Di recente ha avuto ampia eco sui mass-media una sentenza della Corte di Cassazione (per l’esattezza Cass. Civ. 601/2013) che aprirebbe una breccia nel nostro ordinamento a favore dell’affidamento di minori a coppie omosessuali. Nella realtà il tema è trattato appena incidentalmente (obiter dictum), per cui sembra il caso di chiarire quale fosse l’oggetto della sentenza, e quali le parole della Suprema Corte a proposito della genitorialità omosessuale.
Nel caso di specie una donna si era separata dal marito per i comportamenti violenti di lui, e il figlio minore della coppia sarebbe stato affidato alla madre, con diritto del padre a vedere il figlio con visite assistite, visite puntualmente disertate.
Con ricorso successivo il padre avrebbe impugnato l’affidamento alla madre, deducendo, tra gli altri motivi, che la madre conduce una relazione omosessuale con un’altra donna.
La Suprema Corte ha respinto tutti i punti del ricorso del marito, confermando l’affido esclusivo del minore alla madre, e quanto alla rilevanza della relazione omosessuale della stessa, la Corte si è limitata ad affermare che si tratta di un pregiudizio affermare (come ha fatto il ricorrente) che un ambiente familiare omosessuale sia di per sé negativo per lo sviluppo di un minore, specie di fronte ad un padre violento (il corsivo è mio).
Dati questi i fatti, la conclusione non avrebbe potuto essere diversa, e ingiustificato si rivela quindi il clamore che ha suscitato la sentenza, clamore che ha stupito la stessa protagonista dei fatti.
Qui sotto il link al testo dell'intera sentenza:
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