Di recente i media hanno riportato un interessante caso di abuso del processo.
Il caso riguarda un’azienda di servizi che svolgeva, come attività, l’acquisto di crediti (o presunti tali) alla medesima ceduti da altre aziende ed il successivo realizzo. Detta Società, quindi, aveva impostato la propria condotta per il recupero dei medesimi (vantati per lo più verso consumatori che avevano acquistato servizi di telecomunicazione) attraverso l’immediata e seriale notifica di atti di citazione.
Questi atti, firmati da vari avvocati, incardinavano la presunta causa davanti ad un giudice diverso da quello che sarebbe stato competente per territorio, in modo da rendere difficoltoso per il singolo convenuto accertarsi della situazione, cosa che peraltro non avrebbe dato alcun risultato, in quanto tutte queste cause non venivano mai iscritte a ruolo.
E il motivo, al di là dell’incompetenza del singolo giudice adito, era che si trattava sempre di somme non dovute, perché contestate, o riferite a servizi mai attivati, o prescritte, o già pagate, o addirittura del tutto inesistenti.
La società faceva leva sulla legge dei grandi numeri e sull’opera di dissuasione che l’atto di citazione notificato comportava, e successivamente alla notifica contattava il “convenuto” cercando di indurlo a trovare una soluzione stragiudiziale, onde evitare l’avvio di una procedura giudiziale, che avrebbe comportato oneri e preoccupazioni per il presunto debitore.
A tacer d’altro (profili penalistici e deontologici), il comportamento della società è stato ritenuto illecito dal Garante della Concorrenza e del Mercato - con decisione del 12 dicembre 2012 n. 24117- in quanto violava gli articolo 24 e 25 del Codice del Consumo.
Che dire degli avvocati che, con il proprio nome, hanno notificato atti di citazione che sapevano essere ingiustificati?
Qui sotto il testo del provvedimento del garante:
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