Il Tribunale di Milano si è di recente occupato (Trib. Milano, IX sez. civ., 17/6/2013, leggi la sentenza ) di un caso talmente frequente nella pratica che mi stupisco non vi sia più giurisprudenza al riguardo, ossia l’affido dell’animale di famiglia (cane, gatto o altro che sia) in caso di separazione dei coniugi.
Ad un civilista duro e puro parrebbe ovvia la soluzione di seguire il regime economico dell’animale inteso come res, per cui l’animale andrebbe al proprietario, come risultante dai registri dell’anagrafe canina. L’ovvia contestazione è, innanzitutto, che anche a voler seguire questo criterio l’iscrizione all’anagrafe canina non è in alcun modo equiparabile all’iscrizione di un veicolo al PRA, per cui chi risulta “proprietario” dell’animale dai registri dell’ASL veterinaria non necessariamente lo è anche dal punto di vista civilistico, perché l’anagrafe canina ha principalmente lo scopo di quantificare la popolazione canina e di individuare un essere umano responsabile in caso di danni. In altri –tristi- casi l’iscrizione all’anagrafe canina è stata utilizzata dagli ufficiali giudiziari per pignorare (ebbene sì!) l’animale al debitore, specie se di razza (l’animale, non il debitore…).
Chi possiede un cane sa bene che più che il “titolare” del cane conta il padrone, concetto che non deriva dal diritto civile, ma dall’etologia, ossia il soggetto che il cane riconosce come proprio padrone, e che potrebbe anche non coincidere con il proprietario.
Quanto a chi affidare il cane in caso di separazione, la sentenza succitata ha glissato sul punto, affermando che il giudice, statuendo sulla separazione, ha solo i poteri espressamente indicati dalla legge, che tace su animali e affini.
In casi più risalenti il giudice ha trovato una collocazione per Fido, ma in quei casi i coniugi si erano già accordati in separata sede, e il giudice ha soltanto vidimato l’accordo.
In proposito non pare così fantasiosa la proposta di legge dell’On. Brambilla, nota “pasionaria” animalista, secondo cui "il tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell'animale, sentiti i coniugi, la prole, se presente, e, se del caso, esperti del comportamento animale, attribuisce l'affido esclusivo o condiviso dell'animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere".
In caso di affido condiviso, salvo diversi accordi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei detentori provvede al mantenimento dell'animale da compagnia in misura proporzionale al proprio reddito. In caso di affido esclusivo il mantenimento è a carico del detentore affidatario (leggi il testo).
Personalmente non mi ritengo un animalista sfegatato come l’On. Brambilla, ma piuttosto un’umanista, convinto che l’uomo, la dignità umana e i diritti umani debbano essere il punto di partenza e di arrivo di qualunque discorso di diritto positivo; ma ritengo anche che il rispetto -se non l’amore- per gli animali sia una delle più elevate manifestazioni di umanità. Il progetto di legge, più che mirare ad equiparare gli animali domestici ai figli (cosa che peraltro milioni di persone nelle loro case già fanno) è un’idea per risolvere un frequente problema pratico a cui il nostro ordinamento non offre risposte.
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Massy (mercoledì, 05 marzo 2014 11:11)
Solo un appunto: "un umanista" senza apostrofo! ;)