbio é sui non abbienti e su come porsi con loro che poi volenti o nolenti sono la massima parte dell utenza soprattutto per il penale al sud.
Gennaro de falco (domenica, 30 agosto 2015 10:47)
Poi devo dire che un vecchio professore universitario napoletano di antico lignaggio democristiano che vantava di aver tenuto in braccio non so quale potentissimo ministro faceva studio a casa della mamma in una zona popolarissima della città dicendo che in questo modo non spaventava il cliente, non so se fosse avarizia ma funzionava, un altro avvocato di discreto successo sempre napoletano gira con le toppe nei pantaloni e le scarpe consumatissime eppure ha clientela di elite che ancora non capisco come ci vada, un altro grandissimo avvocato aveva Sempre Lo stesso vestito addosso eppure é arrivato in parlamento, insomma secondo me alla fine davvero non ci sono regole per il successo commerciale, quello che conta é il carisma che o lo hai o non lo hai. Poi il decoro e l amor di se é altra doverosa cosa
robertaruggeri (lunedì, 31 agosto 2015 11:45)
l'immagine è fondamentale sia quella professionale che personale, l'abbigliamento consono è dovuto sempre ma purtroppo l'abito non fa il monaco. competenza, intelligenza capaicità dialettica, proprietà linguistica conoscenza della lingua giuridica e della grammatica italiana non sono riferibili all' abbigliamento
Dio (lunedì, 22 giugno 2020 23:31)
Per me è una frociata